Oggi il ministro del Tesoro Josh Frydenberg confermerà almeno un paio di problemi da affrontare nel 2020: i salari che continuano a segnare il passo e i servizi per gli anziani che hanno bisogno urgente di maggiori investimenti. Il documento di revisione di metà anno (Mid-Year Economic and Fiscal Outlook, MYEFO) metterà in evidenza che le previsioni di bilancio, per ciò che riguarda gli incrementi salariali, annunciate lo scorso aprile erano particolarmente ottimistiche: niente 3,75 per cento, ma un intero punto percentuale in meno. Errore di calcolo numero 33, ha fatto osservare il ministro ombra del Tesoro Jim Chalmers, sulle paghe da parte dell’amministrazione liberal-nazionale da quando è ritornata a dirigere i lavori a Canberra nel 2013. Un errore che è ‘costato’, sulla carta (la differenza cioè fra le previsioni e la realtà degli incrementi), agli australiani in media circa 2200 dollari.
Continuare a stringere la cinghia quindi e non farsi illusioni perché la situazione economica rimane piena di incognite e la stagnazione dei salari, secondo gli esperti della Banca centrale, non può più considerarsi un’anomalia, ma la norma.
Sul fronte dei servizi per gli anziani le novità il governo le ha già annunciate qualche settimana fa, con un incremento degli stanziamenti federali in risposta ai risultati preliminari della Commissione reale d’inchiesta nel settore. Ma il quadro rimane insoddisfacente per gli addetti ai lavori che, in un’insolita azione preventiva, hanno chiesto a Canberra maggiori fondi e iniziative proprio in virtù di quanto emerge dall’inchiesta sulle case di riposo e la domanda di servizi, specie nelle aree rurali. Il governo ha però già anticipato che non cercherà di risolvere i problemi, che indubbiamente esistono, con interventi d’emergenza in quanto la stessa Commissione ha suggerito di attendere i risultati finali dei lavori e le raccomandazioni che saranno fatte sui necessari interventi correttivi prima di varare un piano d’azione, che probabilmente sarà uno dei punti centrali del prossimo bilancio di gestione.
Nel 2020, infatti, il primo ministro dovrà già cominciare ad andare oltre il programma dell’attuale mandato, assicurandosi di dare quanto più significato possibile al ritorno in attivo e augurandosi di poter insistere su una relativa solidità dell’economia.
L’agenda del nuovo anno di Morrison è già abbastanza fitta di impegni con missioni già programmate in India e Giappone e la finalizzazione di nuovi trattati di scambio con l’Unione europea e con la Gran Bretagna, dopo il risultato di giovedì scorso decisamente sulla strada di una nuova ‘indipendenza’ commerciale.
Ma Morrison ha anche promesso un maggiore coinvolgimento diretto dell’Australia nell’Indo-Pacifico, con un invito a tutte le aziende australiane di allargare il loro campo d’azione proprio nell’area in questione, garantendo il supporto del governo che intensificherà i rapporti a tutti i livelli con i Paesi del Pacifico nell’ambito di un riposizionamento politico ed economico che comprenderà, per l’appunto, scambi, commercio e sicurezza. Una scelta legata all’espansione cinese, anche da un punto di vista militare, e alle incerte strategie americane in questa regione, come recentemente evidenziato da uno studio condotto dall’Università di Sydney che non è particolarmente piaciuto a Pechino, tanto che il ministero degli Esteri cinese aveva risposto stizzito all’analisi accademica assicurando che “la Cina è sulla strada dello sviluppo pacifico” e che “la politica cinese di difesa nazionale è intrinsecamente difensiva”.
Morrison ha chiuso la stagione parlamentare con l’importante (esclusivamente per il morale) vittoria sul’abrogazione del Medivac, dopo un’ultima sessione trascorsa in trincea a causa delle clamorose ‘gaffes’ in serie del ministro dell’Energia, Angus Taylor che hanno regalato preziosi punti di rilancio all’opposizione, con il primo ministro per la prima volta dalla sua rielezione in netta difficoltà in aula. Un finale di stagione che ha rincuorato un po’ i laburisti dopo mesi di depressione post elettorale.
Nell’ultima settimana di Parlamento, Albanese, galvanizzando le sue ‘truppe’ ha infatti affermato: “Siamo pronti ad affrontare il 2020 con una certa sicurezza. Convinti che possiamo forzare questo governo a mantenere i suoi impegni. Che possiamo bocciare disegni di legge inadeguati e convinti soprattutto di poter offrire una chiara alternativa alla nazione. Un’alternativa basata sull’eguaglianza, su un maggior benessere equamente distribuito”. Ma il leader dell’opposizione ha anche lanciato la sfida per un nuovo corso politico, più calmo e ragionato. “Il Partito laburista - ha detto - deve formulare un piano di governo per il Paese tenendo conto delle realtà di una situazione economica, sociale, geopolitica e ambientale di cambiamenti senza precedenti. E lo può fare in due modi: urlando e minacciando, oppure offrendo un ponderato discorso costruttivo sul da farsi e su quella che considera la strada migliore da far intraprendere alla nazione”.
La scelta è ovvia e Albanese non farà fatica a convincere i colleghi che è l’unica strada da seguire, come quella della prudenza programmatica: un piano semplice e dettagliato solo fino al punto giusto. Un cambiamento di tattica insomma che il leader dell’opposizione ha evidenziato anche nel suo mini-tour di quattro giorni in Queensland. A parlare di opportunità di lavoro e, inevitabilmente, di miniere di carbone e, ancora più inevitabilmente, della Adani. Il peggio del peggio in questo periodo in cui solo nominare la parola carbone, se non in senso negativo, si rischia di essere additati come eretici. Albanese ci ha comunque provato: non è riuscito a confermare con un semplice ‘sì o no’ di essere favorevole all’Adani, ma ha insistito sulla necessità di continuare ad estrarre carbone, dichiarando che esportarlo “non alimenta la domanda, ma semplicemente evita che siano altri Paesi ad inserirsi in un mercato che genera 67 miliardi di entrate annuali per l’Australia”.
Un messaggio carico di realismo per cercare di riallacciare il dialogo con gli elettori del Queensland, ma che ha provocato una abbastanza scontata reazione ai confini dell’isterismo dei verdi, ormai punto di riferimento, per la loro intransigenza ideologica, di coloro che hanno fatto della lotta ai cambiamenti climatici il loro credo politico. E’ rivolgendosi soprattutto a loro che Richard Di Natale, condannando il pragmatismo di Albanese, ha abbinato il leader dell’opposizione a Scott Morrison accusandoli di essere “uniti in un patto bipartisan destinato a fallire”.
Come sempre ancora più drammatico e violento nei toni il viceleader dei verdi Adam Bandt che è arrivato a parlare dei “diavoli a Canberra con il carbone in mano e la negazione della realtà nella loro testa”. Accusando poi i laburisti di “sputare in faccia alle vittime degli incendi promuovendo il carbone”.
La spaccatura tra i due maggiori partiti d’opposizione è ormai profonda e Morrison non potrà che beneficiarne proponendosi di evidenziare la missione impossibile dei laburisti in quel tentativo di accontentare tutti spostandosi verso il centro senza perdere di vista chi ha nostalgia di un partito con alcuni valori e principi che oggi sono indubbiamente un po’ sbiaditi.
Durante il tour in Queensland Albanese ha parlato di lavori e di futuro, di carbone e rinnovabili facendo solo un po’ meglio di Shorten in fatto di equilibrismi tra la necessità del presente, di posti di lavoro legati al settore minerario, e il mantenimento delle proprie credenziali climatiche agli occhi del resto dell’Australia.
Ma non sarà facile resistere e rimanere in bilico, fino alle prossime elezioni, tra due mondi diversi che hanno a portata di mano risposte molto più chiare e convincenti per la loro causa.