La scorsa settimana, il primo ministro Malcolm Turnbull si è mosso con decisione, benché non ammettendo esplicitamente le ragioni politiche dietro le sue mosse, per cercare di risolvere i conflitti interni che attanagliano i liberali, con alcune importanti concessioni all’ala conservatrice del suo partito.

La prima, martedì, è arrivata con l’annuncio della creazione di un megadicastero dell’Interno guidato dall’attuale ministro dell’Immigrazione Peter Dutton. A lui faranno capo direttamente la polizia federale, i servizi segreti dell’ASIO e le forze di protezione dei confini. Un’enorme promozione per il ministro conservatore.

L’effettiva utilità del nuovo ministero, tuttavia, è stata messa in discussione da più parti, con il leader dell’opposizione Bill Shorten che ha accusato il primo ministro di aver fatto una scelta per “la politica, non la sicurezza”. Cosa vi aspettate che Shorten dica, hanno ribattuto Dutton e Turnbull, sottolineando che, sì, le agenzie che risponderanno all’Home Affairs stanno già facendo un ottimo lavoro ma non c’è ragione per non far in modo che possano lavorare ancora meglio.

Una risposta che non ha convinto molti analisti ed ex funzionari. È “soprattutto facciata” ha detto l’ex ambasciatore australiano negli Usa ed ex segretario agli Affari esteri (2010-2012) e alla Difesa (2012-2017) Dennis Richardson, mentre Laura Tingle del Financial Review ha espresso la sua preoccupazione circa il destino del tema immigrazione (il ministero dell’Immigrazione scomparirà), che sempre più spesso viene fatto coincidere con quello della protezione dei confini, ignorando le centinaia di migliaia di migranti e lavoratori temporanei che ogni anno arrivano in Australia, con un impatto enorme sull’economia e la crescita della popolazione e delle infrastrutture australiane.

Ieri, durante un’intervista a Sky News, Peter Dutton è tornato a difendere il suo nuovo incarico, dicendo che l’intenzione di Malcolm Turnbull è semplicemente quella di garantire “la sicurezza del popolo australiano”. Il ministro dell’Immigrazione ha inoltre riacceso il dibattito sul plebiscito per i matrimoni omosessuali, sul quale, la scorsa settimana, Christopher Pyne ha detto che una decisione è ormai imminente.

Dutton ha lanciato l’idea di un plebiscito postale, senza obbligo di voto, schierandosi contro l’appoggio dei suoi colleghi moderati a un voto di coscienza in parlamento. L’idea è supportata dal parlamentare dei Nationals, George Christensen, e la settimana scorsa è stata approvata dalla convention statale del partito liberal-nazionale del Queensland. “Il nostro partito è andato alle elezioni con la promessa di un plebiscito che non è stata possibile mantenere perché non riusciamo a ottenere abbastanza voti al Senato” ha detto Dutton a Sky News. “Secondo me, a questo punto, l’opzione migliore è un plebiscito postale che dia agli elettori la possibilità di dire la loro. Se la maggioranza degli australiani si esprimerà a favore [...], il governo sarà vincolato da quel risultato”.

Contrariamente a un normale referendum, un voto postale non sarebbe obbligatorio, non avrebbe bisogno di decreti per essere convocato e farebbe risparmiare soldi. Ma per gli attivisti pro-nozze gay si tratta di un “trucco politico per scavalcare il parlamento”. “Il Senato e l’Alta corte hanno detto chiaramente che l’unico modo di raggiungere l’uguaglianza dei diritti sul matrimonio è attraverso un voto in parlamento, qualsiasi tentativo di tenere un plebiscito postale volontario e non vincolante è solo un inutile trucco politico per scavalcare il suo ruolo e ritardare [il rispetto] della volontà dichiarata del popolo australiano”, ha affermato il co-presidente di Australian Marriage Equality e parlamentare indipendente del NSW Alex Greenwich.

Sabato, Malcolm Turnbull ha perfino servito un prezioso assist al suo ‘miglior nemico’ Tony Abbott, appoggiando (almeno in parte) la mozione Warringah promossa dall’ex primo ministro alla convention del partito liberale del NSW. I plebisciti sono un “elemento fondamentale della democrazia dei partiti” ha detto il primo ministro commentando la mozione per l’introduzione dei plebisciti (un voto per ciascun iscritto al partito da almeno due anni) come metodo di selezione dei candidati nel NSW, che, ieri pomeriggio, ha ottenuto il 61% dei consensi da parte dei presenti al congresso di Rosehill.

E mentre Turnbull cerca faticosamente di riportare il suo partito verso una parvenza di unità, verso quel “sensible centre” dove si pensa alla fine convergerà la maggior parte degli elettori, Bill Shorten non si accontenta del centro e, approfittando dei verdi che perdono pezzi (e credibilità), decide di puntare il timone a sinistra.

Durante l’intervista di ieri dagli studi di Insiders, il leader laburista si è nuovamente (dopo la conferenza di venerdì a Melbourne) impegnato a combattere contro le ineguaglianze che hanno portato a una “perdita di fiducia” da parte di “molti australiani che non pensano che le cose vadano bene per loro”, con “i prezzi che crescono sempre di più e gli stipendi bloccati” e “un governo che ha smesso di lavorare per loro”. Shorten si è scagliato più volte contro l’attuale governo Turnbull, accusato di pensare a coloro che sono già in una situazione privilegiata, mentre un terzo degli australiani lavora con contratti ‘casual’, e l’incertezza che comportano, moltissimi hanno stipendi fermi da oltre due anni e si vedono sempre più esclusi dal mercato immobiliare.

Il leader dell’opposizione, pur senza fornire dettagli concreti, ha anticipato l’annuncio di un piano per “creare un sistema fiscale valido per tutti”, negando allo stesso tempo di copiare la retorica di Jeremy Corbyn e Bernie Sanders. “Non mi ispiro a loro – ha detto Shorten a Barrie Cassidy – ma alle centinaia di migliaia di persone che ho incontrato da quando sono leader del partito laburista”.

Shorten ha infine proposto l’estensione dei mandati parlamentari da tre a quattro anni, con elezioni a data fissa (oggi il primo ministro può indirle a piacimento). “La nazione ha bisogno di politiche a lungo termine, liberali e laburisti devono collaborare su questo” ha detto. E l’appoggio della Coalizione potrebbe effettivamente esserci, con il primo ministro Turnbull che ha chiamato a stretto giro Shorten, concordando di discutere della questione durante il loro prossimo incontro.