Il governo Morrison ormai procede verso le elezioni all’insegna del ‘si salvi chi può’. Non passa settimana senza qualche annuncio di abbandono di un vascello in balia di una tempesta, iniziata lo scorso agosto, che non si è mai completamente placata. Il dopo-Turnbull è stato devastante sotto tutti i punti di vista: recriminazioni, vendette, fughe, navigazione a vista. A questo punto da ammirare solo la tenacia e la determinazione con le quali Scott Morrison combatte ancora per tenere in vita quello che resta di un partito e di un governo che sembrano, ogni giorno di più, destinati ad affondare.

Christopher Pyne e Steve Ciobo sono stati gli ultimi due ministri, in ordine di tempo, ad annunciare che non saranno più della partita alle prossime elezioni: niente a che fare con la barca che affonda o con quello che è successo sette o otto mesi fa, sostengono, ma semplicemente un’improvvisa voglia di cambiare mestiere e lasciare a qualcun altro il compito di rifondare tutto, di rinnovare e aggiustare perché è di quello di cui ha bisogno un partito a pezzi.

I sinistri presagi stanno diventando sempre più certezze o quasi. Il governo Morrison ormai procede verso le elezioni all’insegna del ‘si salvi chi può’. Non passa settimana senza qualche annuncio di abbandono di un vascello in balia di una tempesta, iniziata lo scorso agosto, che non si è mai completamente placata. Il dopo-Turnbull è stato devastante sotto tutti i punti di vista: recriminazioni, vendette, fughe, navigazione a vista. A questo punto da ammirare solo la tenacia e la determinazione con le quali Scott Morrison combatte ancora per tenere in vita quello che resta di un partito e di un governo che sembrano, ogni giorno di più, destinati ad affondare.

Christopher Pyne e Steve Ciobo sono stati gli ultimi due ministri, in ordine di tempo, ad annunciare che non saranno più della partita alle prossime elezioni: niente a che fare con la barca che affonda o con quello che è successo sette o otto mesi fa, sostengono, ma semplicemente un’improvvisa voglia di cambiare mestiere e lasciare a qualcun altro che verrà il compito di rifondare tutto, di rinnovare e aggiustare perché è di quello di cui ha bisogno un partito a pezzi.

Bravo Morrison (d’altra parte non può fare altro) a mantenere il sorriso presentando il ‘nuovo’, la senatrice del Western Australia Linda Reynolds, catapultata nel ruolo di Ciobo dei Servizi per la Difesa. La settima donna nel nuovo schieramento di governo, ha fatto presente il primo ministro, nel tentativo disperato di dimostrare che non è affatto vero che i liberali hanno un ‘problema’ di rappresentanza al femminile, che Julie Bishop, Kelly O’Dwyer, Julia Banks si sbagliano, che c’è ricambio, che il talento paga senza bisogno di quote rosa.

 La verità è che per i liberali (e nazionali) il panorama è desolante. I consensi, secondo i sondaggi, rimangono al di sotto della soglia minima di reale competitività, mentre quelli dei laburisti continuano a tenere a livelli ormai costanti da troppi mesi per parlare di possibili miracoli dell’ultima ora.

Non ci sono torte che potrebbero cambiare le cose, non sembrano esserci movimenti di barche all’orizzonte e nemmeno grandi iniziative che potrebbero in qualche modo rilanciare la Coalizione: non saranno una sorpresa gli sgravi fiscali che saranno annunciati nel budget e si è parlato talmente tanto di surplus che potrebbe fare elettoralmente effetto, ma in quel caso negativo, solo un ulteriore rinvio del traguardo.

Il problema per Morrison è che ormai è già stato detto tutto, che sembra ci sia nell’aria una certa aspettativa di un passaggio delle consegne, per niente traumatico, facilitato da una quasi ordinata uscita di scena di molti protagonisti della stagione liberale: Turnbull, Bishop, Pyne, Ciobo, Nigel Scullion, Michael Keenan, O’Dwyer; imminente anche l’addio dell’ex ministro Craig Laundy. Un rompete le righe senza precedenti: basti pensare che della vecchia squadra Abbott (per ciò che riguarda il Consiglio dei ministri) rimarranno a fare campagna solo lo stesso Abbott, Morrison, Peter Dutton, Greg Hunt e Mathias Cormann. Un mondo andato in frantumi quello degli ‘adulti tornati al potere’ del 2013, dopo il ‘circo laburista’, quello delle lotte intestine senza fine, delle porte girevoli.

I liberali sono incredibilmente riusciti a fare peggio, a far girare quelle porte con ancora maggiore velocità: tre primi ministri in tre anni, l’unità che era sempre stata una loro caratteristica è passata saldamente nelle mani degli avversari che, grazie all’incredibile tenuta nelle suppletive di inizio luglio dello scorso anno, sono riusciti a superare l’unico momento di maretta interna, consolidando la posizione di Shorten. Laburisti quindi che danno l’impressione di veleggiare verso la vittoria e Morrison non solo alle prese con fughe e paure, ma anche con venti contrari che stanno soffiando sul mare dell’economia. Mercoledì, infatti, dovrebbero arrivare i risultati dei ritmi di crescita dell’ultimo trimestre e qualsiasi valore al di sotto di un già poco soddisfacente 0,4 per cento farebbe suonare pericolosi campanelli d’allarme su una frenata che si sta registrando su più fronti: da quello dell’edilizia a quello dei consumi, fino ad arrivare a quello dell’interscambio commerciale.

Economia fragile, governo alle prese con inquietudini interne sempre più difficili da nascondere e ‘confessioni’ che non fanno di certo bene a Morrison e al morale della sua squadra con Julie Bishop che parla di occasione mancata, riferendosi a quello che poteva essere se il 24 agosto dello scorso anno i suoi colleghi non l’avessero tradita, “perché – racconta - il giorno prima della resa dei conti” dopo il forzato getto della spugna di Turnbull, aveva “28 voti assicurati, più di quelli di Morrison”. Poi, paure e manovre per cercare di evitare lo spauracchio di un Dutton primo ministro, orchestrate – secondo l’ex ministro degli Esteri - da Pyne, hanno fatto precipitare le cose, fino ad arrivare a quegli 11 striminziti consensi che l’hanno fatta uscire di scena alla prima votazione per la leadership, spianando la strada a Morrison. “Avrei vinto con Shorten”, ha detto Bishop, di fatto ammettendo che le chance della sua squadra sono ridotte al lumicino: “Lo sapevo io e lo sapevano i laburisti che mi temevano”.

Storia vecchia ormai, forse ce l’avrebbe fatta anche Turnbull, difficilmente ce la farà Morrison, tanto che in casa laburista le correnti, fino ad ora strategicamente silenziose, hanno cominciano a rialzare la testa e indicare le loro preferenze sull’ormai prossima divisione della torta parlamentare. Si parla già di ministeri, di promozioni, come quelle pressoché garantite dell’ex premier del New South Wales, Kristina Keneally e di Pat Dodson.

Certe cose insomma non cambiano mai. Come la realtà delle dimissioni dei ministri di esperienza quando la barca affonda che, oltre ad essere determinata da delusioni e ‘motivi familiari,’ ha sempre una componente molto pratica: i privilegi pensionistici dei parlamentari. Esci con una paga da 300mila dollari e più (di ministro) e la pensione è garantita in base a quello stipendio, esci alla prossima tornata elettorale dai banchi dell’opposizione e il salto in basso dei benefici potrebbe aggirarsi attorno ai 100 mila dollari l’anno. Che Pyne, Ciobo, O’Dwyer ecc. non l’abbiano proprio messo in conto?