La scorsa settimana Malcolm Turnbull ha superato Tony Abbott: è alla guida del Paese ormai da due anni, il suo predecessore ha resistito di meno a causa di quei famosi trenta sondaggi negativi consecutivi usati dall’attuale primo ministro (e sicuramente ora è pentitissimo della scelta) come ‘giustificazione’ per quella che sembra essere diventata anche qui in Australia una ‘classica congiura di palazzo’.
Dopo le criticate ‘porte girevoli’ usate dai laburisti nella lunga saga Rudd-Gillard-Rudd, il 14 settembre del 2015 anche i liberali ne hanno fatto ricorso per cercare di risollevare le sorti del partito.
Turnbull ha scalzato Abbott con una maggioranza convincente e ha raccolto subito applausi ‘popolari’: il suo ‘saper parlare’, le sue considerazioni sempre ben calibrate, ma soprattutto la speranza di una svolta dopo la politica degli slogan che aveva caratterizzato la leadership del suo predecessore, avevano giustificato il ‘golpe’, ma creato all’interno del partito una profonda spaccatura.
Il passaggio di stile e di modi aveva illuso gli elettori non di parte, convinti che poi ci sarebbe stato anche un ‘passaggio’ di contenuti, date le promesse che avevano creato considerevoli aspettative.
Il politico che aveva lasciato intendere di non voler partire da alcuna posizione inamovibile, di sacri testi o di valori irrinunciabili, piano piano ha fatto capire che mentre narrazioni e riferimenti simbolici davano l’impressione di un auspicato cambiamento, la realtà era tutta un’altra cosa. Perché va bene l’idea di poter trattare su tutto, ma non si può dirigere i lavori lanciando idee qua e là “per vedere l’effetto che fa”, ritornando quasi puntualmente al punto di partenza: molti ricorderanno il sasso lanciato nello stagno del fisco, con l’incremento ipotizzato della Gst (tassa sul valore aggiunto) rientrato nel giro di poche settimane per mancanza di convinzioni e riscontri elettorali, poi la maggiore responsabilità di raccolta fiscale affidata agli Stati (idea fatta scomparire in tempi record) per arrivare ai cambiamenti (in questo caso apportati con ben poca lungimiranza e chiarezza) su fondi pensionistici e alle elezioni anticipate dello scorso anno che avrebbero dovuto risolvere ogni cosa e si sono invece rivelate un clamoroso fiasco. Hanno, infatti, fatto perdere ai liberali 13 seggi e lanciato in grande stile il partito di Pauline Hanson, oltre a far diventare Nick Xenophon, con il suo neonato NXT (Nick Xenophon Team) un giocatore di primo piano sullo scacchiere politico australiano.
Elezioni anticipate, al termine di una infinita campagna basata sul nulla, che ha portato i laburisti ad un passo da un insperato ritorno al potere regalando ad un leader, di cui pochi continuano a fidarsi interamente, la certezza di poter riprovarci nel 2019. Governo riconfermato con la maggioranza di un solo seggio all’insegna del vivere pericolosamente. In luglio dello scorso anno, infatti, la musica è veramente cambiata all’interno della Coalizione: nazionali, che grazie alla loro tenuta hanno salvato il governo, che chiedono e ottengono maggiore autorità, colleghi della destra ‘irrigiditi’ sulle loro posizioni, spesso distanti dal leader, molto meno disposti a lasciar fare. E così Turnbull si è avvicinato, più o meno consapevolmente, parecchio alle linee-guida della precedente amministrazione al punto che, nelle ultime settimane, cercando di affrontare il tema-clou di questi tempi tutt’altro che ‘agili ed innovativi’ (che era stato lo slogan del nuovo corso) per le famiglie australiane, quello dei costi energetici e delle garanzie di erogazione di corrente anche nei momenti di massimo consumo, si è riavvicinato al carbone, avanzando la possibilità di finanziare qualche impianto ad alta efficienza e ridotte emissioni. Una ‘resa’ non ancora totale e dichiarata, ma un chiaro passo verso l’ammissione che non si tratta di rinunciare al futuro o ai traguardi ambientali rimanendo al passo col resto del mondo, ma la necessità di arrivarci nei tempi e nei modi che non penalizzino oltre misura il Paese. Anche perché un progetto ragionato e senza eccessi potrebbe diventare un’arma da non sottovalutare contro l’ambizioso programma laburista del 50 per cento di produzione energetica affidata alle rinnovabili entro il 2030 che, almeno secondo gli esperti, comporterebbe ulteriori rincari e non offrirebbe garanzie blindate di energia anche nei periodi di grande domanda. Una chiara scelta sul da farsi, a medio e lungo termine, avrebbe anche il potere di tranquillizzare gli investitori e gli elettori, con l’effetto tutt’altro secondario di un contenimento dei prezzi.
Linea Abbott mantenuta con convinzione sulla cosiddetta ‘protezione dei confini’, anche per quanto riguarda la conferma del responsabile dell’intransigenza senza sconti, Peter Dutton che, con l’approvazione del primo ministro, ha cercato di strafare andando a ritoccare cittadinanza e visti vari. In questo caso il soccorso ai cittadini, dettato dal buon senso, l’ha dato Xenophon opponendosi assieme a laburisti e Verdi agli esami di inglese di livello universitario per ottenere la cittadinanza e al prolungamento retroattivo del periodo di attesa dopo aver ottenuto la residenza permanente. Decisamente discutibili, ma promosse nel nuovo clima globale in fatto di immigrazione (almeno per i Paesi che se lo possono permettere), le modifiche apportate ai vari visti di vacanze, studio e lavoro con alcune scelte che non fanno sicuramente onore ad un’Australia ‘agile e innovativa ed intelligente’.
A due anni dal suo arrivo sul ponte di comando Turnbull non ha trovato ancora le misure per mettere in difficoltà il suo avversario diretto, quel Bill Shorten che agli australiani non piace, ma che hanno comunque quasi eletto un anno fa giusto per un senso di frustrazione nei confronti della Coalizione, per le promesse non mantenute di svolta, di un programma economico da seguire, di un deficit da far rientrare, di una ‘narrazione’ politica che continua a non esserci.
Turnbull aveva promesso che con lui sarebbero finiti gli ‘slogan’, che ci sarebbero stati sacrifici, ma sempre accompagnati da adeguate spiegazioni per mantenere la linea sempre aperta con gli elettori. Un po’ tutti stanno ancora aspettando non i sacrifici, ma le spiegazioni e soprattutto quella famosa direzione che vada al di là della ‘difesa’ dagli attacchi laburisti promuovendo il Gonski 2.0 o la sovrattassa sulle banche. Una direzione che non si limiti ai matrimoni gay, che hanno assunto un’importanza assurda nel dibattito politico nazionale mettendo in evidenza anche una inadeguatezza (sottolineata dall’ex pm John Howard) del progetto, in fatto di dettagli su un ‘dopo’ ancora tutto da definire. L’energia, come più volte sottolineato, è a questo punto l’occasione da non perdere per iniziare una difficile risalita nei sondaggi ed evitare quella soglia negativa dei trenta rilevamenti negativi che non porterà sicuramente ad alcun cambiamento al vertice (per mancanza di credibili alternative), ma che in fatto di umori, credibilità e autorità potrebbe segnare per Turnbull e la sua squadra il punto di non ritorno.