Sotto scacco questa volta sono i laburisti, anche se il tema è di loro gradimento. Si trovano infatti tra l’incudine e il martello: vorrebbero schierarsi apertamente a fianco dei verdi, ma non possono perché politicamente l’argomento presenta troppi rischi. Al centro dell’attenzione l’Australia Day. Le critiche per la giornata scelta per celebrare la nazione si intensificano di anno in anno e le prese di posizione anti-26 gennaio di alcune amministrazioni comunali hanno innescato la miccia di un dibattito che ormai si esteso fino al parlamento federale.
Il leader dei verdi, Richard Di Natale, l’ha infiammato con alcune dichiarazioni che vanno un po’ al di sopra delle righe: va bene sottolineare quello che si sostiene ormai da tempo di una scelta inappropriata per ciò che riguarda la data fissata per le celebrazioni, ma aggiungere alle giustificate accuse di ‘invasione’ ed ‘espropriazione’, il “continuo genocidio e massacro” della popolazione indigena è un’inopportuna esagerazione.
Se il ‘genocidio’ continuasse, infatti, non solo Di Natale, ma qualsiasi australiano con un minimo di buon senso non si sognerebbe certamente di ‘festeggiare’ e sventolare bandiere e non ci sarebbe da gioire non solo il 26 gennaio, ma in nessun altro giorno dell’anno per ‘massacri’ e violenze di qualsiasi tipo. Quindi il ‘continuo’ se lo poteva risparmiare il leader dei verdi nonostante gli indubbi problemi che riguardano il trattamento della popolazione aborigena E per ciò che concerne la richiesta di spostare la data dell’Australia Day, possiamo star certi che non succederà nulla fino a quando non arriverà la repubblica che permetterà davvero di far nascere e celebrare una nuova Australia.
E’ da tempo che più di qualcuno cerca un’alternativa che non offenda una parte della popolazione e permetta anche alla minoranza indigena di partecipare con il giusto senso di appartenenza alla nazione. La prima deputata aborigena, la laburista Linda Burney la scorsa settimana, interpellata in proposito, ha suggerito il compromesso di lasciare per ora le cose come stanno, ma di aggiungere anche un’altra data per le celebrazioni che abbia qualche particolare significato per la popolazione indigena: un doppio Australia Day insomma, con possibilità-zero che diventi realtà.
Verdi quindi che hanno trovato un nuovo cavallo di battaglia, dopo quello del vergognoso trattamento dei rifugiati degli ultimi anni. Il fatto che anche i laburisti abbiano abbracciato, per non dare l’impressione di fare meno paura di Peter Dutton, la causa di una esagerata ‘protezione dei confini’ senza alcun riguardo per la dignità e i diritti dei profughi, hanno lasciato al partito di Di Natale il ruolo dei ‘buoni’, di guidare le proteste nel nome di un minimo di umanità che l’Australia ha ormai deciso di mettere in seconda linea anche perché, purtroppo, la maggioranza dei cittadini sembra aver accettato di buon grado la strategia della chiusura e della massima severità.
Ecco allora il nuovo obiettivo da portare avanti: la campagna anti-Australia Day, se si insisterà con il 26 gennaio. Un ‘problema’ che sicuramente non è visto come tale da un notevolissimo numero di australiani dato che, secondo un sondaggio pubblicato pochi giorni fa (la ricerca, commissionata dall’Australia Institute, è stata condotta lo scorso dicembre) il 37 per cento non ha la minima idea di che cosa rappresenta la data in questione. Per l’84 per cento degli interpellati è però importante che il Paese abbia una sua giornata nazionale, e il 56 per cento non si preoccupa minimamente di quando si celebri.
Il 77 per cento pensa erroneamente che il 26 gennaio, il giorno dello sbarco (nel 1788) del capitano Phillip dove sarebbe poi ‘nata’ la città di Sydney, con 736 prigionieri e 295 fra marinai, guardie carcerarie e un esiguo numero di liberi coloni, sia sempre stata la giornata nazionale, mentre la ‘festa’ si è cominciata a celebrare in tutti gli Stati solamente nel 1935 e nella sua forma attuale addirittura solo nel 1994. La scarsa conoscenza degli australiani in merito al 26 gennaio, e la giornata nazionale in generale, è incredibile: solo la metà di coloro che hanno preso parte allo studio sapeva che la ricorrenza aveva qualcosa a che fare con la Prima flotta; molti pensavano fosse il giorno in cui il capitano Cook era sbarcato sulla costa orientale del continente (il 19 aprile di 19 anni prima); altri ancora il giorno in cui era stata varata la costituzione. Il quattro per cento ha fatto addirittura riferimento a cose non ancora successe come la proclamazione della repubblica e la firma di un Trattato con gli aborigeni.
Di Natale comunque attacca e va giù pesante, Malcolm Turnbull respinge accuse e fretta e Bill Shorten ripropone la vecchia tattica del dire e non dire. Ma se fino a qualche anno fa il dibattito su una data indubbiamente sbagliata era riservato a pochi, oggi sta salendo d’intensità anche se, sottolinea il ministro dei Servizi per gli anziani Ken Wyatt (di origini aborigene), non è stata sicuramente la popolazione indigena a sollecitarlo. Anche perché, spiega il parlamentare liberale, la comunità aborigena probabilmente si augurerebbe che il Paese rivolgesse almeno la metà dell’attenzione che si sta rivolgendo a questo tema, ai problemi veri con i quali è chiamata a misurarsi quotidianamente: le condizioni svantaggiate in cui è costretta a vivere; le enormi differenze rispetto al resto della popolazione delle aspettative di vita; gli abusi che subiscono i bambini indigeni; gli altissimi livelli di incarcerazione. Problemi di dignità e diritti calpestati che non vengono minimamente presi in considerazione in questo dibattito avviato e sostenuto, purtroppo, anche per motivi opportunisticamente politici.
Shorten non chiede lo spostamento della data dell’Australia Day ma, bontà sua, assicura di capire chi protesta, chi non gradisce, chi vorrebbe, senza sapere che altra data indicare, una giornata diversa per festeggiare, senza ombre e contraddizioni, la nazione, con i suoi meriti, le sue conquiste, le sue aspirazioni e, guarda caso, non si lascia sfuggire l’occasione di attaccare Turnbull colpevole, a suo dire, di farsi trascinare in un dibattito ‘di comodo’ mettendo in secondo piano i veri problemi del Paese.
Neanche ripartiti a pieno regime dopo la pausa estiva ed è già tutto come prima, anche per quanto riguarda la difesa oltre i limiti della ragione dell’amico e collega di partito David Feeney. Il deputato di Batman (Victoria) ha ottenuto un prolungamento dei tempi per la presentazione della documentazione che gli permetta di dimostrare che ha cercato di rinunciare alla sua doppia cittadinanza. L’Alta Corte gli ha concesso un’altra decina di giorni (fino al primo febbraio), dopo la scadenza ufficiale di venerdì scorso, per la consegna di documenti che con ogni probabilità non sono mai esistiti. Una presa in giro che costerà ai contribuenti qualcosa come due milioni di dollari. Ogni seduta dell’Alta Corte costa infatti circa 130mila dollari.