Il caos intorno al cambio di leadership nel partito liberale ha causato danni che si sono subito fatti sentire. Prima di tutto nei sondaggi. Come già riportato da questo giornale, secondo l’ultimo rilevamento di Newspoll pubblicato da The Australian, il voto primario della Coalizione guidata dal primo ministro Scott Morrison è sceso di quattro punti, calando al 33%. Una volta assegnate le preferenze, la Coalizione raggiunge il 44%, contro il 56% del partito laburista, una distanza nettamente superiore rispetto a prima del cambio al vertice, quando i due schieramenti principali erano dati testa a testa, 49 a 51% in favore dell’opposizione.
Lo scorso fine settimana, i danni del caotico cambio di leadership si sono fatti sentire per la prima volta anche sul terreno, nelle elezioni supplettive nel seggio statale di Wagga Wagga (New South Wales), che dopo più di 60 anni non sarà più in mano liberale. La sconfitta era stata ampiamente predetta, ma l’emorragia di voti è stata più ampia del previsto: quasi il 30% in meno nel voto primario rispetto alle ultime elezioni nel 2015.
Mentre scriviamo, con l’85,8% delle schede scrutinate, la candidata liberale Julia Ham è ferma al 25,3% dei voti (-28,5%). Il candidato indipendente Joe McGirr ha conquistato il 25,5%, mentre i laburisti di Dan Hayes sono al terzo posto con il 23,8% (-4,3%). Ci vorrà ancora una settimana per calcolare tutte le preferenze e conoscere il nome del vincitore ma, secondo Antony Green della Abc, “è sicuro che i liberali abbiano perso”. Joe McGirr “è il vincitore certo” ha scritto ieri l’analista politico.
A favore dell’indipendente ha giocato sicuramente l’assenza di un candidato del partito nazionale, ma la stanchezza degli elettori nei confronti del governo e, più in generale, dei partiti tradizionali, non è stato un fattore meno importante. “Abbiamo sicuramente bisogno di un cambiamento” ha detto un elettore della località di Oura intervistato ai seggi dalla Abc, il quale ha aggiunto che il caos per la leadership federale ha influenzato il suo voto: “È stato sciocco, ho sempre creduto che dobbiamo scegliere il primo ministro, non il governo”.
La premier del New South Wales, Gladys Berejiklian, si è scusata con i suoi elettori per il risultato disastroso ottenuto a Wagga Wagga: “Voglio che la gente di Wagga sappia che il mio governo lavorerà duramente in tutto il NSW, ma soprattutto in quella regione, per riconquistare la fiducia che abbiamo chiaramente perso”. Anche Berejiklian non ha potuto fare a meno di riconoscere l’impatto che il burrascoso passaggio da Malcolm Turnbull a Scott Morrison ha avuto sul voto: “Il messaggio che è giunto da tutte le parti è stato quello di persone stanche dei politici che litigano tra di loro e stanche della percezione che i politici siano lì per i propri interessi e non per la comunità”. “Le circostanze che hanno costretto l’ex deputato a dimettersi – ha continuato facendo riferimento al fatto che le suppletive si fossero rese necessarie dopo che Daryl Maguire aveva rassegnato le dimissioni dal parlamento del New South Wales per essere rimasto coinvolto in un caso di corruzione –hanno esacerbato questa stanchezza”.
Anche se si trattava di un seggio statale (per di più in una zona rurale dove, ancora più che altrove, i partiti tradizionali stanno attraversando una fase di grande crisi), la débacle di Wagga Wagga apre adesso grandi interrogativi per la Coalizione che si appresta ad affrontare presto un’elezione suppletiva nel seggio federale di Wentworth (lasciato vacante dall’ex primo ministro Turnbull) e poi le elezioni nazionali.
Intanto, all’interno della Coalizione, il gioco delle colpe è già cominciato. In seguito alle dichiarazioni di Berejiklian, un ministro della squadra liberale ha commentato sarcasticamente che “Gladys può ringraziare Tony Abbott per questo risultato”. “Da una parte, avevamo un deputato cacciato a pedate dal parlamento, dall’altra il partito liberale federale che si spaccava, cosa ci aspettavamo che accadesse?” ha detto il ministro citato dalla Abc.
Ma non sono mancate dita puntate contro la stessa premier, che i nazionali incolpano di essersi messa al centro della campagna, scegliendo personalmente la candidata Julia Ham, e di aver impedito che i nazionali si presentassero da soli raccogliendo i voti di protesta. Berejiklian “ha condotto una campagna terribile– ha dichiarato una fonte dei nazionali – l’80% dei manifesti elettorali erano suoi. Non è così che si fa nel bush, bisogna promuovere il candidato. Ecco perché un indipendente può vincere in seggio rurale, perché qui le persone sostengono le persone, non i partiti”.
Ma questo gioco delle colpe non aiuterà la Coalizione a recuperare terreno, anzi, rischia di affossarla ancora di più. Perché il punto è proprio questo: se sempre più persone votano i partiti minori (circa un terzo della popolazione) è perché i due schieramenti principali sembrano perennemente occupati in giochi di potere e in una gara puramente politica a chi riuscirà a vincere le prossime elezioni, senza preoccuparsi dei problemi della gente comune, se non, appunto, quando sanno che certi temi (l’età pensionabile, il costo delle bollette...) porteranno loro voti. Il senso di disillusione è forte soprattutto lontano dalle città, come racconta Gabrielle Chan nel suo ultimo libro Rusted Off. Secondo l’ex corrispondente politica di The Guardian Australia, nelle zone rurali c’è una classe “dimenticata” che si sta allontanando dai grandi partiti perché sente di essere “data per scontato dai conservatori e ignorata dai laburisti”. Come sta succedendo in altre parti del mondo, ora ripone le sue speranze negli ‘outsider’ della politica, con risultati imprevedibili e parlamenti sempre più frammentati.