Bourke Street, nel cuore di Melbourne, è ancora una volta il centro di un tragico attacco che ha colpito duramente uno dei luoghi simbolo della vita cittadina, la strada dove quasi due anni fa era accaduto un altro evento che aveva seminato morte e disperazione.

È una tragica coincidenza, infatti, quella che lega l’attentato di venerdì scorso dove ha perso la vita una delle figure più amate della comunità italo-australiana, Sisto Malaspina, co-proprietario dell’iconico  Pellegrini’s Bar, al processo che si stava svolgendo proprio nelle stesse ore contro James Gargasoulas, il folle omicida protagonista della strage avvenuta il 20 gennaio 2017 a poche centinaia di metri di distanza, che ha causato la morte di sei persone e il ferimento di altre ventisette.

La coincidenza è senza dubbio legata al luogo dove entrambe le vicende si sono svolte ma anche, evidentemente, alla condizione di instabilità mentale dei due assassini, anche se appare ancora prematuro effettuare una valutazione dettagliata sulla salute mentale di Hassan Khalif Shire Ali, ma non quella, purtroppo, del suo collegamento con lo Stato Islamico che, seppure ormai in caduta libera, ha già rivendicato l’attentato di venerdì.

Shire Ali dopo aver accoltellato a morte Sisto Malaspina, aver ferito altri due passanti e ripetutamente provato ad aggredire i due poliziotti giunti sul luogo, è stato colpito con un colpo di pistola al petto proprio da uno dei due agenti ed è morto in ospedale.

Matrice terroristica, follia, qualsiasi insano motivo possa esserci alla base di questi tragici gesti, resta il fatto che la città è nuovamente colpita al cuore, ancora alle prese con lutti inspiegabili e tanto dolore per la morte di vittime innocenti come Sisto Malaspina, che stava soltanto provando ad aiutare quello che sembrava essere un automobilista in difficoltà.

La risposta delle forze dell’ordine con la prima pattuglia arrivata in meno di due minuti, l’aiuto di alcuni passanti come Michael Rogers che con un carrello della spesa ha provato ripetutamente a fermare la follia omicida di Shire Ali, ci consegnano però l’immagine di una città che ha tutti gli strumenti civili e istituzionali per reagire perché, come ha ribadito il premier Daniel Andrews in conferenza stampa insieme al capo della polizia del Victoria Graham Ashton, “sappiamo che la città ha risposto con coraggio e determinazione, continueremo con la nostra vita, insieme, non ci faremo fermare da questi atti malvagi”.

Ma non si può, ovviamente, non fare i conti con le indicazioni che legano Shire Ali all’Isis o perlomeno a quei deliri del fondamentalismo religioso, non si può sottovalutare la natura di un gesto di un personaggio che, pur se classificato come aggressore non particolarmente esperto, era potenzialmente in grado di fare una strage di dimensioni ben più importanti rispetto a quanto già drammaticamente messo in atto venerdì pomeriggio.

Il trentenne di origini somale, in Australia da più di vent’anni, aveva infatti riempito la sua autovettura di bombole di gas, pronto, evidentemente, a farle esplodere nel mezzo di un’affollata Bourke St. se non, come temono le forze anti-terrorismo, peggio ancora, all’interno di esercizi commerciali contro i quali si è poi, in effetti, scagliato senza, fortunatamente, essere riuscito a innescare l’esplosione.

La polizia federale, che ha confermato che nel 2015 all’attentatore era stato sequestrato il passaporto, avendo avuto il sospetto che stesse pianificando un viaggio in Siria, ha tuttavia ribadito che pur essendo stato registrato un suo percorso di radicalizzazione islamica, Shire Ali “non rappresentava [ai tempi] una minaccia per la sicurezza nazionale”.

“Ovviamente - ha precisato Ian McCartney, il vice commissario per la sicurezza nazionale della polizia federale - le circostanze di come e quando le sue visioni radicali si siano trasformate fino a decidere di condurre questo attacco sarà uno degli obiettivi dell’indagine”.

McCartney ha inoltre precisato che, allo stato attuale delle indagini, “è corretto dire che [Shire Ali] sia stato ispirato dall’Isis. Non diciamo che sia stato un contatto diretto [con lo Stato Islamico], ma piuttosto una fonte di ispirazione”.

La rivendicazione dello Stato Islamico, non confermata ufficialmente da fonti indipendenti, però aggiunge interrogativi e richiederà riflessioni ancora maggiori all’interno della complessa indagine in corso e rispetto alle scelte da effettuare in merito a personaggi che, come accaduto a Shire Ali, vengano attenzionati per rischi di connessioni terroristiche.

Momento di riflessione e assunzione di responsabilità che il primo ministro Scott Morrison ha esplicitamente chiesto ai leader musulmani d’Australia, sollecitati ad espellere con forza ogni qualsivoglia genere di radicalizzazione e di estremismo islamico dalle loro comunità: “L’estremismo religioso - ha detto Morrison - assume diverse forme in ogni parte del mondo, e nessuna religione ne è immune. Ma qui in Australia prenderemmo in giro noi stessi se non ammettessimo che la più grande minaccia di estremismo religioso sia la pericolosa ideologia dell’Islam radicale”.

Anche il ministro degli affari interni Peter Dutton è intervenuto, aprendo le porte a una discussione sul merito del percorso per arrivare alla cittadinanza australiana oltre che sulle dinamiche di gestione delle eventuali minacce terroristiche, ma ribadendo che attacchi come quello sferrato venerdì siano molto difficili da prevedere e prevenire: “Laddove hai qualcuno che compra prodotti chimici, importa o acquista online diversi oggetti che potrebbero essere utilizzati per creare un ordigno esplosivo, in tal caso ci si può aspettare un’attività dei servizi di intelligence. Ma se qualcuno prende un coltello da cucina e con un paio di bombole di gas [nell’autovettura] si mette alla guida fino al CBD, allora questo diventa una circostanza molto difficile da prevedere”.

Di fronte al terrore si può far ben poco se non stringersi attorno alle vittime, consolidare sempre più il senso di comunità e cercare, quanto più possibile, di tenere salde quelle dinamiche di vita quotidiana fatte di rispetto e di inclusività che contraddistinguono una società libera e multiculturale come quella australiana.

Per il resto, nel merito dell’attività di controllo e repressione, ci si affida alle capacità delle forze dell’ordine a cui, insieme con le altre istituzioni, spetta fare riflessioni puntuali sul vissuto problematico e sull’immaginario di soggetti che, per dinamiche personali, sono più a rischio radicalizzazione, anche al fine di identificare quali possano essere le attività più efficaci per arginare, alla nascita, fenomeni altrimenti incontrollabili.