Sono passati otto giorni da quando gli ultimi pacchi di provviste alimentari sono stati distribuiti nel centro di detenzione di Manus Island, chiuso martedì scorso. I richiedenti asilo sono rimasti senza cibo né acqua, non hanno medicine e la corrente elettrica è stata staccata, ma sono troppo spaventati per andarsene. Piuttosto che uscire dal centro e trasferirsi nel maggior centro abitato dell’isola, Lorengau, dove temono di essere attaccati dai residenti locali, hanno pulito i bidoni della spazzatura e bevono l’acqua piovana raccolta lì dentro, con un po’ di zucchero e sale. Dicono che potranno resistere anche un mese senza mangiare.
Il governo della Papua Nuova Guinea “non ci dà alcuna garanzia di sicurezza, per questo rimango qui” ha detto un richiedente asilo ai reporter dell’Abc che la scorsa settimana hanno ottenuto accesso al centro abbandonato. Un altro uomo rivolge parole di ira a Canberra: “L’Australia ci ha abbandonati qui”, dice.
Il ministro dell’Immigrazione Peter Dutton, comunque, resta irremovibile: a nessuna persona arrivata illegalmente via mare verrà concesso di stabilirsi in Australia. Secondo il ministro, i richiedenti asilo detenuti nel centro di Manus Island sarebbero stati informati dei nuovi alloggi messi a loro disposizione, alloggi sicuri e dotati di servizi sanitari e di altro genere, e il modo in cui i profughi e coloro che li difendono descrivono la situazione a Manus sarebbe solo “un sotterfugio”. “Per tanto tempo hanno detto che il centro di Manus era un ‘inferno’ ma appena è stato chiuso hanno chiesto che venisse tenuto aperto” ha detto Dutton.
Parole e azioni intransigenti che hanno suscitato una dura risposta, durante la manifestazione di sabato a Melbourne contro la situazione di stallo creatasi a Manus Island, da parte del deputato dei verdi Adam Bandt. Quest’ultimo ha definito Dutton “un terrorista” che mette i richiedenti asilo in situazioni di terrore per un guadagno politico. “Se la definizione di terrorismo è usare la violenza e minacciare la vita delle persone per fini politici, allora Peter Dutton è un terrorista” è l’accusa, pesante come un macigno, lanciata da Bandt. Il ministro, però, non si scompone: “Il governo ha fermato le morti in mare. Nessun minore si trova più in detenzione”. Sono i verdi – secondo Dutton – a usare i rifugiati per i loro scopi politici. Manifestazioni in favore dei richiedenti asilo si sono tenute tra venerdì e sabato anche a Canberra, Brisbane e Sydney.
L’Onu ha invitato l’Australia, “in quanto primo responsabile della detenzione”, a riprendere immediatamente i rifornimenti di cibo, acqua e degli altri servizi di prima necessità, interrotti alla chiusura del centro lo scorso 31 ottobre. L’Alto commissariato per i diritti umani è “seriamente preoccupato per la salute e la sicurezza” di quanti rimangono nel centro di Manus Island, ha fatto sapere il portavoce dell’alto commissario Zeid Ra’ad Al Hussein. L’Onu ha reiterato le sue critiche al sistema di detenzione extraterritoriale, definito “insostenibile, disumano e contrario agli obblighi in materia di diritti umani” in base alla Convenzione di Ginevra del 1951 di cui l’Australia è firmataria.
Ieri, la neo premier della Nuova Zelanda Jacinda Ardern, nel suo primo incontro con il primo ministro australiano Malcolm Turnbull a Sydney, ha reiterato l’offerta di Wellington di accogliere 150 rifugiati bloccati a Manus Island. Sull’isola, si trovano ancora quasi 600 richiedenti asilo, 447 il cui status di rifugiati è già stato ufficialmente riconosciuto e altre 140 persone. La risposta del primo ministro Turnbull, benché diplomatica e non definitiva, è stata negativa. Canberra “prenderà in considerazione” l’offerta ma “in questo momento non l’accetterà”. Già nel 2013, quando la stessa proposta era arrivata dall’allora governo neozelandese di John Key, l’Australia l’aveva rifiutata dicendo che i trafficanti di esseri umani l’avrebbero vista come un modo di entrare in Australia dalla ‘porta sul retro’.
Oggi Turnbull sostiene la stessa cosa: accettare l’offerta della Nuova Zelanda sarebbe una dimostrazione di debolezza da parte di Canberra e significherebbe incentivare la ripresa degli arrivi clandestini via mare. Per il primo ministro, la priorità è andare avanti con l’accordo con gli Stati Uniti, in base al quale Washington si è impegnata ad accogliere fino a 1250 rifugiati. “Vogliamo concludere questi accordi e poi potremo considerarne altri” ha detto Turnbull durante l’incontro bilaterale alla Kirribilli House.
Ardern ha escluso la possibilità di rivolgere l’offerta direttamente al governo della Papua Nuova Guinea, dicendo che “non ce n’è bisogno”, visto il potenziale interesse dimostrato dall’Australia.
Per il leader dell’opposizione Bill Shorten, l’offerta neozelandese deve essere accettata.
Intervistato ieri da Sky News, perfino il deputato conservatore Kevin Andrews, che in passato è stato ministro dell’Immigrazione, ha detto che il governo dovrebbe “prendere in considerazione l’offerta della Nuova Zelanda. “È un problema difficile ma non dovremmo escludere nessuna soluzione” ha detto, riconoscendo le preoccupazioni che un patto con Wellington potrebbe diventare un incentivo per la ripresa dei barconi o una via di ingresso, seppur indiretta, in Australia. Un accordo che prenda in considerazione questi problemi dovrebbe però essere esaminato attentamente, ha detto Andrews.
Oltre allo scottante tema dei rifugiati, ieri Ardern e Turnbull hanno discusso del futuro dell’accordo TPP (Trans-Pacific Partnership) dopo il ritiro degli Stati Uniti. Dopo la decisione di Donald Trump, l’Australia e il Giappone sono diventati i principali fautori dell’intesa commerciale tra 11 Paesi affacciati sul Pacifico. La Nuova Zelanda ha confermato il suo impegno ma la nuova premier laburista ha espresso preoccupazioni per il controverso meccanismo di risoluzione delle dispute tra investitori e stati (chiamato ISDS, sigla di “investor-state dispute settlement”, ndr) previsto dal TPP, che permetterebbe ad aziende private di citare in giudizio i governi nazionali in caso di norme ritenute lesive dei loro interessi. Jacinda Ardern, pur riconoscendo i vantaggi del TPP, ha sottolineato che “proteggerà gli interessi nazionali della Nuova Zelanda”.
Nessun accenno è stato fatto all’incidente diplomatico di Julie Bishop che, lo scorso agosto, aveva detto che sarebbe stato “molto difficile” stabilire un rapporto di fiducia con i laburisti neozelandesi dopo le loro ‘ingerenze’ nel caso di doppia cittadinanza del vice primo ministro Barnaby Joyce. “Siamo una famiglia” ha insistito Turnbull. E i parenti non si scelgono.