A quasi un mese dall’incredibile vittoria alle urne, il governo Morrison si trova a dover gestire uno degli aspetti nodali proprio della campagna elettorale, quello di un’economia con molte, troppe, incognite.
La scorsa settimana il governatore Philip Lowe ha annunciato la decisione della Reserve Bank di tagliare i tassi di interesse dell’ 1.25%, mettendo, di fatto, in guardia proprio il neo eletto primo ministro Scott Morrison e il suo tesoriere Josh Frydenberg: stiamo rallentando, e il ritmo con cui lo stiamo facendo potrebbe essere preoccupante.
A ribadirlo, come abbiamo già raccontato sulle pagine di questo giornale nella scorsa edizione, anche i dati dell’istituto nazionale di statistica che hanno confermato, per il primo trimestre di quest’anno, la crescita dell’economia del Paese solo dello 0.4%, con una proiezione sull’anno pari all’1.8%, il che vuol dire che, se confermato questo trend, per la prima volta dal 2013 l’economia australiana crescerebbe meno del 2%, la cifra più bassa registrata dalla grande crisi finanziaria globale.
Proprio il dicastero guidato da Frydenberg aveva pubblicato un grafico che mostrava una crescita media annua dell’ultimo decennio pari al 2.6%, a conferma quindi che l’eventuale 1.8% suonerebbe come un campanello d’allarme, che, tra l’altro, molti osservatori ritengono sia già ampiamente suonato.
Il messaggio del Governatore della Reserve Bank è chiaramente rivolto all’esecutivo quando parla di prospettive economiche ancora ‘ragionevoli’ ma per le quali non è sufficiente attivarsi solo con politiche di intervento monetario: “Come Paese - ha affermato Philip Lowe nel corso del suo discorso alla consueta cena del board della Banca centrale australiana - dovremmo valutare altre opzioni. Una è quella di avere più supporto in materia fiscale, ivi compresa una maggiore spesa infrastrutturale.
Una spesa che non crea soltanto domanda interna, ma aggiunge anche capacità produttiva al sistema economico. Andando a funzionare, quindi, sia sul lato della domanda che dell’offerta. Un’altra opzione - ha continuato Lowe - è attivarsi con politiche strutturali che supportino la crescita delle nostre aziende in termini di investimento, espansione, innovazione e assunzione di nuovo personale”.
Chris Richardson, partner di Deloitte Access Economics, ha commentato le parole del Governatore Lowe sulle pagine del The Weekend Australian: “La richiesta, quella importante, che [Lowe] sta facendo è per le riforme strutturali. In effetti, sta chiedendo al governo di porsi un grande obiettivo: affrontare le riforme economiche, anche quelle che ogni politico crede possano essere impopolari. La lista comprende le tasse, le infrastrutture, i regolamenti, i prezzi, la concorrenza, la congestione e la riforma delle città”.
Quella che è in gioco, quindi, adesso è la credibilità del governo sul tema centrale della campagna elettorale di Scott Morrison e Josh Frydenberg: le promesse per più posti di lavoro, aumento dei salari e più investimenti.
La posizione dell’esecutivo, anche dopo l’intervento della Reserve Bank, sembrerebbe quella di continuare a tenere fede alle priorità in agenda: partendo proprio dall’approvazione di quel pacchetto di riforma fiscale di 158 miliardi di dollari che è stato uno dei cavalli di battaglia della coppia Morrison-Frydenberg.
Su tale argomento vedremo se l’opposizione laburista deciderà di restare ferma sulla richiesta di spacchettare la riforma di Frydenberg.
Chissà che, invece, anche sulla scorta della bocciatura popolare delle sue proposte economiche, il partito guidato da Albanese non deciderà di supportare l’esecutivo in una azione bipartisan che potrebbe garantire maggiore sollievo alle famiglie australiane.
Frydenberg e il primo ministro Morrison, dal canto loro, dovrebbero esprimere maggiore lungimiranza, con una visione di lunga prospettiva quanto più necessaria per un Paese che vuole riprendere a correre.
Magari anche non considerare più il surplus di bilancio come un obiettivo solido da perseguire a ogni costo ma iniziare a ragionare in termini di riforme di più ampio respiro, mettendo in conto, ad esempio, la necessità di affrontare maggiori spese, anche per progetti infrastrutturali complessi, senza temere di tornare in deficit.
Interventi che finalmente, in un clima di scetticismo sempre più diffuso nei confronti delle istituzioni, riescano a dimostrare che, così come è accaduto con i grandi leader del passato, la classe politica alla guida il nostro Paese è in grado di affrontare situazioni complesse con scelte coraggiose, non necessariamente legate all’ossessiva ricerca del consenso.
Restiamo quindi in attesa di vedere se il governo Morrison saprà offrire soluzioni concrete e smentire, o meno, che questo rallentamento sia strutturale, profondo e davvero preoccupante.
Tra l’altro, con un elettorato che, anche giustamente, si è dimostrato molto attento agli aspetti economici, le azioni che Scott Morrison con il suo esecutivo prenderà nel prossimo futuro saranno proprio la base, tra tre anni, per una eventuale riconferma alla Lodge dell’uomo che ha conquistato, a suon di voti conquistati territorio per territorio, la sua incontrastata leadership.