Oltre a temperature rigide, l’arrivo dell’inverno ha portato con sé una settimana particolarmente turbolenta a Canberra e nessun partito è rimasto indenne.

Tra l’intervista a pagamento di Barnaby Joyce (andata in onda ieri sera), le parolacce di Greg Hunt e il mandato di comparizione in tribunale di Michaelia Cash, il governo ha avuto una bella sfilza di ‘gatte da pelare’, che non sono finite nel fine settimana, quando la saga della doppia cittadinanza si è riaperta, andando a colpire proprio una senatrice liberale. Nonostante un parere legale ne avesse già chiarito la posizione, lo scorso fine settimana, i giornali del gruppo News Corp hanno riportato un diverso parere di un professore dell’Università di Nairobi, secondo cui la senatrice del South Australia di origine keniota, Lucy Gichuhi, non sarebbe “solo e solamente cittadina australiana” come da lei dichiarato con tanto di lettera dall’alto commissario del Kenya a Canberra che confermava come non fosse più riconosciuta come cittadina keniota dal 2010. Per il governo la questione è chiusa: c’è un parere legale forte sulla sua posizione e “mi fido della sua parola”, ha detto il ministro delle Relazioni sul posto di lavoro Craig Laundy, mentre il ministro dell’Istruzione Simon Birmingham ha ricordato che, lo scorso agosto, era stata la stessa Alta Corte a decretare la candidabilità di Gichuhi.

E a proposito di doppie cittadinanze, il motivo dietro a quattro delle cinque elezioni suppletive che si terranno il prossimo 28 luglio, un sondaggio pubblicato ieri da Sky/Reachtel ha messo in evidenza come, se due di queste suppletive si fossero tenute questo weekend, il partito laburista avrebbe incassato una doppia sconfitta.

Secondo il rilevamento, infatti, la Coalizione è in vantaggio al 52%, contro il 48% dei laburisti, nel seggio di Longman in Queensland e gode di un margine ancora maggiore in quello di Braddon, nel nord della Tasmania, dove è data al 54% contro il 46%.

Numeri che sono fonte di preoccupazione per l’opposizione (benché il partito di Bill Shorten venga dato in vantaggio al 52% a livello nazionale), soprattutto a causa delle divisioni interne che la stanno attanagliando al momento.

Le fratture hanno continuato ad acutizzarsi in questi giorni, con il presidente nazionale del Partito laburista, Mark Butler, che si appresta a presentare una mozione per cambiare le regole sulle preselezioni per il Senato al Congresso nazionale che si terrà dal 16 al 18 dicembre, dopo essere stato posticipato a causa della sovrapposizione con il ‘supersabato’ elettorale del 28 luglio. La mossa, che punta a democratizzare il processo di scelta dei candidati mettendola in mano agli 50mila iscritti invece di lasciarla ai leader delle diverse fazioni, sarebbe invisa alla destra del partito capitanata da Shorten e rischia di creare una vera e propria burrasca in seno ai Labor.

Ma nonostante i guai che sono piovuti addosso a laburisti e Coalizione, se ci fosse un premio per la settimana peggiore, a vincerlo sarebbe sicuramente Pauline Hanson.

La settimana scorsa, infatti, Brian Burston è diventato il ventiquattresimo (su 30) parlamentare di One Nation a venire cacciato o a lasciare il partito durante il mandato. La rottura, questa volta, si è consumata sulla proposta del governo dei tagli fiscali alle grandi aziende, a cui Burston è rimasto favorevole invece di seguire Hanson nella sua giravolta che la vede ora opposta al provvedimento (quanto durerà questa posizione, che cercava di cavalcare il malcontento popolare, è da vedere, dato che molti sondaggi, come il già citato Sky/Reachtel, danno ora una maggioranza di elettori a favore degli sgravi, con il 49% contro il 43%. Nel seggio di Longman, nel Queensland di Pauline Hanson, gli elettori favorevoli arriverebbero addirittura al 58%).

Dopo il rifiuto di Burston a seguire la nuova linea di partito, la leader di One Nation gli ha fatto recapitare una lettera in cui gli chiedeva di dimettersi e di lasciare a lei la decisione di chi mettere al suo posto. “Brian mi ha pugnalato alle spalle” è stata la drammatica dichiarazione in un’intervista a Sky News, durante la quale Hanson non è riuscita a trattenere le lacrime. Ma il senatore del New South Wales si è rifiutato di farsi da parte ed è ora pronto a entrare nei ranghi dei ‘cross bencher’.  Questa ennesima rottura in seno a One Nation potrebbe avere importanti ramificazioni per il governo: cosa significherà per i tagli fiscali? Come risponderanno gli elettori del partito populista? Saranno solidali con Hanson, che gioca sulla retorica della donna forte che si rialza nonostante i colpi bassi dei ‘politici di professione’, oppure la penalizzeranno per non aver saputo, ancora una volta, tenere insieme il partito? Dagli ambienti della politica, finora, di solidarietà a Pauline ne è arrivata ben poca, con l’ex senatore di One Nation Fraser Anning (ora indipendente) che ha parlato di “forte caso di déjà-vu”, definendo la leadership di Hanson alienante.

Secondo quanto riportato dai media, nonostante il rifiuto di Burston a lasciare, Hanson avrebbe già iniziato a proporre a varie persone di prendere il suo posto. Tra queste, l’ex leader laburista Mark Latham (tristemente noto per la ‘vigorosa’ stretta di mano con John Howard che avrebbe segnato l’inizio della sua fine). Quest’ultimo ha rifiutato di confermare o smentire l’offerta, tuttavia, secondo quanto affermato nel fine settimana dal senatore David Leyonhjelm c’è “un’alta probabilità” che il ritorno in politica di Latham avverrà piuttosto con i Liberal Democratici.