Più politicamente intensa di così non poteva essere l’ultima domenica prima del voto: presentazione ufficiale non solo della campagna della Coalizione (a Sydney), ma anche di quella dei Verdi (a Melbourne) alle quali i laburisti hanno cercato di strappare un po’ di ossigeno mediatico con una insolita presentazione bis della loro campagna a Brisbane e l’apertura dei libri contabili, controllati da revisori indipendenti, sulle spese del programma annunciato e le previsioni di bilancio. Il tutto sulle ali dell’avvenimento globale ‘clou’ della settimana, l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea.

Ed è proprio da quest’ultimo punto che bisogna partire per cercare di fare un po’ di chiarezza sulla situazione politica nazionale a pochi giorni dal voto. In ogni campagna, infatti, sembra esserci un momento di svolta: un fatto, un commento, un gesto, una domanda che aiuta a far pendere l’ago della bilancia da una parte o dall’altra.

In questa campagna la svolta potrebbe essere stata determinata da quello che è successo giovedì scorso dall’altra parte del mondo, la vittoria, sotto moltissimi aspetti, inaspettata del ‘leave’, dell’abbandono della Ue da parte del Regno Unito.

Entrambi i leader dei due maggiori partiti australiani non hanno aspettato un istante per cercare di ‘sfruttare’ l’effetto Brexit, ma in questo caso è indubbiamente il governo in carica a beneficiare delle incognite che riserva la decisione dei cittadini britannici e delle immediate turbolenze finanziarie create dal no all’Europa. “Mai come in questo momento c’è un assoluto bisogno di stabilità”, ha detto subito Turnbull, “non è il momento di correre rischi”. Nervi saldi e redini del Paese in mani sicure, niente fantasie, niente incertezze.

“Stabilità o caos” era già stato anticipato come lo slogan aggiuntivo degli ultimi giorni di campagna ed è stato ribadito più volte, ieri, nella presentazione ufficiale del programma liberale. ‘Show’ decisamente più sobrio di quello laburista di una settimana fa: maxi schermi, in prima fila i due ex primi ministri John Howard e Tony Abbott - che Turnbull ha intelligentemente associato nel suo ringraziamento per il lavoro svolto garantendo l’applauso senza distinzioni di gradimento - e lo sciorinare di tutti i punti della piattaforma elettorale del governo, con particolare attenzione per sicurezza e richiedenti asilo, giusto per non lasciarsi sfuggire l’opportunità di restituire con gli interessi ai laburisti le “paure” istigate sul Medicare. Nel lungo intervento, preceduto da quelli del leader dei nazionali Barnaby Joyce e del ministro degli Esteri Julie Bishop, anche qualche immancabile novità, prestando attenzione ad alcuni temi sicuramente importanti, che possono regalare anche qualche voto in più: ecco quindi 192 milioni per la salute mentale (con 50 riservati ai programmi di  prevenzione dei suicidi tra i giovani, vera piaga della società australiana), 64 milioni per arginare l’importazione di armi illegali, 50 per aiutare le famiglie svantaggiate nelle spese scolastiche, altri 50 per tenere gli anziani al passo con le nuove tecnologie e 30 milioni per incoraggiare le ragazze a studiare scienze, tecnologia, ingegneria e matematica.

Anche Shorten ha invocato la Brexit come motivo in più per votare laburista, perché l’uscita dalla Gran Bretagna dalla Ue, ha detto il leader dell’opposizione, è stata determinata dalle insicurezze, dalle insoddisfazioni e le disuguaglianze create da un leader (David Cameron) debole, insicuro, manovrato dalla frangia più conservatrice del suo partito, “un leader alla Malcolm Turnbull, per intenderci”, ha detto il capo dell’opposizione, ricordando poi che, in fatto di gestire emergenze, il Partito laburista non è secondo a nessuno. “Offre garanzie provate ai tempi della crisi finanziaria globale - ha affermato Tanya Plibersek, in perfetta sintonia, in un’intervista televisiva -, con il pronto intervento anti-recessione di Kevin Rudd”. Naturalmente la vice leader laburista, ha sorvolato sul fatto che l’operazione è perfettamente riuscita perché in cassa c’erano svariati miliardi accumulati negli anni ‘buoni’ dagli ultra-parsimoniosi Howard e Costello.

Oggi non sarebbe stato possibile farlo perché le casse sono vuote e lo saranno ancora di più nei prossimi quattro anni con un governo laburista, grazie al piano economico riconfermato ieri nella presentazione del conto-spese degli impegni elettorali fatta dai ministri ombra del Tesoro, Chris Bowen, e delle Finanze, Tony Burke. “Fra dieci anni staremo meglio”, hanno assicurato, ricorrendo a grafici e proiezioni di entrate ed uscite, ma nei prossimi quattro staremo peggio in fatto di disavanzo, per circa 16 miliardi di dollari rispetto ai preventivi di gestione dei liberal-nazionali. Poi ritorno in attivo, esattamente nello stesso anno promesso dalla Coalizione (2020-21) che ha, secondo Bowen, semplicemente intrapreso un’altra strada, quella sbagliata e non rivelata dei tagli di spesa che “saranno annunciati solo dopo le elezioni”. Non è probabilmente il caso di credere a nessuno dei due (non al riguardo delle intenzioni ma del raggiungimento degli obiettivi nei tempi annunciati), dato che ci sono di mezzo innumerevoli varianti fuori controllo come l’economia mondiale e il Senato che ci sarà. 

Sedici miliardi di differenza comunque non sono una ‘tragedia’, anche se la Coalizione si assicurerà di dirci che non è proprio così, che i conti non tornano e ha già cominciato ieri a preparare il terreno, con il ministro delle Finanze Mathias Cormann pronto a far osservare che nei conti dell’opposizione sono inclusi anche tre miliardi di tagli liberali sulla Superannuation che i laburisti non garantiscono di approvare. 

Brexit svolta a favore di Turnbull anche perché ha permesso al capo di governo di riportare il dibattito della campagna esattamente dove voleva: sull’economica, la credibilità, la “necessità”, sottolineata a più riprese ieri dal palco di Homebush (seggio di Reid, nei sobborghi occidental di Sydney) non solo di non cambiare governo, ma di assicurare alla Coalizione una solida maggioranza senza rischiare di trovarsi, sabato sera, con Shorten primo ministro in partnership con verdi e indipendenti e senza regalare a partiti minori, come quelli di Lambie, Xenophon, Lazarus o Hanson, la possibilità di ostacolare, per puro populismo, decisioni importanti prese nell’interesse dell’intera nazione.

La Brexit è arrivata in un momento in cui gli strateghi della Coalizione avevano cominciato seriamente a preoccuparsi per la trazione popolare che la campagna sulla presunta privatizzazione del Medicare cominciava ad avere, anche grazie ad una strategia d’assalto adottata dall’opposizione con le “paure” comunicate a viva voce agli elettori scelti per genere, età ed occupazione. Telefonate con messaggio personalizzato, utilizzando voci e modi diversi per comunicare i rischi che il Medicare e i cittadini correrebbero con il ritorno di Turnbull alla Lodge. Un ricorso al peggio, un impoverimento estremo della qualità e onestà del messaggio politico. E poi c’è ancora qualcuno che si domanda perché cresce sempre più il numero dei disaffezionati della politica, degli arrabbiati, dei delusi, di quelli che sabato (si parla di almeno il 15 per cento) non voteranno né per la Coalizione, né per i laburisti, né per i verdi, ormai considerati sempre più parte del gioco.