I fatti stanno dando ragione alle sensazioni: parlamento sull’orlo del caos, Turnbull che è diventato una specie di re Mida alla rovescia. Non gliene va bene una. Ci sta provando ma tutto attorno a lui sembra stia girando per il verso sbagliato.

Perfino alla riunione dell’Apec in Vietnam gli è andata male: sperava di tornare con il Trattato di libero scambio Trans-Pacifico (Tpp) firmato dagli undici Paesi rimasti al tavolo, dopo l’abbandono  post-elettorale di Donald Trump, ed invece all’ultimo momento, e senza alcun preavviso, c’è stato il ripensamento dell’amico canadese, Justin Trudeau. Sedia vuota, sguardi imbarazzati, poi l’immancabile necessità di vedere il bicchiere mezzo pieno.  

“Un intoppo, ma si procede comunque. Queste trattative sono sempre complesse, gli impegni non cambiano e la firma dell’accordo è solo rinviata”, ha detto Turnbull ‘a caldo’ e lo ha ribadito ieri il ministro del Commercio estero, Steve Ciobo al suo ritorno in Australia in un’intervista televisiva. 

Sorrisi e ostentata tranquillità anche su un’altra notizia che ha raggiunto il primo ministro in Vietnam: l’uscita di scena del collega John Alexander, con passaporto virtuale britannico oltre che australiano, via padre. Inutile aspettare l’Alta Corte, saluti e suppletive a Bennelong probabilmente già a metà dicembre.

L’ex campione di tennis si ripresenterà nel seggio che l’ex primo ministro John Howard aveva clamorosamente perso nella disfatta liberale del 2007. Alexander l’ha riconquistato contro l’ex giornalista Maxine McKew nel 2010 e difeso con successo nel 2013 e lo scorso anno, aumentando il distacco con l’Alp. Lo detiene con un margine del 9 per cento e probabilmente lo riconquisterà ancora, ma nel frattempo a Canberra il governo si ritroverà in minoranza. Fino al 2 dicembre, data delle suppletive per New England, la Coalizione avrà soltanto 74 rappresentanti, in un’aula di 148, che diventano, di fatto, 73 perché uno è chiamato a svolgere il ruolo di presidente della Camera.

“Nessun dramma” assicura Turnbull perché l’indipendente Cathy McGowan e la deputata Nxt, Rebekha Sharkie non hanno alcuna intenzione di creare ancora più caos di quello che c’è e appoggeranno il governo fino a quando non sarà scritta la parola fine alla saga della cittadinanza. Ed è anche perfettamente inutile la “minaccia” del leader dei verdi, Richard Di Natale di andare a parlare con il Governatore generale sollecitando un suo intervento per ‘ricominciare da zero’: non è il suo ruolo, non è nei suoi poteri chiederlo, meglio che si risparmi la strada e l’imbarazzo.

Ma non ci sono dubbi che Turnbull sta ormai lottando per la sua sopravvivenza, che gli errori che ha commesso nell’affrontare questa crisi hanno ulteriormente indebolito la sua leadership, la sua autorità all’interno della Coalizione e la sua credibilità agli occhi degli elettori: prima l’esagerata sicurezza sulla decisione favorevole dell’Alta corte nei confronti di Barnaby Joyce, poi le accuse di ‘caccia alle streghe’ e il rifiuto di qualsiasi intervento scaccia-crisi, quindi la minaccia di guerra aperta ai laburisti con ‘denuncia’ al tribunale costituzionale dei casi sospetti nelle file dell’opposizione.

Gongola quindi Bill Shorten, anche se con tre laburisti sulla graticola (Justine Keay, Susan Lamb e Josh Wilson) c’è sempre il rischio di dover rivedere una strategia che punta sullo sfruttare quanto più si può il momento favorevole. Infatti, in perfetto stile Abbott ai tempi della guerriglia anti Gillard, il leader dell’opposizione non indietreggia di un passo: accuse di governo allo sbando, rifiuto di qualunque tipo di compromesso, collaborazione zero su qualsiasi tentativo di risolvere con un approccio ‘bipartisan’ una crisi politica che alla lunga potrebbe anche portare ad elezioni anticipate, ma che a breve termine sicuramente forzerà una serie di  suppletive.

Ci saranno altri ricorsi all’arbitro costituzionale e ci saranno inevitabili bocciature che si tradurranno in un ‘election day’ che vedrà coinvolti almeno una mezza dozzina di seggi. Bennelong probabilmente farà da prologo già il 16 dicembre, con un quasi certo ritorno a Canberra di Alexander che, secondo un sondaggio-lampo, ‘piace’ agli elettori di un collegio diventato molto più multietnico che nel passato.

Acque agitate anche attorno alla rappresentante del Nick Xenophon Team: Rebekha Sharkie sa di essersi candidata con la doppia cittadinanza nel cassetto, ma aveva fatto domanda per la cancellazione di quella britannica senza ottenere risposta per tempo. All’Alta corte di compito di decidere se può essere ‘scusata’. Nel frattempo la figlia dell’ex ministro degli Esteri Alexander Downer, Georgina, sta preparando la campagna per riportare Mayo sotto il controllo liberale, anche se la deputata del Nxt sembra essere riuscita a costruirsi un discreto seguito personale.

Suppletive più che possibili nei seggi ‘laburisti’ di Braddon (Tasmania), Longman (Queensland) e Fremantle (WA): Justine Keay sa che non era ‘solo australiana’ quando è entrata in Parlamento vincendo con un vantaggio del 2,2 per cento in un collegio mai scontato. Sta ancora peggio Susan Lamb, anche lei ‘solo australiana’ dopo la candidatura, nel seggio di Longman, vinto con meno dell’uno per cento di margine quando One Nation non contava come conta oggi. Le preferenze del terzo incomodo saranno cruciali se si ritornerà alle urne. Pochi problemi invece per Josh Wilson in caso di ritorno al voto a Fremantle

Difficile comunque per un’opposizione perdere seggi nelle suppletive, quindi maggiori rischi per la liberale Julia Banks, nel caso di ricorso ad una prova supplementare, a Chisolm (Victoria): manco a dirlo la deputata giura e rigiura che l’ambasciata greca le avrebbe confermato che non ha nulla da temere in fatto di cittadinanza, ma i laburisti hanno più di qualche dubbio in proposito. Il 2,2 per cento di vantaggio del luglio scorso potrebbe dimostrarsi insufficiente per rimanere a Canberra.

Un ‘election day’ pieno di incognite comunque quello che quasi sicuramente arriverà nei primi mesi del prossimo anno, necessario per ridare fiato ad un governo alle corde. Una cosa è certa: da qui alla pausa natalizia non ci sarà pace per Turnbull che dovrebbe essere in grado di incassare qualche plauso per il promesso via libera parlamentare ai matrimoni gay, se mercoledì prossimo l’Ufficio di statistica confermerà la vittoria del sì nell’infinito plebiscito/sondaggio chiuso la scorsa settimana. Alcuni colleghi non stanno facilitando il compito del primo ministro con le loro richieste su protezioni e vincoli, ma il capo di governo non può permettersi il lusso di non mantenere la promessa di approvazione ‘immediata’ della legge in questione e i laburisti, in questo caso, non dovrebbero mettersi di traverso, anche se probabilmente qualcuno sta già studiando come potrebbe creare qualche ulteriore imbarazzo per Turnbull, dati i ben noti ‘tormenti’ sul tema all’interno della Coalizione.

Fa parte del gioco, mai stato così balcanizzato in Australia. Tutto è cambiato negli ultimi dieci anni e per il peggio: ostruzionismo estremo, superficialità generale, scarsa qualità del dibattito politico e dei protagonisti di una partita che quest’anno non avrà pause. Dicembre ad altissima tensione in Parlamento, gennaio di campagna per l’election day di febbraio o inizio marzo. Senza tregua e con gli stessi deludenti limiti dell’era Gillard-Abbott.