L’eco della musica italiana si è fermata in un momento di profondo silenzio: è morto all’età di 80 anni James Senese, sassofonista, compositore e cantante che ha fatto della contaminazione fra jazz, soul, blues e la tradizione napoletana una forma d’arte. Nato a Napoli il 6 gennaio 1945, da madre italiana e padre afroamericano arrivato come soldato nel secondo dopoguerra, Senese porta sin dal nome la doppia identità che avrebbe segnato tutta la sua vita e la sua musica: Gaetano ‘James’ Senese. Cresciuto nel quartiere periferico di Miano-Piscinola, trova nella musica il mezzo per affermare una voce originale, radicata e allo stesso tempo aperta al mondo. La svolta arriva con la fondazione nel 1974 dei Napoli Centrale, gruppo guidato dallo stesso Senese insieme a Franco Del Prete, che coniuga il jazz‑rock, il funk, il blues, il dialetto napoletano e una forte tensione sociale e musicale. Con Napoli Centrale Senese dà vita a un’idea di ‘Neapolitan Power’ che rompe schemi e ridefinisce il concetto di musica partenopea: non più solo melodia tradizionale, ma un suono urbano, internazionale, ribelle.
Ma la sua influenza non si ferma qui: è spesso accanto a Pino Daniele nei momenti più fertili della scena musicale napoletana, contribuendo con il suo senso del sax a definire brani diventati classici. Negli anni ha inciso anche da solo, dimostrando uno stile inconfondibile: ruvido, elegante, carico di anima. Senese era ricoverato da un mese presso l’Ospedale Cardarelli di Napoli per una polmonite, e le complicazioni hanno reso inevitabile l’addio. Le circostanze restituiscono non solo l’artista, ma l’uomo nel suo contesto: la periferia, la storia sociale, la resistente vitalità della città che l’ha visto crescere e che adesso lo saluta. Al cordoglio si sono uniti musicisti, artisti, istituzioni, semplici ammiratori: un segno che la perdita travalica la sfera dell’intrattenimento per toccare quella dell’identità culturale. “Napoli ha perso il Vesuvio”, ha scritto l’amico Enzo Avitabile.
Senese lascia molto più di una discografia: lascia un modello di come la musica possa raccontare radici e orizzonti, oppressione e riscatto. Nato in un contesto difficile Senese ha sempre dichiarato di essersi sentito ‘metà’ e di aver fatto della sua diversità una forza creativa, coprendo più di mezzo secolo di musica. E se la fine è arrivata, l’opera rimane: le note, le performance, le interviste, la presenza nelle installazioni urbane napoletane. Una musica che esce dai club e dai dischi per collocarsi nello spazio pubblico, nei quartieri, nella memoria condivisa. Non un musicista che ha inseguito le mode, ma uno che ha costruito un linguaggio proprio, mantenendo radici, identità e contemporaneamente apertura. Lui stesso diceva “Io sono la moda”, sottolineando la forza del proprio essere altrove rispetto al giro. Il suo sax non era solo strumento, ma voce: grido, canto, invito a cambiare. Un sassofono che raccontava Napoli senza cliché e non rinunciava all’universale. È stato un punto di riferimento: per chi vive la periferia come inizio di una storia, per chi crede che la musica possa essere veicolo di verità e radicamento, per chi pensa che la tradizione non debba essere statica ma rigenerata.