Non è la prima volta che in politica qualcuno esagera un po’ nel prendersi qualche merito, ma in questo caso il primo ministro Anthony Albanese e la responsabile degli Esteri, Penny Wong, potevano tranquillamente risparmiarsi lo sforzo.

Cercare di ritagliarsi qualsiasi ruolo per l’accordo di pace  in Medio Oriente, è quanto mai inopportuno, semplicemente perché non è stato di certo il sostegno dell’Australia al riconoscimento della Palestina (criticato apertamente sia da Israele che dagli Stati Uniti) a convincere Donald Trump ad agire e a Benjamin Netanyahu di rispondere favorevolmente alla proposta di negoziare con Hamas un piano per porre fine a una tragedia di straordinarie proporzioni: un processo in 20 punti, partito in una sua prima fase, ma che più incerto e lontano da una completa realizzazione non potrebbe ancora essere. 

Ma viva l’ottimismo, perché ne abbiamo tutti bisogno, e celebriamo quindi i primi importanti passi di questo piano di pace che ha portato al cessate il fuoco entrato in vigore venerdì scorso, a cui ha fatto immediato seguito l’inizio del ritiro delle truppe israeliane da Gaza e dovrebbe ora completarsi, nella sua prima fase, con l’atteso rilascio dei rimanenti 20 ostaggi ancora vivi (non sono ancora chiari i tempi per i corpi dei 28 morti) nelle mani di Hamas. In cambio Israele lascerà liberi quasi 2000 palestinesi, decine anche con condanne all’ergastolo per terrorismo. 

Albanese vuole qualche applauso in tutto questo, mentre la senatrice Wong, poche ore dopo che l’accordo è stato approvato dal gabinetto di governo israeliano, ha dichiarato a Sky News: “Questo piano di pace è storicamente senza precedenti. È stato il contributo più grande alla pace che abbiamo visto da molto tempo. (Trump) gioca secondo un copione diverso e sta funzionando.”

Le lodi entusiaste al leader statunitense, da parte di una delle più importanti esponenti della sinistra laburista, sono arrivate poco dopo che il primo ministro aveva affermato che il suo governo aveva  “sempre detto” che un accordo di pace duraturo avrebbe richiesto la leadership degli Stati Uniti. Prima ancora aveva indicato il riconoscimento dello Stato di Palestina in occasione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, come determinante per creare il “momento favorevole” all’accordo annunciato dal presidente Usa. 

“La comunità internazionale ha lavorato insieme per un anno per cercare di creare le condizioni per un percorso verso la pace, per costruire slancio”, ha dichiarato ancora – sulla scia di Albanese –, Penny Wong. “Il Regno Unito, il Canada, l’Australia e molti altri Paesi hanno cercato di riconoscere (la Palestina), per contribuire a creare quello slancio” che ha portato alla fine della guerra a Gaza. La senatrice ha continuato dicendo che l’approvazione del piano di pace da parte del gabinetto israeliano è stata accolta con “sollievo e gioia” in tutto il mondo, accusando l’opposizione di avere sempre ostacolato gli sforzi del governo.

“(L’opposizione) ha frainteso ciò che il presidente Trump e la comunità internazionale stavano cercando di realizzare”, ha affermato la portavoce degli Esteri. “La comunità internazionale, il popolo australiano e il governo australiano sono sempre rimasti allineati. Spero che ora si possa avere e vedere un approccio diverso in questo Paese, dove chi ha voluto usare ciò che accade a Gaza come strumento di divisione politica possa ora finire di farlo, in modo di poter parlare con una sola voce… a favore della pace.”

Dichiarazioni che hanno lasciato tutti alquanto perplessi, qualcuno anche comprensibilmente indignato, come l’ex ministro del Tesoro Josh Frydenberg che, in un articolo pubblicato sul The Weekend Australian, ha parlato di una “rivendicazione di merito sbagliata, offensiva” che “non resiste nemmeno a un secondo di analisi”.

“Spero che nei prossimi giorni vedremo immagini degli ostaggi che abbracciano le loro famiglie e la loro ritrovata libertà. Sarà un trionfo dello spirito e un trionfo per Trump”, ha scritto sul The Weekend Australian. “Ma non pensiate nemmeno per un istante che l’Australia abbia contribuito a farlo accadere, perché non è così, e ogni affermazione contraria è una distorsione della realtà ed è estremamente offensiva. Gli ultimi due anni sono stati tra i più vergognosi della storia diplomatica australiana e Penny Wong dovrebbe essere condannata per essersi presa il merito del traguardo raggiunto da altri.”

E, in effetti, le dichiarazioni del capo di governo e del ministro degli Esteri sull’“accordo di pace senza precedenti” promosso da Trump rappresentano i commenti più positivi arrivati dal fronte laburista nei confronti del presidente americano dal suo ritorno alla Casa Bianca, tanto che durante la campagna elettorale per le elezioni di maggio, per screditare l’allora leader dell’opposizione Peter Dutton si era proprio cercato di paragonarlo al magnate Usa.

Ora la svolta e il desiderio di essere della partita: Albanese, infatti, ha detto che Trump “merita le congratulazioni per la leadership dimostrata dagli Stati Uniti” per risolvere l’ immensa crisi in Medio Oriente e ha lasciato aperta la possibilità che anche i peacekeeper australiani possano unirsi ai 200 soldati statunitensi che saranno schierati per monitorare l’attuazione dell’accordo tra Hamas e Israele e aiutare a ripristinare i flussi di aiuti umanitari.

Un riposizionamento inevitabile visto l’evolversi della situazione, nonostante che molte cose possono ancora andare storte, anche in vista della visita programmata alla Casa Bianca di lunedì 20 ottobre che, a questo punto, Albanese spera più che mai che non slitti proprio in virtù degli impegni di Trump di questa settimana in Israele ed Egitto, con un’agenda presidenziale che si infittisce di speranze ora legate anche alla guerra in Ucraina. 

Dalla parte dell’Australia, in questo momento, il nuovo irrigidimento Usa nei confronti di Pechino legato soprattutto alla questione dei minerali critici. Sabato il ministro per il Commercio estero, Don Farrell, ha infatti parlato della possibilità di arrivare ad un accordo con Washington per quanto riguarda l’estrazione dei minerali in questione, anche se in questo campo ci sono trattive in corso anche con il Giappone e la Corea del Sud.

L’Australia, ha ammesso il ministro, non è all’avanguardia per ciò che concerne il complesso processo minerario di questo particolare settore: per questo il coinvolgimento di altre nazioni più avanzate nel campo della ricerca e dello sviluppo delle pratiche di estrazione e lavorazione è indispensabile per lo sfruttamento di materiali che sono destinati a giocare nei prossimi anni un ruolo – secondo molti esperti – paragonabile a quello avuto dal petrolio.

Sempre in relazione alle nuove tensioni con Pechino, aumenta anche l’importanza del piano AUKUS sui sommergibili nucleari e nell’incontro alla Casa Bianca potrebbe arrivare l’ufficializzazione del via libera (anticipato nelle scorse settimane) all’accordo, dopo il lungo processo di revisione avviato dal Pentagono e i milioni di anticipo già versati nelle casse Usa per l’acquisto di due sottomarini della classe Virginia, prima di arrivare ad una ancora lontanissima produzione in Australia.