Claudio Baglioni non ha per niente l’aria di uno che ha annunciato già da tempo il ritiro entro la fine del prossimo anno. I progetti sono tanti. E sono importanti. È appena uscito, totalmente ricantato e suonato dal vivo con nuovi arrangiamenti, 21 musicisti e coristi, “La vita è adesso”, l’album del 1985 che dopo 40 anni detiene ancora, con le sue 4,5 milioni di copie, il record di album più venduto nella storia in Italia (“di gran lungo il più venduto”, sottolinea lui con un misto di orgoglio e di ironia). Le celebrazioni per l’anniversario di uno dei dischi più importanti per la musica italiana sono accompagnate anche dalla pubblicazione, a partire dal 18 giugno, di un cofanetto in edizione limitata che oltre al disco include un volume illustrato (da Emiliano Ponzi) che reinterpreta i temi dei testi. E poi l’attività live che nell’estate del 2026 lo riporterà, dopo 15 anni e con 40 date, per quello che ha voluto chiamare Grand Tour come il viaggio che intraprendevano i giovani aristocratici e intellettuali del 18O secolo, negli spazi all’aperto più prestigiosi e soprattutto lo riporterà a Lampedusa, l’isola dove per 10 anni, dal 2003 al 2012, è stato la mente del festival “O’ Scià”, per l’anteprima il 27 settembre (a ingresso gratuito). Sarà in quell’occasione che svelerà date e luoghi del suo giro alla (ri)scoperta dell’Italia, “di cui vorrei fare anche un reportage fotografico”.
“Appena ho annunciato che mi sarei fermato, ho pensato che stavo facendo una cavolata - ammette il cantautore romano -. Ma confermo quello che dissi. Penso di aver fatto bene: in questo modo ho incorniciato tanti progetti che altrimenti sarebbero stati meno identitari. Mille è una cifra simbolica, magari si sfora, ma mi piace aver dato un senso a tutto ciò”. Durante i live che verranno, Baglioni canterà tutte e 10 le canzoni di “La vita è adesso”, che nella versione che torna in stampa, ha aggiunto il sottotitolo “Il sogno è sempre” (che è anche l’inedito che chiude il disco e che in una prima versione oggi rivista era nell’album live “Assolo” del 1986), “perché se non ci fosse la possibilità di sognare, non ci sarebbe un attimo che valga la pena vivere”.
“Il mio sogno? Avere sempre un sogno”. “Ancora oggi non so spiegarmi il perché del successo che ha avuto”, racconta Baglioni, ricordando come anzi dopo il primo ascoltò lo giudicò “un lavoro orrendo”. “È evidente che mi sono sbagliato. All’inizio il titolo era un altro: ‘Un bar sulla città’. L’avevo immaginato e scritto seduto a un tavolino all’aperto allo Zodiaco, storico bar, ormai chiuso da anni, accanto all’Osservatorio di Monte Mario. Davanti c’era tutta la città da guardare. Un milione di storie, teste, volti, cuori, voci. Restavo finché il sole non scendeva dietro e se avevo combinato qualcosa di buono mi offrivo un bicchiere di spumante. Fu così che, brindando con me stesso e tutta quella gente lontana e sconosciuta, mi venne da esclamare Evviva la vita! La vita è adesso”. Le musiche arrivavano con facilità; i testi meno: “Perché ho sempre avuto difficoltà a unire il compositore con l’autore”. “Il 1985 – ricorda – fu anche l’anno in cui Pippo Baudo incoronò ‘Questo piccolo grande amore’ canzone del secolo. Il premio mi fu consegnato a Sanremo, in un festival che in quel periodo era atrofizzato dal playback. Io cantai piano e voce. Dall’anno dopo gli artisti tornarono a cantare dal vivo”.
E anche se i ricordi tornano indietro, non c’è la nostalgia a dettare la linea. “Non amo le celebrazioni, perché sembrano già commemorazioni. Si perde troppo tempo a guardarsi indietro invece che a fare qualcosa di nuovo”. E allora invece che accontentarsi di una “romanella” da dare al disco, magari con una riedizione e una rimasterizzazione, l’idea diventa quella di ricantare e risuonare tutto “come si faceva una volta”. Anche il ritorno a Lampedusa porta con sé significati che vanno oltre la musica. “Sono contento di partire non da un luogo conosciuto per il bel teatro o per un parco naturale, ma da un’isola straordinariamente bella, anche per le vicende che ha avuto”. E poi lancia una frecciatina ai colleghi impegnati “a ore” sui temi sociali. “Tutti quelli che si avvicinano a una causa, lo fanno per farsi perdonare il successo. Tanti firmano petizioni e costruiscono eventi di cui sanno poco: più che soldati sono trombettieri che suonano la carica. Per ‘O’ Scià’ non è stato così: 10 anni di festival con oltre 300 artisti. Lo portiamo nel cuore. Forse è il mio ultimo giro vero, e sono entusiasta che parta da qui”. Ancora in forse la location: la banchina “o più probabilmente il campo sportivo vicino al porto nuovo: fu meta della prima visita pastorale di papa Bergoglio”.
A guardarsi indietro Baglioni fa ancora fatica a capire cosa sia successo in una carriera lunga sessant’anni: “Per me che ero timido, introverso, ripiegato su me stesso, con quegli occhiali spessi, fare questo mestiere è stata una stranezza della vita. Alla fine gli artisti sono persone imperfette, la cui funzione è avere antenne sensoriali per captare quello che accade attorno a loro. Oggi forse quello che ci circonda è meno stimolante e non c’è capacità di descrivere a passo largo: vedo meno artisticità e più furbizia in ciò che si fa”.