TEL AVIV - L’uccisione di Yahya Sinwar non ferma la guerra a Gaza. L’ultimo massiccio bombardamento israeliano ha colpito sabato sera un complesso residenziale nella città di Beit Lahiya, nel Nord della Striscia: almeno 87 persone sono morte e altre 40 sono rimaste ferite secondo un bilancio del ministero della salute di Hamas, molti i dispersi ancora sotto le macerie.
“L’incubo a Gaza si sta intensificando. Scene orribili nella Striscia settentrionale, tra conflitti, incessanti attacchi israeliani e una crisi umanitaria in continuo peggioramento”, ha denunciato il coordinatore dell’Onu per il processo di pace in Medio Oriente Tor Wennesland, secondo il quale a Gaza nessun luogo è sicuro per i civili.
Dal canto suo, l’Idf (Forze di difesa israeliane) ha smentito i dati pubblicati dai funzionari palestinesi: “Il numero delle vittime è esagerato, e non corrisponde alle informazioni dal terreno che abbiamo, che ha usato munizioni di precisione e accuratezza nel colpire”.
Secondo quanto informato ai media locali da un funzionario israeliano, “Con l’uccisione di Sinwar, Israele sta cercando un’opportunità per concludere la guerra a Gaza con un accordo sugli ostaggi”, anche se l’ufficio del premier Benyamin Netanyahu continua a ribadire che “la guerra non finirà finché non avremo raggiunto tutti i nostri obiettivi”.
Nel nord della Striscia proseguono anche gli scontri di terra, un colonnello israeliano è rimasto ucciso. L’Idf ha poi affermato che le truppe hanno eliminato decine di terroristi, smantellato infrastrutture e confiscato una grande quantità di armi, anche nel sud della Striscia.
Sul fronte libanese, dopo l’attacco di droni lanciato sabato contro la residenza di Netanyahu a Cesarea (che secondo fonti “ha provocato ingenti danni alla casa colpita, anche se non è stato specificato quale), operazioni di terra e raid aerei si sono intensificati. Il ministro della Difesa Yoav Gallant, in visita ai battaglioni al confine settentrionale, ha affermato che “Hezbollah sta crollando”.
I media arabi hanno riportato che il numero due di Hezbollah, Naim Qassem, si è trasferito a Teheran il 5 ottobre partendo da Beirut con l’aereo su cui ha viaggiato il ministro degli Esteri iraniano, Abbas Aragchi, dopo la sua visita in Libano. La Repubblica islamica ha intanto cercato di prendere le distanze dall’attacco a Cesarea addossando la colpa esclusivamente a Hezbollah.
Il portavoce del ministero degli Esteri iraniano, Esmail Baghaei, ha respinto ogni accusa sull’attacco di sabato: “Il regime sionista si è formato sulla base di menzogne”, ha detto. E nell’attesa della reazione israeliana, lo stesso Aragchi ha ammonito: “Qualsiasi attacco all’Iran sarà considerato come un superamento delle linee rosse e non resterà senza risposta”.
L’aeronautica militare israeliana ha lanciato due nuovi raid nel sud di Beirut. L’Idf ha comunicato di aver colpito un centro di comando della divisione di intelligence del gruppo islamista filoiraniano, e un sito sotterraneo di produzione di armi nella capitale libanese. Dal sud del Paese, i miliziani hanno martellato il nord di Israele e l’area di Haifa lanciando quasi 200 razzi nell’arco della giornata di domenica.