GAZA - Hamas afferma di stare discutendo una proposta di cessate il fuoco a Gaza, sostenuta dagli Stati Uniti con altri gruppi palestinesi, e che presenterà la sua risposta ai mediatori una volta conclusi i colloqui. Lo scrive Reuters sul suo sito, citata anche da Times of Israel.
Le dichiarazioni arrivano dopo che fonti di media vicine ad Hamas hanno affermato che il gruppo terroristico aveva dato una “risposta positiva” all’ultima proposta di tregua e di accordo per la consegna degli ostaggi.
L’accordo per una tregua di 60 giorni a Gaza resta in bilico, apparentemente appeso alla volontà di Hamas, che dovrebbe sciogliere la riserva a breve.
In attesa di una svolta dalla, Striscia continuano ad arrivare i bollettini quotidiani delle nuove vittime di guerra, almeno 94 secondo fonti palestinesi, che ha denunciato anche un raid contro una scuola-rifugio e spari sui civili in fila per gli aiuti. In una situazione umanitaria già catastrofica e aggravata ulteriormente dal caldo e dalla mancanza d’acqua.
Il via libera di Israele a una nuova proposta americana di cessate il fuoco, annunciato nei giorni scorsi da Donald Trump, ha smosso le acque dopo settimane di stallo. Anche Hamas ha mostrato una cauta apertura, perché Washington avrebbe garantito l’impegno a far rispettare la tregua a Israele anche dopo i primi 60 giorni, a condizione che i negoziati tra le parti proseguano in modo credibile.
La fazione che governa la Striscia ha fatto filtrare la sua “soddisfazione”, ringraziando i mediatori. Secondo i media sauditi, dovrebbe presentare la sua risposta ufficiale entro domani sera.
Nel merito del piano Usa, non sembrano esserci ostacoli allo scambio di prigionieri in diverse fasi, che prevede il rilascio di dieci ostaggi vivi insieme a 18 corpi in cambio della liberazione di un gruppo di detenuti palestinesi.
I dubbi di Hamas riguardano l’ingresso degli aiuti e il ritiro dell’Idf (Forze di difesa israeliane), menzionati nella proposta senza indicare date specifiche o allegare mappe. Inoltre, la fazione insiste sulla fine della guerra.
In Israele filtra moderato ottimismo e si attende l’incontro tra Benyamin Netanyahu e Donald Trump alla Casa Bianca lunedì prossimo. Il ministro dell’Energia Eli Cohen, membro del gabinetto di sicurezza, ha dichiarato che c’è “sicuramente la disponibilità a raggiungere un accordo”.
A spingere per l’intesa sono sempre i familiari degli ostaggi che, consentendo alla pubblicazione di un video di due ragazzi rapiti, hanno invocato il rilascio di tutti, vivi e morti, e subito. Lo stesso Netanyahu ha incontrato la madre dell’ostaggio Matan Zangauker nella sua prima visita al kibbutz Nir Oz dall’eccidio del 7 ottobre, ma è stato accolto da una dura contestazione.
A ostacolare l’accordo con Hamas è ancora l’ultradestra di governo di Itamar Ben Gvir e Bezalel Smotrich.
Sul terreno non ci sono segnali di un rallentamento delle ostilità. A Gaza City fonti mediche hanno affermato che almeno 17 persone sono rimaste uccise in un raid israeliano su un istituto scolastico che dava rifugio alle famiglie sfollate. E decine di civili sarebbero morti mentre andavano a prendere il cibo nei centri umanitari: almeno 45, sempre secondo Hamas.
Proprio riguardo a questa emergenza, l’Associated Press ha rivelato che i contractor americani che sorvegliano i centri di smistamento gestiti dalla Gaza Foundation (il controverso ente sostenuto da Usa e Israele, ma non dall’Onu) utilizzano munizioni vere e granate stordenti. L’agenzia americana ha raccolto le testimonianze di due contractor, secondo cui parte dei loro colleghi non sono qualificati, né controllati.
E ci sono nuove ombre anche sull’Idf: nel raid dei giorni scorsi sull’internet café sarebbe stato usato un ordigno Mk-82 da 230 chili, secondo quanto ha rivelato l’esame dei frammenti. Per gli esperti dei diritti umani è un’arma “illegale”.
La situazione della popolazione della Striscia è stata oggetto anche di un rapporto presentato a Ginevra dalla relatrice speciale delle Nazioni Unite sui diritti umani nei Territori palestinesi occupati, Francesca Albanese. Nel documento si accusano numerose imprese, a cominciare da produttori di armi e giganti tech - “dalla Lockheed a Leonardo, da Alphabet a Microsoft” - di contribuire al “progetto” di Israele di “sfollamento e sostituzione dei palestinesi nei territori occupati” e si chiede agli Stati membri di imporre un embargo totale sulle armi allo Stato ebraico e di sospendere tutti gli accordi commerciali.