“Sarà il peggior incubo per Jacinta Allan”. L’ex leader della Coalizione Michael O’Brien non ha dubbi in proposito: Jess Wilson è la scelta giusta per vincere le elezioni del 2026. Stessa positività per l’ex ministro federale del Tesoro, Josh Frydenberg: “Preparazione, ambizione, capacità di affrontare problemi e risolverli”. La giovane rappresentante del seggio di Kew è stata invitata a prendere in mano le redini del Partito liberale nel Victoria e ha accettato la sfida. Terzo leader in 11 mesi, ma “finalmente quello giusto” per porre fine all’amministrazione laburista, assicurano i superstiti di una squadra ridotta a 29 rappresentanti che ha la necessità di conquistare almeno altri 17 seggi in novembre del prossimo anno per ritornare a dirigere i lavori in Spring Street ed evitare 16 anni consecutivi di governo laburista. 

Una certa euforia per la svolta, con l’aspirante premier Brad Battin messo alla porta con un’azione ben orchestrata, tenuta nascosta per parecchi giorni, per arrivare ad un passaggio delle consegne senza il minimo sussulto e inutili divisioni extra in un partito che ne ha già messo in vetrina talmente tante da renderlo elettoralmente estremamente debole e internamente altamente frustrato e sfiduciato. Colpo di spugna e improvviso ritrovato entusiasmo.

Tutto da vedere, ovviamente, se l’ottimismo di questo ‘nuovo inizio’ arriverà fino alle elezioni e se la giovane leader riuscirà, soprattutto, a riportare la necessaria unità e disciplina in una squadra specializzata nel “farsi del male”. Da vedere anche la sua capacità a riposizionarsi su temi sui quali si era espressa, nel recente passato, controcorrente rispetto alle direzioni liberali, anche a livello federale, del presente: Wilson si era, per esempio, schierata apertamente a favore della ‘Voce’ e ora si è già impegnata a mantenere la linea del ‘no’ allo storico trattato siglato dal governo Allan con la popolazione indigena dello Stato; dovrà anche mostrare tutta la sua abilità per spiegare il cambiamento di opinione sulle promesse, fatte durante la campagna elettorale per il seggio di Kew, di fare diventare legge l’obiettivo dei tagli delle emissioni del 50% entro il 2030, dello zero netto del 2050 e del togliere il gas dal mix energetico imperniato sulle rinnovabili. Già martedì il primo dribbling: “L’impegno principale è quello di abbassare i costi delle bollette per tutti i residenti del Victoria”.      

Forti turbolenze anche fra i “cugini” liberali del New South Wales, con posizionamenti vari e possibilità che un’altra donna sia chiamata a rimpiazzare l’attuale leader del partito, Mark Speakman. Il guanto della sfida, secondo quanto trapela dal sempre poroso gruppo parlamentare, potrebbe essere lanciato dall’attuale portavoce ombra della Giustizia, Alister Henskins, ma secondo gli addetti ai lavori, la vera alternativa allo status quo sarebbe la portavoce liberale alla Sanità, Kellie Sloane: anche in questo caso, sembra, si stia già lavorando per una soluzione meno rumorosa possibile, anche se l’attuale leader dell’opposizione assicura che non è una gara di popolarità, ma di serio lavoro e risultati che lui sta ottenendo, quindi niente resa perché non necessaria. Per ora solo cambio ai vertici dei nazionali, con Gurmesh Singh che ha preso il posto di Dugald Saunders, dopo le sue dimissioni a sorpresa di qualche giorno fa.

Insomma una perfetta dimostrazione, nel tumultuoso mondo liberale australiano, che Andreotti aveva perfettamente ragione: “Il potere logora chi non ce l’ha”.  E, al momento, il potere ce l’hanno i laburisti che stanno felicemente a guardare, specie nel Victoria, azioni e tentazioni che tormentano gli avversari alla ricerca, soprattutto, di rinnovamento (che attiri qualche simpatia in più specialmente fra i giovani e l’elettorato femminile) e unità di intenti. Tormenti e insicurezze che continuano a minare anche la leadership federale del partito. Sussan Ley è stata, infatti, costretta ad aggrapparsi alla zattera ambientale per rimanere a galla, ma l’abbandono di quell’ormai famoso obiettivo dello zero netto delle emissioni di gas serra del 2050, non basta di certo a tranquillizzare gli animi di una squadra che ormai mette tranquillamente in vetrina le sue inquietudini e almeno un paio di possibili alternative per il ponte di comando.

Dopo il clima (con un piano d’alternativa chiaro solo per quello che non si fa) sta per arrivare un’altra sfida da affrontare: ancora una volta una scelta imposta dagli altri, con Ley chiamata a presentare i principi e le linee guida di una nuova politica migratoria, oltre che a confermare  la sua opposizione alla revisione delle leggi ambientali proposte dal governo Albanese. E non solo deve farlo, ma deve farlo in fretta per evitare che la destabilizzazione continui e non si riparli di leadership almeno fino al budget del prossimo anno.

Nonostante le richieste che sembrano arrivare, ancora una volta dalla corrente più conservatrice del partito, per tracciare un’altra chiara linea di divisione con il governo, Ley sarebbe intenzionata a portare avanti una strategia a meno impatto immediato sull’immigrazione, da ridurre come obiettivo, ma senza la necessità di arrivare a numeri precisi da annunciare più di due anni prima delle prossime elezioni. Un avanti piano, insomma, anche perché mentre colleghi come Andrew Hastie stanno dimostrando una certa fretta, i leader imprenditoriali stanno chiedendo attenzione e prudenza perché, sostengono, tagli profondi all’immigrazione alimenterebbero la carenza di lavoratori qualificati, ridurrebbero la crescita economica e potrebbero trascinare il Paese in una recessione.

Principi e direzioni future prima di Natale, ma niente numeri precisi e definitivi,  anche perché la situazione economica è in continua evoluzione e nel giro di due anni potrebbe essere molto diversa da quella attuale, quindi smentite le voci di tagli già decisi nell’ordine delle 100mila unità, anticipati dai laburisti che hanno subito fatto i loro calcoli al riguardo delle conseguenze economiche pari a una perdita annuale di dieci miliardi e un aggravamento sul bilancio di circa 2,5 miliardi di dollari. Numeri perciò da evitare per scongiurare un’immediata campagna contro che i moderati, facendo anche scudo a Ley, preferirebbero evitare.

 Quello che è già stato preannunciato dalla Coalizione è l’intenzione di intervenire su diverse categorie di visti, intensificando l’attenzione sugli studenti stranieri che abusano del sistema e una revisione delle liste per ciò che riguarda la necessità di riempire i vuoti nel campo delle qualifiche professionali: un giro di vite, rispondendo positivamente alle richieste delle aziende che ritengono gli attuali programmi non adeguati allo scopo.

“Ridurre i numeri non basta”, ha detto Hastie. “Dobbiamo assicurarci che il nostro programma d’immigrazione serva al meglio gli interessi dell’Australia. La nostra riforma deve avere due obiettivi: sostenere la coesione sociale ed essere focalizzata sulle competenze essenziali. Non vogliamo un’economia che tratti l’immigrazione come una fonte inesauribile di entrate”.

Il cerchio, insomma, si stringe attorno alla Ley che dovrà decidere, in fretta, anche la posizione da prendere in Aula sulle riforme riguardanti le politiche ambientali, con accelerazioni e frenate dei progetti rese burocraticamente più lineari  e la possibilità di intervento diretto, nei casi di prolungata impasse, del ministro responsabile del settore. Senza il sostegno della Coalizione, il governo dovrà cercare di raggiungere qualche tipo di accordo con i verdi (rischio probabilmente da evitare nell’interesse generale) o di far slittare il provvedimento alla conclusione dei lavori della commissione del Senato prevista per marzo. Preferirebbe di no: non sappiamo esattamente cosa pensa Ley in proposito e, probabilmente, sentiremo prima cosa pensano Hastie, Angus Taylor, Price e conservatori vari.