DAMASCO – Ore fatali circondano il destino politico della Siria, travolta da una guerra mondiale in corso sul suo territorio da quasi 14 anni, e che si appresta a scrivere una nuova pagina al libro della sua storia millenaria.
Le forze ribelli a guida islamica hanno annunciato nella notte la “fuga” del “tiranno” Bashar al-Assad, riferendosi al presidente della Siria, e di essere entrate a Damasco.
Allo stesso tempo, l’esercito siriano e le forze di sicurezza del Paese hanno abbandonato l’aeroporto della capitale, mentre i ribelli - riporta Al Jazeera - hanno preso il controllo dell’edificio della Radio e della Tv pubblica siriana nella capitale.
Inoltre, i ribelli hanno reso noto di aver preso il controllo del vicino famigerato carcere di Sednaya.
In precedenza, il leader del gruppo islamista siriano Hayat Tahrir al-Sham aveva detto che le sue forze controllano l’intera città di Homs, definendo la vittoria “storica”. “Stiamo vivendo gli ultimi momenti della liberazione della città di Homs, è un evento storico che distinguerà la verità dalla menzogna”, ha detto il leader ribelle in un video postato su Telegram, utilizzando il suo vero nome, Ahmed al-Sharaa, al posto del nome di battaglia di Abu Mohammed al-Jolani.
La svolta è giunta dopo una clamorosa e inaspettata marcia trionfale, cominciata solo dieci giorni fa dalla remota regione nord-occidentale di Idlib al confine con la Turchia, che ha travolto roccaforti governative, russe e iraniane come Aleppo e Hama.
Sulla sorte del raìs, intanto, si riconcorrono le indiscrezioni che lo vedono tutte già fuori dalla Siria, in fuga. Secondo fonti informate alla Bloomberg sarebbe invece a Teheran, pronto a trattare anche per un esilio sicuro. “Non è in nessuna parte della capitale”, hanno rilanciato anche alcuni media Usa, mentre qualcuno non esclude possa essere anche a Mosca.
A Doha, in Qatar, intanto si è svolta l’attesa riunione cui hanno partecipato i ministri degli esteri di Russia, Iran e Turchia. Nelle stesse ore, ma prima che il presidente eletto americano Donald Trump affermasse che non è interesse di Washington farsi coinvolgere nel conflitto siriano, si è riunito nella capitale sul Golfo il quartetto di Paesi occidentali molto vicini a Israele: Stati Uniti, Francia, Gran Bretagna e Germania.
E secondo fonti presenti alla riunione, a cui hanno partecipato rappresentanti dell’Ue e l’inviato speciale Onu per la Siria, Geir Pedersen, dall’incontro è emersa la volontà occidentale di avviare a Ginevra, la settimana prossima, un processo di transizione politica post-Assad che eviti nuovi spargimenti di sangue e allontani lo spettro del collasso dello Stato siriano (distinto dal regime) mettendo allo stesso tavolo tutte le parti coinvolte: gli esponenti del sistema Assad ma non direttamente collusi col presidente e col fratello Maher (a capo della guardia dei pretoriani e considerato vicino agli iraniani) e gli esponenti dell’avanguardia dell’offensiva militare, il gruppo armato Hayat Tahrir ash Sham, guidato dal leader ed ex capo di al Qaida in Siria, Abu Muhammad al Jolani.
Nonostante Hts sia definito da anni un “gruppo terroristico” da Stati Uniti, Canada, Gran Bretagna e Unione Europea, in Svizzera potrebbero arrivare esponenti di sigle minori ma di fatto legate a Jolani, così da non imbarazzare le cancellerie occidentali.
Senza più il sostegno di Mosca, la struttura militare e politica della Siria degli Assad si è di fatto squagliata come neve al sole. Gli ultimi sussulti di resistenza lungo l’asse Aleppo-Damasco si sono visti a Homs, crocevia del Paese e porta di accesso per la regione costiera, dove la Russia mantiene la base navale di Tartus e quella aerea di Latakia, entrambe sul Mediterraneo. E’ la stessa regione in cui i transfughi del regime, molti dei quali appartenenti ai clan sciiti-alawiti originari della regione costiera, si stanno arroccando in attesa di un negoziato.
“Soluzione politica e dialogo tra il governo siriano e la legittima opposizione”. Gli alleati storici di Bashar Assad, nelle ore in cui la Siria alawita sta evaporando di fronte alla cavalcata dei ribelli, nascondono la loro debolezza dietro questa richiesta. La realtà mostra come l’Iran da un lato e la Russia dall’altro, questa volta non hanno potuto salvare il loro principale partner nel Medio Oriente.