A kent’annos’, dicono in Sardegna. Che tu possa vivere fino a 100 anni. Un augurio che sembra sfidare l’ineluttabile declino dell’età. I centenari mi hanno sempre affascinato: ho cercato a lungo di capire come si arrivi a questo traguardo, tanto ambito quanto misterioso. Ho sfogliato innumerevoli riviste scientifiche alla ricerca di qualche indizio capace di svelare il segreto della longevità. Ho letto storie sulle ‘Blue zones’, le aree del mondo dove la vita si allunga in modo quasi prodigioso, sperando di trovarvi una chiave, un segreto per rallentare – o almeno aggirare – l’inesorabile accorciamento dei telomeri. È solo questione di fortuna? O di uno stile di vita sano? Contano di più i geni o l’ambiente che ci circonda? Forse non esiste una risposta unica, ma di certo l’idea di avere più tempo per realizzare i propri sogni, godersi gli affetti e scoprire il mondo resta un desiderio irresistibile.

La storia di Iole Papais, che lo scorso agosto ha spento 100 candeline, forse può offrirci qualche indizio. Nata il 24 agosto 1925 a Chions, in provincia di Pordenone, ha trascorso un secolo di vita fra due mondi: l’Italia del dopoguerra e l’Australia dei nuovi inizi.

Oggi vive al Box Hill Views Care Community di Melbourne, dove il sorriso e la voce dolce di “nonna Iole”, come la chiamano tutti, sono diventati parte del paesaggio quotidiano. Nella sua storia emerge la forza, la nostalgia e la tenerezza di un’intera generazione di emigranti italiani.

Sesta di nove figli, Iole cresce ad Azzanello, nel Comune di Pasiano di Pordenone, in una famiglia semplice e unita. Nel 1950 sposa Egisto Pase, l’amore della sua vita. Ma la felicità dura poco: appena cinque giorni dopo il matrimonio, Egisto parte per l’Australia, inseguendo il sogno di un futuro migliore. Un cavillo burocratico – i passaporti ancora registrati come ‘single’ – impedisce a Iole di seguirlo. “È stato devastante – racconta la figlia Luciana Rodino –. Mamma dovette restare in Italia, vivere con la suocera, mentre tutta la sua famiglia emigrava. Sono stati due anni di attesa e di solitudine”.

Nel 1952, finalmente, Iole si imbarca sulla nave Neptunia per raggiungere il marito. Il viaggio è lungo, difficile, a tratti umiliante. “Un’amica le aveva consigliato di viaggiare con abiti vecchi per non rovinare quelli buoni – ricorda Luciana –. Mamma si vergognava molto e si isolò per tutto il tragitto”.

A Melbourne, i due sposi si ricongiungono e iniziano la loro nuova vita in una piccola casa a Richmond. Iole trova lavoro alla Pelaco, stirando camicie, e poi come sarta a domicilio. Ma la nostalgia è un’ombra costante e il sogno del ritorno in Italia non la abbandona mai. “Piangeva spesso e non voleva avere figli. Aveva paura di mettere radici lontano da casa”.

Quando scopre di essere incinta, cade in una profonda depressione. È un periodo difficile, ma nel 1953 nasce Luciana, seguita da Amedeo nel 1955 e, con la maternità, tutto cambia. “Con la mia nascita – racconta Luciana –, mamma ha ritrovato il sorriso. È stato come se finalmente si fosse sentita a casa”.

Negli anni, la casa dei Pase diventa un punto di riferimento per molti migranti friulani appena arrivati in Australia. “Accoglievano parenti anche per mesi”, ricorda la figlia. Iole, nel frattempo, diventa una madre affettuosa, una cuoca straordinaria – celebre per le sue cene a base di selvaggina cacciata da Egisto e dallo zio – ma anche una donna di comunità. È tra i membri fondatori del Furlan Club di Thornbury, dove il marito diventa un campione di bocce e lei una temibile giocatrice di carte. Negli anni 2000 entra nel coro friulano Le Canterine del Fogolar, diretto dal maestro Gianpiero Canil. Con loro canta in festival, case di riposo e ospedali, portando tanta allegria.

Quando Egisto muore, nel 2014, dopo 64 anni di matrimonio, Iole trova la forza nella fede e nell’affetto della famiglia. Oggi è una nonna amorevole e una bisnonna orgogliosa: Lily, Oscar, Oliver, Mila, Luca e Pia sono la sua piccola gioia quotidiana. Circondata da operatori e amici che la adorano, è la prova vivente di come si possa costruire una casa anche lontano da casa. 

Una delle caratteristiche che più la definiscono, ancora oggi, è la sua tenacia. “Iole non si è mai arresa alle difficoltà”, nemmeno nei momenti più duri, racconta la figlia. Ha sempre voluto ‘fare’, partecipare, imparare. La curiosità, la voglia di mettersi in gioco e di sentirsi viva sono state per lei un motore costante, una spinta silenziosa che l’ha accompagnata in ogni fase della vita. 

Forse, il segreto della sua longevità è tutto lì: in quell’attaccamento ostinato alla vita, nella curiosità per ciò che la circonda, nella partecipazione serena ma attiva alle giornate che scorrono. “Mamma – conclude Luciana – ha attraversato oceani, guerre, dolori e gioie. Ma la sua più grande eredità è la gratitudine”.