Una sorella perduta e poi ritrovata, una gamba più grossa dell’altra, e una storia di migrazione avvolta nel silenzio per decenni.
È fatta di dolori nascosti, verità sommerse e tenace ricerca di identità la narrazione che Jane Cafarella ha portato lo scorso 24 giugno al Co.As.It. di Melbourne, durante la presentazione del suo memoir, “Cleaved – A story of loss, legs and finding family”.
Il titolo – Cleaved – è un ossimoro perfetto, un verbo che significa sia ‘diviso’ sia ‘unito’. Un segno di frattura e, insieme, il nodo di un legame. Proprio come la vita dell’autrice, giornalista, drammaturga, vignettista, figura nota della stampa australiana per le sue rubriche pungenti.
Dietro le pagine stampate, si nasconde un’altra Jane: quella cresciuta con una gamba malata, affetta da linfedema congenito; quella figlia contesa in una guerra familiare tra un padre siculo e una madre anglicana; quella sorella separata troppo presto dalla sua metà.
A introdurre l’evento è stato Paolo Baracchi, direttore del programma culturale del Co.As.It.: “Siamo lieti di accogliere Jane Cafarella nel nostro programma. Il tema di oggi – From cultural alienation to connection – rispecchia l’anima stessa del nostro lavoro: riconnettersi alle radici, ma anche generare nuova cultura”.
Accanto a Jane Cafarella, in dialogo sul palco, Caroline Bond, attivista per i diritti dei consumatori e medaglia dell’Ordine d’Australia, ha guidato le domande con il pubblico dopo la presentazione, scavando nella memoria dell’autrice e nel cuore del libro.
La storia comincia da lontano, negli anni ’20 del Novecento, quando Angelina Taranto, nonna paterna di Jane, lascia l’isola di Salina, nell’arcipelago delle Eolie, per raggiungere Sydney. Fra gli episodi salienti di questo percorso famigliare, uno in particolare colpisce l’attenzione dei presenti. Quando nonna Angelina arriva in Australia, è una giovane ragazza e ha un’istruzione rudimentale. Un giorno, suo padre la manda in chiesa. Lei segue le indicazioni e si ritrova in un edificio sconosciuto, dove una signora le mette in mano un libro sacro. Non capisce, non sa leggere. La settimana successiva si fa accompagnare dalla cugina, che la indirizza però verso un’altra strada: aveva sbagliato chiesa. “‘But what did I know of different churches’, she said, laughing at her own ignorance”, racconterà più tardi, confusa di fronte al pluralismo religioso australiano.
“In Italia c’era solo una religione”, diceva nonna Angelina. E quella prima confusione segna già il solco culturale che avrebbe attraversato tutta la famiglia.
Jane nasce nel 1957, prematura, malata, reclamata dalla madre, mentre la sorella maggiore Julie – “Giuliana” – viene assegnata al padre. Due genitori appartenenti a culture totalmente diverse. Due figlie, due destini.
“I cleaved you to me”, le diceva spesso la madre. “Ti ho legata a me”. Un’affermazione che risuona però anche come un taglio netto: le sorelle, infatti, crescono separate, come nemiche in una guerra fredda.
La frattura si approfondisce proprio quando il padre Frank, figlio di immigrati siciliani, si separa dalla moglie e, poco tempo dopo, ne sposa la sorella. Da quel momento, la famiglia paterna scompare dalla vita di Jane. Le due sorelle vengono definitivamente separate anche fisicamente.
E poi c’è “la gamba grande”, come la chiamava la madre.
Una malattia sconosciuta, che la medicina avrebbe diagnosticato solo molto più tardi come malattia di Milroy, una forma rara di linfedema congenito.
“Non sono mai stata normale”, dice oggi con un sorriso Cafarella, ma anche con la consapevolezza di chi ha trasformato l’anomalia in narrazione, la diversità in voce.
Il momento cruciale arriva dopo la morte del secondo marito della madre. Tra i documenti ereditati, Jane trova lettere, appunti, foto. Verità sopite e spiegazioni mai date. I tasselli cominciano a combaciare.
“Volevo scrivere un libro sulla terribile infedeltà di mio padre – ammette l’autrice –. E invece ho scoperto una storia molto più ampia, complessa. Piena di omissioni, ma anche di amore”.
La visita al Museo Italiano di Carlton, nel 2016, le offre un’altra rivelazione: un’intervista d’archivio alla nonna Angelina, in un italiano fluente mai sentito prima.
“Scoprire la storia dei miei nonni mi ha fatto crollare tante certezze. Capire loro mi ha aiutato a capire me”.
Ma il capitolo più commovente è il ricongiungimento con la sorella Julie, dopo vent’anni di silenzio: “[Mia sorella] mi ha guardata e ha detto: ‘Hanno preso quella sbagliata. Tu sei uguale a papà’ – racconta Jane –. Adesso so che è vero. Siamo complementari, ma diverse. Per tante cose, lei è mia madre, io sono mio padre”.
Cleaved diventa così una mappa dell’anima, una caccia al tesoro emotiva, un romanzo familiare che fonde memoir, indagine storica e confessione. Non c’è rancore, solo comprensione. Non c’è rabbia, ma compassione.
“Per molto tempo non sono appartenuta a nessun posto. Ora sì. Il mio posto è qui, con tutti voi. Con chi, come me, è italiano dentro. Anche se ci ho messo una vita per scoprirlo”.
Il pubblico accorso al Co.As.It. – studenti, discendenti di migranti, scrittori, educatori – ha ascoltato in silenzio. Perché la storia di Jane è, in fondo, la storia di tanti. Di chi ha perso qualcosa lungo il viaggio. Di chi cerca casa in uno specchio rotto.
“Quando chiediamo a qualcuno, ‘chi sei’, in realtà gli stiamo chiedendo, ‘dove ti senti a casa”, dice Jane. E con Cleaved l’autrice ci mostra che la risposta non è mai semplice. Ma vale comunque la pena cercarla.