Non è un periodo dei più semplici, la condizione economica del Paese continua a dominare la narrazione politica fuori e dentro il Parlamento. I principali protagonisti, ognuno per quanto di propria competenza, proseguono con la strategia ritenuta più utile per riportare l’intero sistema economico in una dimensione ritenuta di sostenibilità, e nei giorni scorsi non sono mancati momenti di tensione tra il tesoriere Jim Chalmers e la governatrice della Reserve Bank Michele Bullock.
Dal lato delle scelte di politica monetaria, Michele Bullock ha più volte detto che non ha molte armi a disposizione se non quella di gestire i tassi di interesse.
L’inflazione, ha ripetuto anche la scorsa settimana la governatrice, se non portata sotto controllo, potrebbe diventare strutturale nell’economia ed essere ben più pericolosa dell’impatto del rialzo dei tassi di interesse su una fascia della popolazione, un doloroso effetto che il consiglio della banca centrale certamente non sottovaluta. Se non fermata, questa è la posizione della banca centrale e della sua governatrice, l’attuale andamento dell’inflazione potrebbe trasformarsi in stagflazione, una combinazione pericolosa di prezzi in aumento e crescita economica stagnante.
Per quanto dolorosi siano gli effetti degli interventi al rialzo dei tassi d’interesse, Michele Bullock non ha altra scelta. Intanto perché, con un effetto evidentemente inflattivo, il governo Albanese sta spendendo molto, lo testimoniano i dati della scorsa settimana che parlano di una crescita del prodotto interno lordo molto bassa, sostenuta in pratica solo dalla spesa pubblica, ma d’altro canto il governo però non sta facendo molto altro per affrontare uno dei nodi fondamentali dell’economia di un Paese, che è quello della produttività. Inoltre, e lo scenario è noto a chi ha vissuto quegli anni, la ‘battaglia’ delle banche centrali per portare a un livello accettabile, ovvero alla soglia obiettivo del 2-3% , l’inflazione quando è sopra il 15-17%, è un percorso non privo di pesanti effetti sulle fasce più esposte della popolazione.
Il rischio che l’Australia non può correre è che, in una condizione come quella già vissuta decenni fa, sulle fasce più deboli si abbatta una sorta di doppio tsunami: da una parte l’aumento dei prezzi, una ridotta capacità del potere di acquisto e, di conseguenza, l’erosione dei risparmi, e dall’altro lato anche il concreto rischio dell’aumento della disoccupazione.
Poco costruttivo, in termini di soluzioni condivise, il dibattito scatenato nei giorni scorsi con il dito puntato contro la banca centrale da Jim Chalmers prima e, a stretto giro, poi dal suo predecessore Wayne Swan, tesoriere durante i governi Rudd e GIllard, che ha spinto sull’acceleratore delle polemiche accusando la banca centrale di posizione “dogmatiche” che valicano il buon senso danneggiando le famiglie australiane.
Quello che viene fuori, purtroppo, al momento è l’assenza di un’idea di futuro che metta la crescita al primo posto, sono le riforme strutturali che mancano e non possono essere, evidentemente, sufficienti le risposte emergenziali che, va riconosciuto, Albanese e Chalmers hanno provato a dare in sede di ultima manovra finanziaria. Il rischio, ribadito da Bullock, ma negato ieri mattina nel corso di un’intervista televisiva dal Tesoriere, è che, senza crescita, senza un chiaro piano di riforme strutturali, ad esempio, solo per citarne alcune, un nuovo piano di relazioni industriali e riforme fiscali per piccole e medie imprese, l’impatto dell’aumento della spesa pubblica, pur sostenendo nel breve termine il dato della crescita del prodotto interno lordo, sul lungo termine rischia di avere impatti negativi.
La risposta del governo laburista alla crisi inflazionistica sembra essere, al momento, poco adeguata.
Si viaggia lungo quel pericoloso confine che ci separa dalla recessione (quella pro capite di fatto è già realtà, con sei trimestri consecutivi di crescita negativa del PIL pro capite) e se finora l’abbiamo evitata è stato grazie a livelli elevati di migrazione, fuori controllo, secondo l’opposizione, e, appunto l’impatto della spesa pubblica. Ma il tema torna ai fattori di crescita, e l’indice di produttività anche a giugno è stato molto debole, con un calo dello 0,8%.
Sono molti gli economisti che ritengono essere necessario riprendere vigore nel percorso verso le riforme economiche più strutturali, che possano diventare la piattaforma per attrarre investimenti e, di conseguenza, migliorare proprio questo dato critico della produttività. Certo, Albanese aveva anticipato che questo primo mandato sarebbe stato contrassegnato da una azione di governo ‘ordinata’ e in controllo ma, di fronte a una condizione oggettivamente complicata, un’inversione di tendenza in negativo del percorso di miglioramento dei fattori di produttività potrebbe essere un pericolo per la crescita a lungo termine.
L’Australia si trova a un bivio decisamente cruciale. Se il governo non adotterà una strategia di crescita a lungo termine, basata su riforme complessive e su un miglioramento della produttività, si rischia di compromettere il benessere economico, generale, del Paese. Per quanto la transizione energetica possa rappresentare un’opportunità su cui puntare, è necessario un piano più ampio che affronti le debolezze strutturali dell’economia australiana, promuovendo un ambiente favorevole agli investimenti e alla crescita del settore privato, tenendo ben presente il rischio, parlando di energia, che il percorso verso le rinnovabili e le ambizioni di ‘net zero’, richiederebbe forse meno ‘dogmi ideologici’ (per usare le parole di Wayne Swan quando ha attaccato la Reserve Bank) e maggiore buon senso e concretezza.