Quando decise di studiare la viola, ad appena quattro anni, Marco Sabatini (nella foto), nato a Roma nel 2000 e arrivato in Australia con la famiglia quando aveva appena tre mesi, non aveva idea che la musica stava entrando nella sua vita per sempre. Già da qualche anno il fratello più grande suonava il violino e a lui era sembrato naturale continuare sulle sue orme; trovarsi in mezzo a giovani musicisti faceva parte della sua vita da sempre e aveva già nelle orecchie, fin da piccolissimo, le musiche che poi avrebbe imparato a suonare prima ancora di imparare a leggere.
Determinante era stato l’incontro con la Suzuki Talent Education, un’associazione molto radicata e diffusa in Australia, dedita all’insegnamento della musica e del canto ai giovani. Il motto dell’associazione, che avvia all’arte della musa Euterpe bambini in età prescolare grazie al metodo elaborato dal violinista e filosofo giapponese Shiniki Suzuki, è “Learning with Love” (imparando con amore).
Con il metodo Suzuki l’istruzione musicale non è solitaria, come accade normalmente, ma coinvolge le famiglie e promuove molti momenti di socialità in cui gli studenti e i loro familiari si ritrovano per suonare, parlare, giocare assieme. Per il giovane artista il ricordo dell’Australia, lasciata all’età di dieci anni per rientrare in Italia e poi trasferirsi, dopo qualche anno, a New York, dove ha continuato gli studi musicali, è indissolubilmente legato a quel clima gioioso e giocoso, in cui la musica era diventata la colonna sonora di tutta la vita.
A New York, Sabatini è arrivato a quattordici anni. Dopo aver trascorso pochi anni in Italia si è ritrovato ancora una volta giovane migrante, ma la musica, studiata anche in Italia e poi negli Stati Uniti, ha continuato a essere il fil rouge della sua esistenza. Dagli inizi confusi e spaesati nella Grande Mela, Sabatini è arrivato alla fine della scuola superiore come Valedictorian e il suo intervento dal palco, a inaugurare la cerimonia di graduation, è stato preceduto dalla presentazione del pianista e direttore artistico Igal Kasselman, il quale non ha potuto fare a meno di notare come un giovane artista che ha vissuto a cavallo di tre continenti, avuto insegnanti di tanti Paesi e frequentato musicisti di ogni tendenza, rappresenti una speranza, un cittadino del futuro, per le nostre società moderne e multiculturali.
Dopo aver completato gli studi universitari e il master presso la prestigiosa Juilliard School of Music, Marco Sabatini vi è subito tornato con un incarico da giovane assistente didattico. Oggi è un apprezzato violista con un robusto repertorio classico, che ha suonato sia da solista sia in formazioni cameristiche e in orchestre. Ma è anche un artista a tutto tondo, aperto a influenze contemporanee e a generi diversi.
Negli Stati Uniti ha esplorato altre forme di creatività, diventando anche compositore, paroliere, cantante e produttore musicale; collabora con registi, cantanti e musicisti, per i quali scrive musiche, arrangia pezzi, costruisce architetture musicali. Così, se da una parte si è trovato a esplorare musiche del 21esimo secolo suonando con il prestigioso Jack Quartet, dall’altra lo possiamo trovare in Indonesia, autore delle musiche per un film multi-premiato o su Spotify, in veste di produttore musicale per la giovanissima cantante newyorchese Sydney J.
E se, da piccolo, si era esibito sul palco dell’Opera House di Sydney, in Europa e negli Stati Uniti ha suonato in contesti altrettanto prestigiosi, dal Messiah di Handel rappresentato nell’antica chiesa dell’Ara Coeli a Roma, fino ai concerti cameristici presso la Carnegie Hall di New York.
Possiamo dire che oggi Marco Sabatini è un artista e cittadino di tre continenti. Parla l’italiano con accento familiare, mentre il suo inglese ha un po’ perso l’inconfondibile sapore australiano per adattarsi alle mille variazioni del melting pot newyorchese. Vede il suo futuro artistico soprattutto negli States, dove è forse più facile che venga apprezzato un artista poliedrico che non vuole essere identificato in un solo filone o etichettato in un unico genere. Ma non dimentica le sue radici italiane, né gli anni importanti della formazione, trascorsi fra Melbourne e Sydney, in un Paese che ricorda come luogo accogliente, capace di apprezzare e valorizzare la diversità.
L’affetto verso il Paese dove ha trascorso gli anni dell’infanzia e che lo ha aperto alla musica lo ha espresso anche attraverso Ends of the World, canzone che racconta l’immaginaria fuga Down Under del protagonista, per andare a vivere “fra koala e canguri” e salvare così la donna amata da una famiglia oppressiva che vorrebbe imporle il destino di un matrimonio combinato. Un testo romantico in veste pop, con una musica lontana dagli studi originari dell’autore ma che conserva echi classici, anche nella voce, sapientemente utilizzata per evocare la nostalgia di tempi felici, ormai passati ma mai dimenticati.
Così il cerchio un po’ si chiude e il giovane artista, che ora naviga altri lidi, mostra di non aver scordato il luogo dove la musica è entrata nel suo cuore per restarvi per sempre.
Sarebbe bello se Marco Sabatini, che ha lasciato l’Australia da bambino, ci tornasse da giovane uomo artisticamente affermato, magari in tour, per farci ascoltare un po’ Bach con la sua viola ormai matura, e un po’ le sue altre musiche contemporanee, contaminate da tutte le culture che lo hanno influenzato, dall’Italia agli Stati Uniti, alle musiche nere e latine di New York, tornando insomma agli albori, quando la viola Marco la suonava qui da noi. Lo aspettiamo, alla fine del mondo.