L’Inflazione che non abbassa la testa, anzi la rialza, il rallentamento economico cinese che preoccupa mezzo mondo, ma anche la crisi degli alloggi, la transizione energetica, gli equilibri da ritrovare nel campo dell’immigrazione. Le difficoltà da affrontare sono parecchie, ma il governo Albanese ha dalla sua parte un fattore estremamente importante: la stabilità.
Per la prima volta dai tempi di John Howard non ci sono problemi all’interno del partito alla guida del Paese per ciò che riguarda la leadership. Nessun mugugno, nessuna insofferenza, nessun dubbio. Il primo ministro l’ha mostrato anche domenica scorsa annunciando un rimpasto di governo, necessario e dovuto dopo aver superato il record - come ha sottolineato lo stesso Albanese - di continuità: squadra inalterata per due anni e due mesi. “Forse un record assoluto per la storia politica australiana”, ha detto il primo ministro.
Il leader laburista, che nel 2010 era stato uno dei pochi a criticare il tumultuoso cambiamento al vertice che aveva portato Julia Gillard alla Lodge, dando il via ad anni di grande instabilità all’interno del partito e del governo, è un convinto assertore del ‘fare squadra’, del procedere compatti perché la stabilità politica è apprezzata dagli elettori e dà la possibilità di fare progetti anche a lungo termine.
Voglia di stabilità evidenziata anche nel cambiamento annunciato domenica scorsa, facendosi certo di spostare le pedine necessarie, ma anche di allargare un po’ il campo con forze nuove inserite nella squadra sia dei viceministri sia dei nuovi ruoli di coordinatori in aree che richiedono particolare attenzione, come: la Coesione sociale (ruolo affidata a Peter Khalil del Victoria), la Difesa e Affari dei veterani (Luke Godling del Northern Territory) e la Sicurezza informatica e digitale (Andrew Charlton del New South Wales). Più promozioni che bocciature, per altro inevitabili e quindi comprese anche da chi le ha subite. L’uscita di scena annunciata di Linda Burney e Brendan O’Connor, come riportato nell’edizione di lunedì scorso, ha dato l’opportunità ad Albanese di agire, con le spalle ben coperte da una necessità d’intervento che è diventata un’opportunità di correggere qualche posizione all’interno della squadra a causa di una serie di circostanze (nessuna critica ai due ministri a cui sono stati affidati nuovi incarichi), che avevano messo in serie difficoltà i portavoce dell’Immigrazione, Andrew Giles e dell’Interno, Clare O’Neil.
Quest’ultima, un po’ più vittima di Giles delle famose circostanze avverse, è diventata la nuova responsabile dell’edilizia abitativa, un’area di grande attualità e interesse ‘popolare’ in cui i verdi si stanno inserendo con un certo peso e seguito, creando non pochi pericoli, in termini elettorali, proprio per i laburisti. All’ex ministro dell’Interno, quindi, il compito di portare avanti con maggiore chiarezza un programma che già c’è, mantenendo a debita distanza le economicamente spesso impossibili ambizioni del partito di Adam Bandt.
Studiata la mossa che ha colto un po’ tutti di sorpresa di affidare responsabilità extra a Tony Burke nel suo nuovo incarico alla guida del maxi-ministero dell’Interno: per lui anche Immigrazione, Affari multiculturali e Cittadinanza. Ma a parte l’impatto del doppio o triplo incarico, oltre al mantenimento della responsabilità delle Arti e del ruolo di leader della Camera, Burke ha tutte la carte in regola per cercare di porre fine alle polemiche che erano state create da Giles soprattutto per la gestione degli oltre 150 immigrati rimessi in libertà (che in molti casi avrebbe dovuto essere super vigilata, dati i reati commessi da almeno una dozzina degli ex ‘detenuti’) da una controversa decisione dell’Alta Corte: immigrazione e sicurezza nazionale sono temi che spesso si intersicano e avere un solo responsabile probabilmente facilita la gestione e le soluzioni da trovare. Burke, tra l’altro, ha già una buona esperienza in questo campo, essendo stato il ministro dell’Immigrazione del governo Rudd nel 2013.
Ragionata anche la mossa di far entrare nel Consiglio di gabinetto Pat Conroy nel suo incarico di responsabile per le Spese e I progetti della Difesa, data la particolare importanza che ha assunto il ministero guidato dal vice primo ministro Richard Marles (Difesa) con il piano AUKUS, e la necessità di creare nuove infrastrutture per un futuro ampiamento delle attività cantieristiche e portuali dal punto di vista militare.
Giusto l’abbandono - vista l’impossibilità di procedere con il referendum sulla repubblica, come era stato annunciato da Albanese, durante un secondo mandato (conseguenza della bocciatura, lo scorso anno, del cambiamento costituzionale riguardante la popolazione indigena) – del ruolo di ministro assistente per la repubblica che era stato affidato a Matt Thistlethwaite che diventa il viceministro dell’Immigrazione, gli Affari multiculturali e la Cittadinanza per dare una mano a Burke. Responsabilità tutte nuove invece per il senatore del New South Wales, Tim Ayers, viceministro per il ‘Futuro Made in Australia’. Nuova idea, nuovo programma da seguire, nuovo ruolo parlamentare.
Rimpasto misurato, indubbiamente disegnato per consolidare la squadra e rafforzare il senso di unità: accettati i passaggi di consegne per ciò che riguarda gli Affari aborigeni tra la Burney e la sua vice, la senatrice del NT, Malarndirri McCarthy e probabilmente azzeccato affidare a Giles, così la bocciatura fa meno male, l’incarico di responsabile della Formazione professionale che era stato del dimissionario O’Connor. Incarico di peso, ma ampiamente previsto, per Murray Watt, diventato il nuovo ministro per le Relazioni industriali, lasciando l’Agricoltura e Piccole aziende a Julie Collins.
Tutti contenti (perfino gli unici due ‘bocciati’, caduti in piedi) e ora programma politico da correggere e intensificare perché, alla fine, è quello che conta e i problemi da affrontare non mancano. Non aspettiamoci però rivoluzioni di alcun tipo, perché Albanese semplicemente non è il tipo: l’avanti piano sembra essere il suo motto e sta funzionando. Gli australiani preferiscono così e probabilmente anche i colleghi.
Il passato e i credo politici del primo ministro assicurano il mantenimento di un forte legame con i sindacati, nonostante gli attriti più che giustificati con il CFMEU, ma allo stesso tempo gli hanno permesso di cercare di portare avanti, con sincera convinzione, uno storico cambiamento costituzionale per la creazione di un ente permanente di rappresentanza della comunità indigena a Canberra. Gli australiani hanno detto ‘no’ e Albanese non h potuto fare altro che accettare il verdetto e, saggiamente, si è adeguato, togliendo dall’agenda delle cose da fare per cambiare la storia del Paese, il referendum sulla repubblica. I tempi non sono maturi, meglio concentrarsi su cose più pratiche e vicine a tutti gli elettori, preparandosi adeguatamente per lo scontro del prossimo anno.
Rimpasto quindi all’insegna della stabilità, per dare sicurezza e continuità ad un governo che completerà il suo mandato perché anche questo è un segnale di moderazione che Albanese cerca di apportare anche nei toni del dibattito politico.
Albanese esclude, e c’è da credergli, il ritorno alle urne già quest’anno e ha assicurato (ma su questo qualche dubbio è impossibile non averlo) che, memore di quello che è successo all’esecutivo guidato da Julia Gillard, che non farà alcun patto con i verdi in caso di governo di minoranza.
Dopo aver superato, proprio in questi giorni Tony Abbott, come longevità alla guida del Paese Albanese sta indirizzandosi verso un altro traguardo: se vincerà le prossime elezioni sarà il primo ministro a riuscire ed essere rieletto dopo John Howard nel ‘lontano’ 2004. Non ci sono riusciti: Kevin Rudd, Julia Gillard, Tony Abbott, Malcolm Turnbull e Scott Morrison. E solo quest’ultimo è arrivato alla seconda prova consecutiva alle urne, Rudd è stato richiamato in extremis nel 2013 dopo la vittoria del 2007 a cui ha fatto seguito la vittoria-non vittoria di Julia Gillard nel 2010, ma ha comunque fallito l’obiettivo: per gli altri nemmeno la soddisfazione di riprovarci con gli elettori.