Budget anticipato a marzo ed elezioni il 10 o 17 maggio. Il primo ministro Anthony Albanese non rinuncerà ad un quarto documento di gestione, possibilmente rafforzato da una situazione economica migliore di quella attuale, con l’inflazione sempre più giù e magari con il ‘regalino’ extra per gli elettori di un calo dei tassi d’interesse già in febbraio o comunque prima di andare alle urne. Ma già il prossimo mese altri due importanti appuntamenti che, anche se marginalmente, possono ‘dare una mano’: le elezioni in Queensland e la prima visita in Australia, da re, di Carlo d’Inghilterra, che farà tappa nell’ACT e nel New South Wales, prima di recarsi a Samoa per il vertice biennale dei Paesi del Commonwealth, al quale parteciperà anche Albanese. In quest’ultimo caso solo un importante ‘diversivo’ per distogliere l’attenzione da un periodo decisamente complicato per il leader laburista e il suo esecutivo.
Le statali del 26 ottobre avranno, invece, più ramificazioni federali del solito, perché in Queensland la transizione energetica è molto più ‘concreta’ che in altre parti del Continente, tra miniere di carbone da chiudere e progetti eolici e solari da sviluppare, e perché in Queensland gioca in casa anche il primo ministro d’alternativa e sarà interessante vedere il ruolo, positivo o negativo, che Peter Dutton avrà nella campagna dell’aspirante premier David Crisafulli contro Steven Miles, che ha ereditato da Annastacia Palaszczuk un governo pieno di falle e controversie.
Non si tirerà indietro anche Albanese a dare una mano con la sua presenza o non presenza, a seconda da quello che indicheranno al riguardo i sempre più popolari ‘focus group’ pre-elettorali e i sondaggi ‘privati’ del partito.
Una cosa è certa: il test del Queensland è un importante banco di prova per capire gli umori degli elettori anche in un’ottica nazionale, fornendo l’opportunità di intervenire per correggere qualche esigenza e aspettativa che uscirà dalle urne in particolari aree di uno Stato sempre estremamente difficile per i laburisti a livello federale.
Il primo ministro, al momento, è decisamente in difficoltà: sotto tiro su due fronti e non in grande sintonia con un ‘partner forzato’ nella battaglia in corso contro un ‘nemico’ che sta mettendo a dura prova la sua credibilità e il suo futuro. Il costo della vita è al primo posto nelle preoccupazioni degli australiani e la Banca centrale non ha mai nascosto, nelle ultime settimane, le complicazioni extra che il governo sta creando nella lotta all’inflazione, con la sua politicamente comprensibile necessità di aiutare le famiglie ad affrontare il carovita. Sussidi, sgravi fiscali, incrementi salariali non sono però in linea con l’unica arma in mano alla Reserve Bank per cercare di frenare i consumi: i tassi d’interesse.
“La strada imboccata è quella giusta”, continua ad assicurare il ministro del Tesoro Jim Chalmers, che sventola (e non può fare altro) la bandiera dell’ottimismo sull’inflazione che continua comunque a scendere, ma la governatrice della RBA, Michele Bullock, frena invece gli entusiasmi e insiste sulla necessità di accelerare il rientro nei parametri ottimali tra il 2 e il 3%: per questo, ha detto, una riduzione dei tassi è lontana almeno sei mesi, anche se l’economia sta mostrando chiari segni di rallentamento, con la conferma che arriverà mercoledi con gli ultimi dati su una crescita davvero minima.
Governo costretto a difendersi nelle ultime settimane (due in Aula e una a spiegare quello che è successo in Aula) dall’offensiva di Peter Dutton sulla sicurezza nazionale e abbozzare qualche tipo di risposta alle condizioni già dettate da un super ottimista leader dei verdi, Adam Bandt, per sostenere un esecutivo di minoranza nel caso che dalle urne, come indicano diversi sondaggi, il prossimo anno non esca un chiaro vincitore.
Il leader dell’opposizione ha indubbiamente giocato bene le sue carte (l’attacco al vetriolo di Chalmers di lunedì scorso è la prova lampante di una notevole irritazione laburista) con tutte le insinuazioni del caso e i timori sollevati per i visti concessi a circa 3.000 palestinesi in fuga da Gaza (solo 1.300 sono già arrivati in Australia, 7.000 sono stati invece i visti rifiutati) senza una presunta attenta verifica, caso per caso. Paure e sospetti ingigantiti, ma legittimi, ai quali Albanese non ha dato le risposte adeguate, con l’aggravante di un inopportuno tentativo di tirare in ballo responsabilità che l’Intelligence australiana (ASIO) non ha in materia. Una mancanza di risposte precise su una questione (la guerra tra Hamas e Israele) che sta logorando i laburisti, tormentati tra poche convinzioni e molte necessità pratiche.
Dutton ha monopolizzato il dibattito un po’ perché indubbiamente si trova a proprio agio quando si parla di sicurezza e immigrazione (da ridurre ulteriormente) e un po’ perché non ha molto altro da offrire sull’altro tema caldo del costo della vita. Nessuna risposta in merito dal fronte della Coalizione, nessuna proposta d’alternativa anche se, giusto per dimostrare che qualche idea c’è, la scorsa settimana il ministro ombra del Tesoro, Angus Taylor, ha tirato fuori dal cilindro dei progetti di un futuro governo, circa cento miliardi da risparmiare tagliando programmi federali (per i dettagli però ripassare il prossimo anno) oltre, naturalmente, ridurre gli organici dell’amministrazione pubblica: un tema d’obbligo in qualsiasi campagna liberale che si rispetti.
Solo alzate di spalle da parte del governo, o al massimo qualche accusa di ricerca di visibilità, invece, per quanto riguarda i 514 miliardi di tasse extra (in dieci anni) proposte dai verdi sui maxi-profitti di compagnie minerarie, aziende di telecomunicazioni, grandi catene di produzione e vendita di prodotti alimentari, banche e imprese varie. “Prendere o lasciare”, ha detto Bandt davanti ai giornalisti del Circolo nazionale della stampa, ipotizzando un successo elettorale tale, del suo partito, da poter dettare le regole del gioco.
Governo, quindi, alle corde che cerca disperatamente di parare i colpi da destra e sinistra e che non sa esattamente come riprendere in mano l’iniziativa, tanto da ricorrere al disperato attacco sull’uomo (che ha comunque funzionato, nel 2022, contro Morrison); opposizione invece che, senza un piano del fare, ricorre alla carta sicura della paura (l’ha inventata John Howard ai tempi del Tampa e ne ha fatto buon uso elettorale Tony Abbott nel 2013); i verdi, invece, vista la scarsa fantasia dei maggiori partiti e il malcontento generale, alzano il tiro su ambizioni (già si vedono in un ruolo chiave per la formazione di un governo di minoranza) e creatività economica e fiscale.
Trentatre giorni sono il minimo costituzionalmente previsto per la campagna elettorale - dal momento in cui il governatore generale riceve la richiesta del primo ministro per lo scioglimento della Camera e, normalmente, metà del Senato, alla data delle urne -, ma la realtà è che buona parte del terzo anno di mandato è già campagna e ogni annuncio, ogni mossa, ogni accusa, ogni imbarazzo, ogni errore fa accumulare o perdere punti preziosi. Siamo ai piccoli passi, ma la corsa è già iniziata.