La scorsa settimana la dottoressa Giorgia Lù, responsabile del dipartimento di italiano dell’Università di Sydney e vicepreside della Scuola di Lingue e Culture, ha condotto un seminario sull’immagine creata dal fascismo sul ruolo che l’industria estrattiva ha svolto nel panorama politico ed economico dell’Italia del ventennio.
Lo chiamavano ‘l’oro del diavolo’ lo zolfo estratto in centinaia di miniere localizzate in tutta la Sicilia, una ricchezza naturale che avrebbe potuto rappresentare la fortuna economica della gente dell’isola e che invece è risultata in uno sfruttamento sistematico della parte più povera della popolazione, con risultati devastanti sul territorio e sui corpi stessi dei minatori molti dei quali ancora bambini.
Basandosi su fotografie, riviste illustrate e mostre dell’epoca, la relatrice ha messo in evidenza la stridente contraddizione tra la realtà dell’estrazione dello zolfo nelle pirrere e l’immagine retorica di potenza fisica, vigore e progresso creata dalla propaganda mussoliniana. Secondo la lettura della dottoressa Lù, “l’uso di discorsi e definizioni specifici ha permesso e giustificato la rappresentazione degli esseri umani e delle terre come risorse estraibili, creando immagini e immaginari che hanno normalizzato lo sfruttamento e la trasformazione, nonché la forza estrattiva del regime”.
Le sanzioni internazionali imposte all’Italia a partire dal 1936 a seguito dell’invasione coloniale dell’Etiopia, giustificarono una propaganda atta a esaltare lo spirito nazionalista. Il regime di ‘autarchia’ adottato dal regime fascista puntava a un maggiore sfruttamento delle risorse naturali e allo sviluppo delle capacità tecniche industriali del paese affinchè lo rendessero autosufficiente dalla dipendenza estera. In questo senso l’esempio delle zolfatare siciliane che da sole fornivano il fabbisogno interno ed estero di zolfo era uno strumento di propaganda prezioso da utilizzare per il regime fascista.
La retorica mussoliniana si è in breve impossessata di un’estetica, conpletamente fabbricata, dell’industria estrattiva che, se da un lato evocava una forza bruta primordiale, dall’altro veniva associata a un’immagine positiva di solare progresso. A questo scopo la dottoressa Lù ha mostrato e analizzato manifesti e riviste dell’epoca che dipingevano la realtà della vita in miniera, non come sfruttamento di una forza lavoro fatta troppo spesso di bambini senza futuro o di giovani uomini che subivano conseguenze fisiche devastanti, ma che focalizzava esclusivamente sull’utilizzo della nuova tecnologia in cui il lavoro dell’uomo diventava tutt’uno con la macchina mentre il lavoro sotterraneo brutale dell’estrazione materiale restava nascosto e ignorato.
Altre industrie italiane si sono affermate a seguito dello sfruttamento dello zolfo fondamentale per la nascente industria chimica, la ditta Montecatini per esempio, che dopo la guerra si è trasformata nella Montedison, usava lo zolfo sia per la produzione di concimi, indispensabili per vincere la mussoliniana ‘battaglia per il grano” per l’indipendenza alimentare, sia per la produzione del famigerato Mustard Gas.
Per più di due secoli l’industria estrattiva dello zolfo ha contribuito a modellare la storia e la cultura della Sicilia e la sua esportazione ha ricoperto un’importanza mondiale dando all’isola e all’Italia una valenza internazionale al centro del Mediterraneo. All’inizio del ‘900 vi erano 193 miniere nella provincia di Caltanissetta, 170 in quella di Agrigento, e tra le province di Palermo ed Enna se ne contavano un altro centinaio. In totale le miniere grandi o piccole nell’isola erano più di 800, tutte controllate da potenti famiglie della borghesia siciliana.
Luigi Pirandello, premio Nobel per la letteratura nel 1936, nella sua novella Il fumo si oppone alla narrativa dominante, descrivendo il dramma dell’alienazione dei minatori dal godere del ricavato della commercializzazione e utilizzo del materiale estratto dal sottosuolo della loro terra. Il fumo nella novella non si riferisce solamente all’inquinamento ambientale, ma rappresenta il nulla che resta nelle loro mani così distrutte dal duro lavoro dell’estrazione dello zolfo: “Ci ammazziamo a scavarlo poi lo trasportiamo giù alle marine, dove tanti vapori inglesi, americani, tedeschi, francesi, perfino greci, stanno pronti con le stive aperte come tante bocche ad ingoiarselo: ci tirano una bella fischiata e addio!... E la ricchezza nostra, intanto, quella che dovrebbe essere la ricchezza nostra, se ne va via così dalle vene delle nostre montagne sventrate, e noi rimaniamo qui, come tanti ciechi, come tanti allocchi, con le ossa rotte dalla fatica e le tasche vuote. Unico guadagno: le nostre campagne bruciate dal fumo”.