Le donne vivono più a lungo degli uomini. E questo gap nell’aspettativa di vita non è prerogativa del genere umano. Questa tendenza a una maggiore longevità la si osserva nelle quote rosa di una vasta gamma di animali. Gli scienziati si sono chiesti perché e una teoria formulata dai biologi è che la discrepanza nella lunghezza della vita femminile e maschile possa essere in qualche modo, almeno in parte, collegata alla riproduzione. Ma come? Per scoprirlo un team di ricercatori ha deciso di mettere sotto la lente l’invecchiamento del killifish turchese, un pesciolino d’acqua dolce noto per una caratteristica: la sua è un’esistenza “lampo”, fra le più brevi che si registrano nei vertebrati. Si parla di pochi mesi di vita, mentre la maturazione sessuale in genere avviene in appena un mese. E, come negli esseri umani, anche nella comunità di questi pesci le femmine vivono più a lungo dei maschi. Studiando il Nothobranchius furzeri – questo il nome scientifico del killi turchese –, i ricercatori hanno scoperto per la prima volta che le cellule germinali, cioè le cellule che si sviluppano in ovuli nelle femmine e in spermatozoi nei maschi, determinano differenze nella durata della vita, dipendenti dal sesso, negli animali vertebrati. Quando infatti il team ha rimosso le cellule germinali dai pesciolini “arruolati” nella ricerca ha osservato che sia i maschi sia le femmine avevano una durata di vita simile. I killifish maschi vivevano più a lungo del solito e la durata della vita delle femmine si accorciava. Si voleva capire come le cellule germinali potessero influenzare gli esemplari di entrambi i sessi in modo così diverso, praticamente opposto. Il passo successivo è stato quello di indagare sui fattori responsabili. Gli studiosi hanno scoperto che la segnalazione ormonale era molto diversa nelle femmine rispetto ai maschi. Le femmine di killifish senza cellule germinali avevano una segnalazione significativamente inferiore di estrogeni, il che può ridurre la durata della vita aumentando il rischio di malattie cardiovascolari. Le femmine avevano anche una segnalazione significativamente maggiore del fattore di crescita insulino-simile 1. Questo ha fatto sì che le pescioline diventassero più grandi, sopprimendo allo stesso tempo i segnali all’interno del corpo importanti per mantenere la salute e rallentare l’invecchiamento. Al contrario, i killifish maschi senza cellule germinali avevano migliorato la salute dei muscoli, della pelle e della struttura ossea. È interessante notare che questi pesci avevano quantità maggiori di una sostanza che attiva la vitamina D, oltre a prove di segnali di vitamina D nei muscoli e nella pelle. Anche la vitamina D può essere considerata un ormone. Mentre è ben noto il suo ruolo nel mantenere le ossa forti e sane, questa sembra avere anche effetti positivi più ampi su tutto l’organismo. I risultati dello studio hanno dunque evidenziato la possibilità che la vitamina D migliorasse la longevità. E seguendo questo ragionamento che si è deciso di verificare se un integratore di vitamina D avrebbe potuto aumentare la durata della vita dei pesci. Quando è stata somministrata la vitamina D attiva, è stato scoperto che la durata della vita sia dei maschi sia delle femmine killi era significativamente prolungata, suggerendo che la segnalazione della vitamina D fornisce benefici per la salute in tutto il corpo. Il lavoro suggerisce che la segnalazione della vitamina D potrebbe influenzare la longevità di altri vertebrati, compresi gli esseri umani. 
La scoperta che le cellule germinali influenzano la longevità maschile e femminile in modi opposti è un indizio importante per svelare le misteriose interazioni tra riproduzione, invecchiamento e durata della vita. Non è chiaro esattamente come la vitamina D si inserisca in questo puzzle, ma potrebbe far parte di strategie future per prolungare la durata della vita sana.

Mangiare piccoli pesci interi può prolungare l’aspettativa di vita 

Un nuovo studio ha trovato prove che collegano il consumo di piccoli pesci, mangiati interi, con un rischio ridotto di mortalità per tutte le cause e per cancro nelle donne. Lo studio evidenzia i potenziali benefici in termini di estensione della vita derivanti dal consumo abituale di piccoli pesci. I giapponesi mangiano abitualmente piccoli pesci, come bianchetti, capelin atlantico, sperlano giapponese e piccole sardine essiccate. È importante sottolineare che è pratica comune consumare piccoli pesci interi, compresa la testa, le ossa e gli organi, che sono ricchi di micronutrienti, come calcio e vitamina A. Studi precedenti hanno rivelato l’effetto protettivo del consumo di pesce sugli esiti sanitari, compresi i rischi di mortalità. Tuttavia, pochi studi si sono concentrati sugli effetti specifici del consumo di piccoli pesci sulla salute. Lo studio ha incluso 80.802 partecipanti (34.555 uomini e 46.247 donne) di età compresa tra 35 e 69 anni a livello nazionale in Giappone. La frequenza di assunzione di piccoli pesci da parte dei partecipanti è stata valutata utilizzando un questionario sulla frequenza alimentare al basale. I ricercatori li hanno seguiti per una media di nove anni. Durante il periodo di follow-up, sono stati registrati 2.482 decessi tra le persone incluse nello studio, di cui circa il 60% (1.495 decessi) erano correlati al cancro. Uno dei risultati più sorprendenti dello studio è stata la significativa riduzione della mortalità per tutte le cause e per cancro tra le donne che mangiano abitualmente piccoli pesci. Le donne che mangiavano piccoli pesci 1-3 volte al mese, 1-2 volte alla settimana, o 3 volte o più alla settimana avevano un rischio di mortalità per tutte le cause pari a 0,68, 0,72 e 0,69 volte, e a 0,72, 0,71 e 0,64 volte maggiori. Dopo aver controllato i fattori che possono influenzare il rischio di mortalità, come l’età dei partecipanti, le abitudini di consumo di fumo e alcol, il BMI e l’assunzione di vari nutrienti e alimenti, i ricercatori hanno scoperto che le donne nello studio che mangiavano frequentemente piccoli pesci avevano meno probabilità di morire da qualsiasi causa. Questi risultati suggeriscono che incorporare piccoli pesci nella loro dieta quotidiana potrebbe essere una strategia semplice ma efficace per ridurre il rischio di mortalità tra le donne. Il rischio di mortalità per tutte le cause e per cancro negli uomini ha mostrato un andamento simile a quello delle donne, sebbene non fosse statisticamente significativo. Le ragioni della mancanza di significatività negli uomini rimangono poco chiare, ma i ricercatori presuppongono che possano avere importanza anche il numero limitato di soggetti maschi o altri fattori non misurati nello studio, come la dimensione della porzione di piccoli pesci. Secondo i ricercatori, la differenza nel tipo di cancro che causa la mortalità per cancro tra i sessi potrebbe essere correlata a un’associazione sesso-specifica. Pur riconoscendo la necessità di ulteriori ricerche su altre popolazioni e di una comprensione più approfondita dei meccanismi coinvolti, i risultati dovrebbero essere importanti anche per le altre nazionalità.