L’attesa resta molto elevata, i riflettori sono puntati sulla banca centrale australiana ma anche sul ritorno in aula a Canberra previsto per domani. Sette giorni, in totale, di sedute parlamentari che anticipano di una settimana la riunione del consiglio d’amministrazione della Reserve Bank of Australia (RBA) intorno alla quale ruotano molti interrogativi.
Con il prossimo incontro del Consiglio della RBA alle porte, il dibattito sul possibile taglio dei tassi d’interesse è più acceso che mai.
Da una parte, il governo, anche per ragioni di opportunità elettorale, e molte voci del mondo economico e imprenditoriale spingono per un allentamento della politica monetaria, sottolineando il calo dell’inflazione e le difficoltà affrontate da mutuatari e aziende.
Dall’altra, c’è il rischio che un taglio troppo anticipato possa compromettere la stabilità economica e ridare vigore alla dinamica inflazionistica.
La domanda che tutti si pongono, e che probabilmente sarà una di quelle di cui si discuterà in sede di Consiglio della banca centrale, è se abbassare i tassi ora sia una mossa necessaria o un rischio calcolato con troppe incognite ancora sul tavolo.
Il principale argomento a favore di una riduzione dei tassi è la frenata dell’inflazione (vedi articolo a pagina 12): sembra esserci, dati alla mano, un rallentamento delle pressioni sui prezzi e quindi una scelta che vada nella direzione di un allentamento della rigida politica monetaria attuata sino ad ora avrebbe effetti immediati per molte famiglie che vivono una fase di particolare difficoltà finanziaria. Considerando il peso del costo della vita, una simile boccata d’ossigeno potrebbe infatti sostenere i consumi e rafforzare la ripresa economica. Non solo privati sottoscrittori di mutui immobiliari o prestiti al consumo, ma anche tutto il settore imprenditoriale ne trarrebbe beneficio, in particolare in comparti che hanno subito molto l’effetto della stretta monetaria come edilizia, ristorazione e commercio.
Da non dimenticare come effetto, inoltre, la percezione di una rinnovata stabilità economica, legata a un eventuale taglio dei tassi, il cui impatto, a pochi mesi dalle elezioni, sarà poi tutto da valutare.
Dall’altra parte, invece, diversi elementi indicano che un abbassamento dei tassi potrebbe essere prematuro o addirittura controproducente. L’inflazione sottostante resta elevata: seppur in calo, infatti, la misura dell’inflazione core rimane al di sopra del 3%, un dato ben superiore a quello, ad esempio, degli Stati Uniti.
Inoltre, un taglio dei tassi renderebbe il dollaro australiano meno competitivo proprio rispetto al dollaro statunitense, aumentando il costo delle importazioni. Questo effetto, combinato con le nuove tariffe imposte dagli Stati Uniti sulla Cina, potrebbe spingere i prezzi al rialzo e compromettere i progressi fatti nella lotta all’inflazione.
Resta sempre in primo piano poi, il calo di produttività che è ormai un dato purtroppo consolidato, e se a questo elemento uniamo una certa tenuta, e anche un aumento, dei salari, allora si deve tenere conto di questo possibile squilibrio che rischierebbe di alimentare nuove pressioni inflazionistiche nel medio periodo, riducendo l’efficacia di un eventuale taglio dei tassi.
Siamo davanti a un bivio? Sicuramente la scelta che si pone davanti a Michele Bullock e al Consiglio della RBA non è delle più semplici: da un lato, un taglio dei tassi aiuterebbe famiglie e imprese nel breve termine, ma dall’altro potrebbe rivelarsi un’arma a doppio taglio se dovesse alimentare nuove pressioni inflazionistiche e svalutare il dollaro.
La soluzione più equilibrata potrebbe essere aspettare un altro trimestre prima di agire, monitorando l’andamento dell’inflazione sottostante, la tenuta della crescita economica e l’impatto del dollaro australiano sulle importazioni.
Se i dati confermeranno un rallentamento duraturo dell’inflazione e un miglioramento della produttività, allora la RBA potrebbe procedere con un taglio dei tassi in un contesto più sicuro. Ma una decisione affrettata, guidata più dalla politica che dall’analisi economica, potrebbe trasformarsi in un errore difficile da correggere.
Powell negli Stati Uniti sta resistendo alle pressioni, e forse la RBA farebbe bene a seguire il suo esempio, almeno fino a quando i segnali macroeconomici non saranno più chiari, anche per salvaguardare la propria indipendenza, almeno formale e istituzionale, rispetto alla politica.
E sarà proprio la politica a giocare un ruolo di primo piano da qui alle prossime elezioni, con una serie di speculazioni che proseguono ormai da mesi sulla data in cui gli australiani saranno chiamati alle urne.
Al di là di tecnicalità e regolamenti, la certezza, fino a questo punto, è che l’8 marzo ci saranno le elezioni in Western Australia e Albanese è sempre rimasto sul vago continuando a tenere aperta la porta per un’elezione da tenersi il 17 maggio, mentre si configura un’ipotesi plausibile per andare alle urne il 12 aprile, così da evitare una campagna elettorale che venga a svolgersi con, nel mezzo, le festività pasquali e il lungo fine settimana dell’ANZAC Day.
Strategie e manovre sono senza dubbio parte della complessa decisione che Albanese si trova prendere nel chiamare i cittadini alle urne qualche settimana, o mese, prima della scadenza naturale e tecnica del mandato triennale. Così come è chiaro che di strategia si parla quando ci si trova ad affrontare una campagna elettorale, di fatto già in corso,
Ne abbiamo già parlato, e continua a essere di primo piano, la curiosità sul possibile “effetto Trump” sulla politica australiana.
Considerando che ogni riflessione potrebbe trovare una smentita dalle urne, resta però chiaro come sia un confronto complicato, sotto molti punti di vista, quello tra il presidente statunitense e il leader dell’opposizione Peter Dutton.
Non solo per ragioni di storia politica e personale tra i due leader conservatori, ma anche, ovviamente, per il contesto sociale, culturale ed economico differente tra i due Paesi.
Se Trump, infatti, sta agendo in maniera decisamente radicale apportando sostanziali cambiamenti allo status quo della precedente amministrazione democratica, anche Dutton, sotto alcuni punti di vista, ambirebbe a offrire un’alternativa di rottura, ma si rende perfettamente conto che ha bisogno di puntare a riconquistare quella fetta di elettorato che potrebbe non trovare così attraente l’ipotesi di una ‘rivoluzione’ radicale.
Tra l’altro, il leader dell’opposizione ha modo di condurre una battaglia elettorale basata su concetti molto pragmatici, cercando di cavalcare un indubbio, e lo confermano anche i più recenti sondaggi, malcontento rispetto al governo Albanese, in particolare per la gestione dell’economia.
Pragmatismo, quindi, e ripristino di certi sistemi di valore che, secondo voci autorevoli del mondo conservatore, devono essere rivendicati contro le politiche progressiste dei molti governi che, a livello globale, si sarebbero rivelate fallimentari.
Il punto quindi è giocare la carta dell’opposizione capace di “riportare l’Australia sulla strada giusta”, convincendo gli elettori che si sarà in grado di affrontare con giudizio e competenza la grande sfida della stabilità economica.
Come già detto, da qui al voto, però, c’è ancora tanta campagna elettorale da affrontare, e il rischio di polarizzare i messaggi, e personalizzare la campagna, è sempre dietro l’angolo.
L’auspicio è che si riesca a stare sui temi, e non sugli attacchi personali, sperando che tra i temi da mettere sul tavolo ci sia quello della visione del Paese che vada oltre il mero termine triennale del prossimo governo.