ROMA - Il Tar regionale del Lazio ha condannato il ministero della Difesa a risarcire con 135.000 euro la famiglia del capitano di Fregata S.Z., morto per un mesotelioma pleurico causato dall’esposizione all’amianto. Il militare, deceduto ad Albano Laziale a 62 anni, è stato impegnato nelle unità navali della Marina Militare per oltre dieci anni, e a terra presso l’Arsenale militare marittimo e la Scuola sottufficiali di Taranto, nonché in diverse altre sedi di servizio.

Nel novembre 2004 all’uomo venne diagnosticato il mesotelioma che ne ha determinato il decesso poco dopo, nel marzo 2005. 
Nel 2009 l’infermità sofferta dall’ufficiale è stata riconosciuta come dipendente da causa di servizio e nel 2011 si è aggiunta anche l’equiparazione alle vittime del dovere. 

La famiglia del capitano, ritenuta la responsabilità della Difesa che, oltre all’esposizione alla fibra killer e ad altri cancerogeni, avrebbe “omesso di assicurare, le informazioni circa il rischio derivante dall’amianto e la sorveglianza sanitaria, oltre che gli strumenti di prevenzione tecnica e di protezione individuale”, si è rivolta all’avvocato Ezio Bonanni, presidente dell’Osservatorio Nazionale Amianto. 

Il Tar del Lazio, all’esito dell’accertamento medico legale, ha riconosciuto il danno sofferto dal capitano di fregata e ha condannato la Difesa. 

“Si tratta dell’ennesima sentenza di condanna a carico del ministero per il decesso di un militare dell’Esercito italiano per elevata e non cautelata esposizione a fibre e polveri d’amianto e multipli cancerogeni che conferma l’allarmante dato epidemiologico sulle delle malattie e i decessi dei militari delle Forze Armate italiane - ha denunciato Bonanni, che ha sottolineato - ci chiediamo le ragioni per le quali la Difesa neghi i diritti delle vittime nonostante le numerose pronunce di condanna dell’autorità giudiziaria, e auspichiamo l’intervento del capo dello Stato per evitare queste sperequazioni che costringono i familiari, dopo l’odissea della malattia del congiunto e del lutto, ad affrontare anche continue azioni giudiziarie per far valere un proprio diritto”.