MELBOURNE – Una storia di passione viscerale per la lingua e la letteratura italiana, un amore coltivato con costanza, che unisce le sponde dell’Australia e dell’Italia. È il percorso affascinante di Rodney Lokaj, oggi docente ordinario di Filologia italiana presso l’Università di Enna “Kore”, in Sicilia, ma originario di Williamstown, sobborgo di Melbourne.
La sua carriera universitaria prende avvio in tutt’altro ambito: inizialmente iscritto a Ingegneria elettronica, comprende presto che quella strada non gli appartiene.
Tuttavia, continua per un breve periodo a sostenere esami nelle materie scientifiche, finché non sceglie di seguire la sua inclinazione più autentica verso le discipline umanistiche, passando alla facoltà di Lettere.
L’incontro con la lingua italiana avviene qui quasi per caso, per completare il piano di studi: “Mi mancavano alcuni crediti - racconta -, e venendo da otto anni di chitarra classica, ho pensato: perché non provare anche un corso di italiano? Così, tanto per…”.
È proprio in quella prima lezione che qualcosa cambia per sempre. Il docente in classe distribuisce alcune fotocopie e invita Lokaj a leggere e tradurre l’incipit della Divina Commedia: “Nel mezzo del cammin di nostra vita”.
Un battesimo di fuoco, come lui stesso lo definisce: “Immaginate, alla prima lezione, non sapevo neppure dire ‘ciao’ e mi mettono Dante davanti. Conoscevo solo termini musicali come adagio o lento. Ma da quel momento, è nato un amore viscerale per la letteratura. E quindi, inevitabilmente, per la lingua italiana”.
La bellezza del suono degli endecasillabi incatenati, la vivacità di una lingua che sa mutare con estrema naturalezza, la forza dirompente delle terzine dantesche colpiscono subito il filologo.
Ma, in particolare, a stimolare la curiosità di Lokaj è la dimensione esistenziale e tormentata degli autori dei primi secoli: esiliati, incompresi, spesso alla ricerca di senso. “La letteratura italiana è una letteratura di esiliati - riflette -, di uomini alle prese con domande profonde, irrequieti, spesso ignorati o fraintesi. È l’opposto della letteratura inglese, spesso ancorata a un senso di superiorità post-coloniale”.
Dopo tre anni di studio presso la Swinburne University, Lokaj ottiene una borsa di studio che lo porta in Italia, all’Università per Stranieri di Perugia. Ha appena 22 anni, ma già manifesta un vivo interesse per l’ambito francescano.
“Avevo già il pallino per la letteratura di quel periodo, specialmente per San Francesco”, ricorda. Si laurea con una tesi su Petrarca, dal titolo Petrarca ferito nella selva virgiliana, consolidando così un legame profondo con due figure centrali della nostra tradizione: San Francesco e il poeta aretino.
Consegue quindi un dottorato all’Università di Edimburgo, dedicandosi al Petrarca latino. Il suo lavoro culmina nella pubblicazione di un’edizione critica dell’Ascesa al Monte Ventoso, considerata l’ultima lettera di stampo medievale e il primo documento moderno. Nel frattempo, l’interesse per San Francesco diventa sempre più centrale, anche come chiave interpretativa per comprendere lo sviluppo della tradizione italiana.
“Seguire la spiritualità e il sistema di valori francescani negli autori successivi è, per me, un approccio esegetico fondamentale. Un fil rouge che ha prodotto molti frutti”.
Nel suo ampio curriculum spiccano studi sul Cantico delle creature, con analisi che ne rintracciano le riprese in Dante, in particolare nel Purgatorio (canto XI), e una Lectura Dantis tenuta presso la sede storica della Società Dante Alighieri a Firenze.
In occasione del centenario di San Francesco patrono d’Italia, Lokaj è stato invitato a partecipare alle celebrazioni ufficiali a San Damiano, con un intervento dedicato proprio al Cantico: “Ho studiato il manoscritto più antico, il codice 338 del Sacro Convento di Assisi, e ho condotto un’analisi filologica dell’intero fascicolo che lo contiene – prosegue il professore –. È stato un onore parlare proprio lì, dove il Cantico è nato, e riflettere su come Dante lo riprenda come antidoto alla superbia”.
Nonostante le difficoltà di un percorso non sempre lineare, Lokaj si dichiara un uomo fortunato. Ha scelto di vivere in Umbria, dove – come afferma con un sorriso – “si respira aria francescana”. Vive nei pressi di Spoleto, in una torre di avvistamento del Trecento, e viaggia spesso per motivi accademici.
“Gli amici, scherzando, spesso mi dicono che sono pazzo, perché mi occupo di cose astruse. Ma [queste] sono la mia linfa. Io vivo per la letteratura. Non riesco a concepire la mia vita al di fuori di questo mondo”. Tra le sue più grandi soddisfazioni, oltre alla Lectura Dantis, cita la Lectio Magistralis su Dante ed europeismo tenuta a Montecitorio, nel 2023, a un anno dalla scomparsa del giornalista e presidente del Parlamento europeo, David Sassoli: “Venire da Williamstown e arrivare a parlare di Dante davanti a politici, senatori... è stato incredibile”, racconta emozionato il filologo.
Lokaj è oggi l’unico professore ordinario in Italia di origine straniera nel suo settore disciplinare: Filologia della letteratura italiana. È membro di prestigiose accademie, come quella delle Scienze dell’Umbria e degli Ottusi di Spoleto. “In queste accademie non ti candidi: sono loro che ti cercano. È un riconoscimento davvero importante”, afferma.
Il suo sguardo sulla lingua è anche quello di chi l’ha appresa da adulto. “L’apprendimento della seconda lingua – spiega – è un processo a pezzi e bocconi. Man mano che si va avanti richiede sempre più energia”. Per lui, l’italiano è stato anche la lingua di accesso al latino:
“Quando studi lingue classiche, o ti immergi completamente, o lasci perdere. Io ho usato la lingua italiana come ponte per comprendere il latino. Non ho rimpianti: oggi mi sento una persona ricca, culturalmente ed esistenzialmente”.
Il suo metodo, appreso dal maestro Giorgio Brugnoni, si basa sull’ascolto del testo. “Il testo suggerisce la strategia esegetica. Devi scandagliarlo, lasciarlo parlare. La filologia non è solo tecnica, ma una danza tra il testo e l’eternità”, afferma il filologo.
E cita un esempio concreto: “Il primo verso del canto di Ugolino ricalca un detto dell’Eneide. Se non riconosci il collegamento, ti perdi un’intera dimensione”.
Secondo Lokaj, la letteratura è anche uno strumento straordinario per insegnare la lingua. Testi come Seta, di Baricco, o le opere di Pavese, con il loro linguaggio piano ma denso, possono far capire agli studenti che si può leggere per piacere, e al tempo stesso vivere un pezzo autentico di cultura italiana: “Una volta, all’estero, mi contestarono l’uso del congiuntivo. Ma in Italia non è solo una forma grammaticale: è un segno culturale, un marchio identitario. Bisogna allora insegnare non solo la grammatica, ma anche il ‘perché’ di una scelta linguistica, il contesto che la motiva”.
“Scendere a patti con Dante sin da subito è stato affascinante; ho capito molte cose della cultura italiana del periodo”, ammette.
E a distanza di quarant’anni, la sua convinzione è più forte che mai: far parlare i testi, trasmettere curiosità, insegnare a leggere tra le righe. È questa, per Lokaj, la vera missione del filologo e del docente.