Il generale Eberhard von Mackensen aveva dato l’ordine alla 14ª Armata di raggiungere dalla Linea Caesar e dai Colli Albani la zona sud di Roma entro il 3 giugno 1944. La frattura della Linea Gustav dopo la quarta battaglia di Montecassino conclusasi con la vittoria del II Corpo d’armata polacco del generale Wladyslaw Anders si allargava e non era più risanabile con uno dei consueti rimedi all’ultimo momento del Feldmaresciallo Albert Kesselring. Questi si era reso conto che ormai c’era ben poco da fare e proprio il 3 aveva dichiarato unilateralmente Roma “città aperta”, disponendo la ritirata del Gruppo di armate C e dando incarico alle retroguardie di tenere impegnato l’esercito del generale Mark Wayne Clark il tempo necessario a un ripiegamento ordinato, per potersi attestare lungo la Linea Gotica più a nord. Il continuo deflusso delle truppe tedesche dalla cerchia urbana e il transito dei mezzi pesanti e dei cannoni convinse i romani che l’occupazione nazista aveva le ore contate e che finalmente gli americani, attesi dallo sbarco di Anzio-Nettuno a inizio anno, stavolta stavano veramente arrivando.

I ponti sul Tevere 

I sobborghi vengono raggiunti all’alba del 4 giugno da reparti del VI Corpo d’armata statunitense, e nonostante la resistenza dei tedeschi si aprì una gara a chi per primo avesse varcato la cinta muraria della Città eterna. I reparti speciali statunitensi erano stati impegnati per nove ore in una battaglia frammentata: serviva a guadagnare il tempo necessario per impedire l’imbottigliamento delle divisioni tedesche in ritirata. La periferia romana meridionale viene raggiunta dalla 1ª divisione corazzata e dalla 36ª divisione di fanteria, ma i tedeschi consentiranno l’ingresso in centro solo verso il tramonto. Kesselring aveva proibito la distruzione dei ponti sul Tevere nella cerchia urbana ma aveva lasciato i genieri ai due lati per far saltare gli altri all’apparire delle avanguardie alleate. Clark era da tempo ossessionato dal pensiero che dovesse essere la sua 5ª Armata a liberare Roma e lui il primo generale a conquistarla da sud dopo 15 secoli, e per questo aveva disinvoltamente ignorato alcune istruzioni operative del comandante in capo, il britannico Harold Alexander. Per farsi immortalare su una fotografia con alle spalle il cartello stradale con la scritta Roma, per poco non era rimasto ucciso dal fuoco di un cecchino tedesco. Non aveva tempo da perdere se voleva avere il suo momento di gloria, perché la presa di Napoli non gli bastava e neppure i riconoscimenti che gli erano piovuti addosso, compresa una laurea honoris causa dell’università partenopea. Roma, col suo richiamo storico, aveva tutt’altro spessore e rilievo nell’immaginario collettivo.

I piani militari 

E così Clark il 26 maggio aveva improvvisamente cambiato i piani, tra lo sconcerto dei suoi sottoposti e quello dei tedeschi che non avevano più riserve da gettare nella mischia né tempo per farlo, pur riuscendo a tamponare la situazione nella zona di Velletri e consentire la ritirata della 10ª Armata. Il 30 maggio il generale Frank Walker si era accorto di un corridoio lasciato aperto nello schieramento tedesco e aveva fatto infiltrare due reggimenti della 36ª divisione tra due corpi d’armata nemici, prendendo il controllo di monte Artemisio. Clark decide di convergere su Valmontone per l’attacco decisivo: la 36ª si era ormai aperta la via sui Colli Albani e il II Corpo d’armata era penetrato tra Velletri e Valmontone, minacciando la via Casilina. Kesselring era furibondo con Mackensen e gli rimproverava di aver sottovalutato lo sfondamento americano e di essersi attardato nel distaccare la 29ª divisione di granatieri corazzati a disposizione della 10ª Armata, e il 5 giugno lo rimuoverà dal comando. A Roma, intanto, le vie fatte percorrere dai prigionieri di guerra alleati e ripresi dagli operatori della Wehrmacht diventavano lo scenario del trionfo americano.

La popolazione 

I romani, appena si era sparsa la voce, erano scesi in strada per accogliere i liberatori. Da San Giovanni si materializzava una colonna interminabile verso Il Tritone e piazza di Spagna. Un’intera città si riversava ovunque per applaudire, festeggiare, liberarsi da un incubo. Un’ubriacatura collettiva. I romani inneggiano pure a papa Pio XII. Tanto entusiasmo fa il gioco di Kesselring, poiché la folla intralciava non poco jeep, camion e carri armati, e se pure gli americani avessero avuto l’intenzione di incalzare i tedeschi, questo non era più possibile. Roma che non era insorta come sperato dai partigiani dopo l’attentato di via Rasella che aveva provocato l’eccidio delle Fosse Ardeatine, adesso si immerge nella ritrovata libertà, dopo nove mesi di opprimente occupazione nazista. Clark era riuscito nella sua personalissima impresa di aver provocato la caduta della prima capitale dell’Asse (che non esisteva più) e il simbolo del regime fascista (che si era trasferito a Salò). A Vittorio Emanuele III non viene concesso di rientrare nell’Urbe. Le fotografie scattate allora ci restituiscono l’immagine di soldati italiani del rinato Regio esercito in sfilata, ma si tratta di una banda militare. C’erano conti con la storia ancora da pagare.

Il re 

Su carta bollata, come preteso dagli Alleati, Vittorio Emanuele in data 5 giugno 1944 da Villa Rosberry a Ravello, con decreto di un solo articolo, rimette i poteri al principe Umberto come Luogotenente generale del Regno. Ma non abdica, tenacemente abbarbicato a quel trono che aveva compromesso spianando la strada al regime di Benito Mussolini, condividendone ogni iniziativa comprese le vergognose Leggi razziali del 1938, ed entrando nel secondo conflitto mondiale risoltosi in un disastro e nella guerra civile. Umberto sarebbe tornato al Quirinale, precipitosamente abbandonato il mattino del 9 settembre 1943, un paio di giorni dopo.

La gloria

La gloria di Clark era già svaporata. All’alba del 6 giugno la notizia che sconvolse il mondo fu il D-Day, l’Operazione Overlord, lo sbarco sulle coste della Normandia nella più grande impresa militare di tutti i tempi, che portava la guerra sul continente europeo per sconfiggere definitivamente la Germania di Adolf Hitler. Il fronte meridionale passava del tutto in secondo piano e così la Campagna d’Italia che, se si fosse conclusa vittoriosamente per gli Alleati ma sei mesi prima, quando il comando supremo era di Bernard Law Montgomery, avrebbe dato un indirizzo diverso al conflitto.