In un clima politico già teso, ci prepariamo ad affrontare una settimana cruciale e, probabilmente, alcuni passaggi che segneranno la strada per i mesi a venire. Domani, come già anticipato, la Reserve Bank of Australia (RBA) è attesa a una decisione importante: un possibile taglio dei tassi d’interesse, il primo dopo oltre un anno di tassi tenuti fermi e dopo ben tredici aumenti da maggio 2022 che hanno portato il tasso ufficiale di sconto al 4.35%.

Una scelta molto attesa, quella del Consiglio della banca centrale australiana guidato dalla governatrice Michele Bullock che, anche secondo le valutazioni di molti economisti e analisti finanziari, dovrebbe ridurre di 0.25% i tassi di interesse.

Una mossa che punta a stimolare un’economia in chiaro rallentamento e, soprattutto, a fornire un po’ di sollievo alle famiglie gravate da un crescente aumento del costo della vita.

Contestualmente, circolano voci insistenti su un’imminente convocazione di elezioni federali, con il governo che potrebbe quindi decidere di evitare la presentazione della manovra finanziaria, scegliendo invece di chiamare i cittadini alle urne. Questa combinazione di eventi, attesi per i prossimi giorni, potrebbe ridefinire il panorama politico ed economico del Paese, mettendo di fatto la parola fine al governo Albanese e aprendo, ufficialmente, la competizione elettorale.

Un’elezione con molte incognite, non solo per quello che sarà il futuro del Paese, che forse resta il tema principale su cui ci si attenderebbero sguardi ben più ampi e visioni sinottiche che vadano oltre il tanto necessario, quanto però immediato, riscontro dei consensi.

Le incognite, prima e dopo l’indizione delle elezioni, sono tante proprio sul fronte di cosa accadrà alle urne, i sondaggi continuano a disegnare un Paese diviso ma senza consegnare una netta vittoria ai due principali contendenti, con lo scenario di un governo senza maggioranza che non lascia ben sperare proprio per quella visione a lungo termine di cui sopra.

A giocare un ruolo di primo piano, a prescindere dalle linee, più o meno aggressive, più o meno legate ad attacchi personali, che i partiti decideranno di seguire in campagna elettorale, ci sono anche gli aspetti più squisitamente legati ai gruppi di ‘lobby’ che decideranno di investire somme importanti soprattutto per conquistare, o riconquistare, seggi chiave.

I laburisti, i partiti della Coalizione, così come i verdi e gli indipendenti stanno raccogliendo e distribuendo fondi su larga scala per cercare di far convergere a loro vantaggio il risultato delle urne, trasformando il voto in una battaglia non solo di idee, ma, evidentemente, anche di risorse finanziarie.

Due dei principali attori di questa partita sono il gruppo conservatore Advance e il movimento progressista Climate 200 che hanno mobilitato moltissimi volontari e milioni di dollari per sostenere i loro candidati in oltre 40 seggi. 

Advance, noto per aver guidato con successo la campagna contro il referendum sulla Voce Indigena, ha in programma un massiccio blitz elettorale volto a spodestare parlamentari dei verdi e a colpire i laburisti nei suoi seggi più vulnerabili, con il dichiarato intendo di ridurre il peso dei verdi anche per tutto ciò che concerne le proposte politiche in materia di energia.

Dall’altro lato, Climate 200, guidato dall’imprenditore Simon Holmes à Court, sta investendo pesantemente anche in questa tornata elettorale per rafforzare la presenza di candidati indipendenti nelle ex roccaforti della Coalizione. Con oltre 30 seggi nel mirino, l’organizzazione mira a replicare il successo del 2022, quando contribuì a eleggere sei deputati indipendenti e a modificare gli equilibri del Senato.

L’importanza del finanziamento elettorale è evidente non solo nelle cifre in gioco – con spese che si prevede raggiungeranno centinaia di milioni di dollari – ma anche nelle tattiche adottate. Dalla pubblicità sui social media ai cartelloni, dalle campagne di base ai massicci invii postali, le elezioni australiane stanno diventando sempre più una questione di chi riesce a trasmettere il proprio messaggio con maggiore intensità e frequenza.

Ma questo panorama solleva domande fondamentali sulla democrazia australiana. I finanziamenti privati stanno permettendo a gruppi ben organizzati di influenzare in modo sproporzionato il voto, riducendo la capacità degli elettori di prendere decisioni basate unicamente su programmi politici. Il rischio è che la rappresentanza parlamentare diventi sempre più dipendente dalla capacità di attrarre fondi piuttosto che dal supporto genuino della cittadinanza, basato su programmi e capacità di condividere con gli elettori un’idea di Paese.

Con un parlamento senza maggioranza all’orizzonte e una frammentazione crescente del voto tra partiti tradizionali, indipendenti e possibili nuovi movimenti emergenti, questa campagna elettorale potrebbe essere ricordata non solo per i suoi risultati politici, ma anche per il ruolo senza precedenti che il denaro avrà giocato nel determinarli. In un sistema in cui i finanziamenti decidono chi ha voce in capitolo, la vera sfida per la democrazia australiana sarà garantire che il potere resti nelle mani degli elettori, e non solo nelle tasche dei grandi donatori.

Rispetto all’ipotesi di cui sopra, ovvero di una difficile corsa verso una maggioranza, i giorni scorsi sono emersi anche interessanti dati legati agli ultimi sondaggi, con l’analisi di YouGov che ha rivelato che la Coalizione potrebbe trovarsi a soli due seggi dalla formazione di un governo di maggioranza. Il sondaggio prevede che la coalizione conquisti 73 seggi su 150 alla Camera, superando di gran lunga i 66 dei laburisti.

Se il risultato fosse confermato alle urne, Peter Dutton potrebbe diventare il prossimo primo ministro, mentre il governo di Anthony Albanese rischierebbe di diventare il primo a non riuscire a confermarsi per un secondo mandato dal 1931. L’evidenza, rappresentata da questi numeri, sembra dire che i laburisti stiano perdendo consensi nelle periferie della classe media e dei lavoratori, dove l’impatto del crescente costo della vita in effetti ha inciso ancora più che in altre zone. Sebbene il partito di Anthony Albanese potrebbe guadagnare alcuni seggi dai verdi a Brisbane, è previsto comunque un calo complessivo di 15 seggi rispetto alle precedenti elezioni.

Nonostante la posizione di vantaggio nella quale si potrebbe trovare, se confermati questi dati, il leader dell’opposizione, Peter Dutton, ha espresso dubbi sulla possibilità di ottenere il supporto degli indipendenti, in particolare dei cosiddetti “teal”, che si sono allineati spesso con i verdi. Tuttavia, l’indipendente Allegra Spender, ai microfoni di Insiders sull’ABC, intervistata da David Speers, ha lasciato intendere che la sua decisione, di appoggiare l’una o l’altra parte, potrebbe dipendere dalla stabilità del governo e dalle politiche ritenute chiave, tra cui quelle sul clima, sulle tasse e, in generale, sulle riforme che possano ridare vigore alla produttività.

Insomma, sulla base del modello strutturato da YouGov si prevede una flessione del consenso laburista sotto il 30%, mentre la Coalizione guadagnerebbe terreno con un 37,4%. Questo lascerebbe spazio a un’ampia gamma di possibili risultati: la Coalizione potrebbe ottenere tra 65 e 80 seggi, mentre il partito laburista potrebbe oscillare tra 59 e 72, con un numero variabile di seggi per verdi e indipendenti.

Questa nuova proiezione evidenzia come la battaglia elettorale si giocherà su un filo sottile, con ogni singolo voto che potrebbe fare la differenza tra un governo di maggioranza e un parlamento sospeso. 

In un contesto di crescente influenza dei finanziamenti privati e di un elettorato sempre più frammentato e polarizzato su questioni chiave, interne e internazionali, l’immediato futuro politico dell’Australia sembra destinato a restare incerto fino all’ultimo momento.