PHNOM PENH - L’orizzonte di pace tra Thailandia e Cambogia è tornato a barcollare in maniera drammatica, con la ripresa degli scontri armati lungo la frontiera comune che ha provocato vittime e costretto decine di migliaia di persone a fuggire.  

L’escalation, avvenuta nelle ultime 48 ore dopo una fragile tregua, ha spinto il primo ministro thailandese Anutin Charnvirakul ad annullare unilateralmente il recente patto di non belligeranza. Charnvirakul ha infatti dichiarato nullo l’accordo di de-escalation firmato appena un mese e mezzo fa, il 26 ottobre, durante un vertice promosso dal presidente statunitense Donald Trump in Malesia. 

“Niente più negoziati – ha dichiarato Anutin – se la Cambogia vuole che i combattimenti cessino, dovrà soddisfare le nostre richieste”.  

Gli attacchi aerei e le scaramucce hanno riacceso una disputa secolare per il controllo di alcune aree lungo gli 800 km di confine. 

Bangkok ha riferito che gli scontri sono iniziati con attacchi cambogiani nell’area di Chong An Ma, che hanno causato la morte di almeno un soldato thailandese e il ferimento di altri militari. Il portavoce dell’esercito thailandese, Winthai Suvaree, ha specificato che i raid aerei thailandesi sono stati una “risposta” a bombardamenti cambogiani con granate e razzi contro obiettivi militari e civili. 

 Da parte sua, il Ministero della Difesa della Cambogia ha denunciato che l’esercito thailandese ha aperto il fuoco nelle province di Preah Vihear e Oddar Meanchey, definendo gli attacchi di Bangkok “di ritorsione” come “falsi”. Phnom Penh sostiene di aver mantenuto la “massima moderazione” senza aprire il fuoco, accusando le forze thailandesi di “numerose provocazioni per molti giorni.” 

Il ministero della Difesa cambogiano ha riportato la morte di almeno sei civili cambogiani, di cui due uccisi in un bombardamento notturno nella provincia di Banteay Meanchey. 

La ripresa delle ostilità, inolte, ha innescato una crisi umanitaria acuta: migliaia, se non decine di migliaia, di persone sono state costrette ad abbandonare in fretta e furia le proprie case. Media locali hanno mostrato code chilometriche di civili in fuga - a bordo di auto, moto, trattori e camioncini - sia in territorio thailandese (in province come Ubon Ratchathani) sia in quello cambogiano. 

La tensione rimane altissima. Mentre il premier cambogiano Hun Manet ha ribadito che il suo Paese “rispetta la sovranità e l’integrità territoriale” ma “non permetterà a nessuno di violare la propria”, Anutin Charnvirakul non ha escluso ulteriori operazioni militari “in caso di necessità”. 

Il fallimento della tregua, giunta dopo i pesanti scontri di luglio che avevano causato 43 morti, è stato accolto con profonda preoccupazione dalla comunità internazionale. 

Sia l’Onu che l’Unione Europea hanno lanciato appelli per la de-escalation. Bruxelles, in particolare, ha esortato entrambi i Paesi a “esercitare la massima moderazione” e a “tornare alla Dichiarazione congiunta firmata il 26 ottobre”, l’accordo mediato dagli Stati Uniti in cui i Paesi si erano impegnati a risolvere le loro differenze “in modo pacifico”.