MELBOURNE - Quante volte capita di sentire qualcuno, generalmente in età più avanzata, parlare delle nuove generazioni per luoghi comuni, sminuendo il valore dei ragazzi e descrivendoli attingendo da una lunga lista di pregiudizi sulla loro – presunta – svogliatezza, indifferenza o incapacità.

Ho sempre cercato di evitare di inciampare in questo tranello, prestandovi particolare attenzione con il passare degli anni e, quando sono caduta in tentazione di giudicare intere generazioni, sono spesso stata smentita da racconti che in un attimo, hanno riacceso la mia fiducia verso i più giovani, il loro entusiasmo e determinazione. L’ultimo di questa serie di fortunati incontri è stato con Flavia Antoniazzi, 23 anni da compiere il prossimo mese.

Flavia, nata e cresciuta in Australia da genitori italiani, studia alla Monash University, dove si è iscritta dopo essere diventata Dux della sua scuola superiore, ha una doppia laurea in Giurisprudenza e Studi globali, con specializzazione in Diritti umani.

“Studiare le altre culture è la cosa che mi interessa di più. Non voglio una carriera da avvocato; vedo il mio futuro in un’organizzazione internazionale o in una Ong, perché mi piacerebbe lasciare un segno, fare la differenza”, commenta.

Viaggiare per entrare in contatto con culture e tradizioni che non conosce è la sua più grande passione e il richiamo di scoprire il mondo è così forte che lo scorso anno Flavia ha deciso di prendersi una pausa dalla vita universitaria e andare a esplorare un nuovo pezzo di mondo.

“Voglio essere libera e immergermi nelle culture che ho la fortuna di conoscere, scoprirle liberandomi dalle costrizioni della quotidianità”, racconta. 

Così lo scorso anno ha preparato una valigia grande abbastanza per trascorrere sette mesi in un viaggio che l’ha portata a toccare Portogallo, Spagna, Turchia, Marocco, Tanzania, Germania, Italia e Taiwan. Tutto da sola.

“Per non spendere troppo ho deciso di lavorare mentre mi trovavo all’estero, e grazie al sito 'Workaway' ho trovato delle persone che mi hanno offerto vitto e alloggio, in cambio di lavoro”, un ottimo modo per un bagno di vita reale nel Paese che si vuole visitare.

“Ci si immerge nella cultura e si ha uno scopo – sottolinea Flavia –. Quando ero in Spagna, ad esempio, ho vissuto in una fattoria nei pressi di Toledo, dove aiutavo la famiglia nella gestione degli animali, mentre imparavo un po’ di spagnolo”.

Da una fattoria in Spagna all’insegnamento dell’inglese in Marocco, nel tempo di prendere un aereo, insieme ad altri coetanei che condividevano la stessa avventura.

Poi per sette settimane la studentessa ha chiamato casa Arusha, una città a nord-ovest della Tanzania da cui si può intravedere il monte Kilimangiaro, dove ha fatto la volontaria in una piccola scuola per bambini svantaggiati, a cui viene data la preparazione necessaria prima di essere integrati nel sistema scolastico pubblico.

Ospite del fondatore della scuola e della sua numerosa famiglia, Flavia con loro ha diviso gli spazi di una casa piccola e affollata, in cui però non mancava niente.

“Tra adulti e bambini eravamo una ventina a condividere il bagno, che era solo un buco in terra, e la doccia, che consisteva in un rubinetto e un secchio”, ma le difficoltà logistiche sono un piccolo dettaglio, perché quello che ricorda la volontaria è altro: “Ogni mattina al risveglio mettevano la musica, facevamo colazione insieme e mangiavamo benissimo. La signora che cucinava per tutti, la mamma di John, la persona che mi ospitava, preparava cibo sufficiente per tutti in una cucina che prevedeva solo un tavolo con un fornello da campo appoggiato sopra”.

Per andare alla scuola Flavia camminava cinque minuti attraverso le strade trafficate e gremite, dove incontrava sempre qualcuno con cui chiacchierare, perché durante la sua permanenza ad Arusha ha anche studiato lo Swahili, la lingua ufficiale del Paese. “Non è una lingua particolarmente difficile: sono riuscita a crearmi un vocabolario sufficiente per avere una breve conversazione. Tutti nella comunità erano disponibili a parlare con me, e questo ha molto aiutato la pratica”. 
Alla scuola dove ha insegnato inglese come volontaria, Flavia è stata in classe sia con bambini dai tre ai cinque anni sia con quelli più grandi, di 11 e 12 anni.

Con i primi, la connessione si è stabilita immediatamente; erano sempre entusiasti di vederla: “Tutte le mattine mi accoglievano come se non mi vedessero da giorni, salutandomi con grande energia, e già questo mi riempiva il cuore”, ricorda.

Con quelli più grandi ci è voluto del tempo perché si aprissero e si fidassero di lei, ma, una volta abbattuto il muro della diffidenza, è stato davvero gratificante.

“Mi è piaciuto il fatto di aver avuto molta libertà in classe con i bambini. Il direttore della scuola mi ha indicato gli argomenti da trattare, ma io ho potuto dare sfogo alla mia creatività sul come farlo. Ho pensato a cosa piaceva a me quando avevo la loro età e ho ripescato dalla memoria dei giochi che amavo fare in classe”. 

Una delle cose che ha colpito la studentessa è l'indipendenza dei bambini: anche i più piccoli camminavano verso casa da soli alla fine della giornata, ma anche il fatto che le lezioni fossero piuttosto impegnative, con classi di matematica, Swahili e di inglese già dai tre anni.

Il viso di Flavia si apre in un sorriso quando ripensa all’affetto che questi bimbi le hanno dimostrato: “A ricreazione volevano sempre giocare con i miei capelli. Mi hanno fatto tantissimi disegni. Fa parte della loro cultura essere aperti al prossimo. Sono affettuosi con tutti; mi abbracciavano e dimostravano affetto in continuazione”.

E durante la nostra conversazione ritorna spesso il concetto di comunità, che è probabilmente l’insegnamento più significativo che Flavia ha portato con sé a Melbourne: “Pensiamo sempre di essere più sviluppati, ma la loro idea di socialità è molto più avanzata della nostra. Basta guardare fuori dal finestrino per rendersi conto che tutti hanno uno scopo, che tutti sono fuori a parlare e socializzare; sono tutti connessi. Il concetto di straniero non esiste”.

“Ho vissuto e capito profondamente l’idea di comunità, dove si condivide tutto quello che si ha – continua -. Credo che noi abbiamo dimenticato questo concetto; la condivisione agevolerebbe tutti. Anche i bambini della scuola lo facevano spontaneamente, sin da piccoli sono abituati a farlo”. 

E sono propri questi valori, di connessione e condivisione che Flavia ha intenzione di praticare anche adesso che è tornata a casa: “Mi piace fermarmi a parlare con le persone che incontro, avere un rapporto con chi abita nel mio quartiere e incontro tutti i giorni”.

L’altruismo e la disponibilità provati durante il suo lungo viaggio hanno dato alla studentessa la motivazione per replicarli nella sua quotidianità: “[Perché] ho ricevuto così tanto che voglio continuare a tenere in circolo la generosità”, spiega. Rientrata in Australia, Flavia ha cercato un nuovo lavoro per mantenersi, e lavora adesso come assistente sociale – disability support worker –, dando sostegno a persone con disabilità fisiche o intellettive.

“Un’esperienza spesso complicata, ma anche molto appagante”, assicura.

E, siccome l’energia certamente non le manca, nei prossimi mesi vorrebbe cercare un modo per collaborare con qualche associazione che aiuta rifugiati e richiedenti asilo, per mettere in pratica le competenze che sta acquisendo grazie ai suoi studi e cominciare a muovere i primi passi in quel mondo lavorativo in cui vorrebbe entrare appena conclusa l’università.

Dopo quasi un’ora di chiacchierata ci salutiamo e Flavia esce di corsa per non tardare al suo appuntamento per donare il sangue.