Terreno dei più scoscesi e polarizzanti, quello del dibattito sulla reazione israeliana all’attacco terroristico di Hamas del 7 ottobre 2023. 
Fortunatamente per tutti viviamo in una democrazia dove c’è spazio e libertà di confronto, di analisi e anche di aspri scontri dialettici tra chi la pensa in maniera diversa.

Quello che mai avremmo voluto vedere in un Paese libero come l’Australia sono le scene a cui abbiamo assistito venerdì scorso a Melbourne, con un luogo di culto bersagliato da un incendio, in quello che è stato definito un ‘atto terroristico’, dal primo ministro Anthony Albanese.

Per nulla tempestive, secondo l’opposizione, le parole del primo ministro che, così come altri membri del suo governo, è da tempo sotto i riflettori proprio sulla questione palestinese. 

Ultima, ma solo in ordine di tempo, e questa volta dalla portata ‘internazionale’, vista la risonanza dell’attacco di venerdì, la veemente reazione del primo ministro israeliano che sabato, forse con un’affrettata equazione, ha descritto la posizione del governo laburista australiano come “scandalosa”, collegando l’attacco antisemita di venerdì al voto dell’Australia su una risoluzione delle Nazioni Unite che chiede la fine della presenza illegale di Israele nei territori occupati.

Il ministro Murray Watt ha risposto al capo di governo israeliano, dicendo di “non essere d’accordo, rispettosamente” con Netanyahu: “Fin dagli orribili attacchi del 7 ottobre, il governo Albanese ha intrapreso una serie di azioni forti per opporsi all’antisemitismo e per estirparlo, il nostro governo ha tolleranza zero assoluta verso l’antisemitismo”.

E qualche ora dopo Albanese stesso ha difeso la posizione assunta dall’Australia alle Nazioni Unite.
“157 paesi hanno votato a favore di quella risoluzione, inclusi quattro dei partner dei Five Eyes: Australia, Regno Unito, Canada e Nuova Zelanda, oltre al Giappone e ad altri partner regionali,” ha dichiarato il primo ministro che ha respinto al mittente l’accusa, mossa da membri della Coalizione, di aver cambiato la posizione dell’Australia rispetto al blocco di alleati occidentali.
“La stessa risoluzione è stata sostenuta dal governo Howard per diversi anni. Il nostro voto è stato coerente con la posizione bipartisan di lunga data a sostegno di una soluzione a due Stati: lo Stato di Israele e uno Stato palestinese affiancati, all’interno di confini sicuri”, ha replicato Albanese.

In ogni caso, al netto delle diverse posizioni che hanno già un chiaro accento da campagna elettorale tra governo e opposizione, il primo ministro su questo argomento è in una condizione non facile e proprio perché, da quell’infame attacco terroristico del 7 ottobre 2023, la questione israeliana è diventata, in Australia, anche una questione nazionale. 

Speravamo di non dovere averne la conferma con un atto terroristico nelle nostre strade ma, ora che è accaduto, purtroppo bisogna trarne delle conclusioni e approcciarsi a questo tema in maniera conseguenziale. 

Quanto accaduto è, chiaramente, un reato penale, la responsabilità è soggettiva e individuale e l’auspicio è che i responsabili dell’attacco alla sinagoga di venerdì vengano assicurati alla giustizia e, se ritenuti colpevoli, possano scontare la pena comminata senza sconti né giustificazioni alcune.
Ma è altrettanto evidente che parlare dell’episodio come un gesto isolato dal contesto, non renderebbe pienamente l’idea dell’atmosfera che si sta respirando nel Paese. Non si esagera se si definisce quanto sta accadendo un problema di sicurezza nazionale, e come tale va affrontato. 
La campagna elettorale può avere toni duri, accesi, si può essere d’accordo o meno sulle linee di politica economica, energetica, delle relazioni industriali, in generale della visione del Paese, e si può e si deve lottare strenuamente per rappresentare le proprie idee e conquistare il consenso.

Non si dovrebbe, invece, polarizzare l’opinione pubblica su un fronte delicato che ha a che fare con la coesione sociale, con l’essere tutti uniti nel difendere le prerogative democratiche conquistate nei decenni e nei secoli dalle società occidentali di cui, che piaccia o meno, l’Australia fa parte.

Invece di dividersi, invece di polemizzare dall’una e dall’altra parte, il governo e l’opposizione, Albanese e Dutton, dovrebbero schierarsi insieme nel condannare l’antisemitismo, nell’esprimere solidarietà alla comunità ebraica che sta vivendo con ansia e preoccupazione i fantasmi di un passato che tutto il mondo sperava di avere cancellato.

E tutto questo, a scanso di equivoci, non ha nulla a che fare con la necessaria forte condanna da esprimere per quanto accade in quei luoghi di guerra, soprattutto in caso di acclarate violazioni dei diritti umani, dall’una e dall’altra parte. Bene chiedere un cessate il fuoco e ci mancherebbe, bene cercare di avere un ruolo a livello di organizzazioni internazionali per un compromesso politico che faccia fermare le ostilità ma, purtroppo, nel merito, sono tante le analisi che lasciano intendere che il percorso della soluzione “due popoli, due stati-nazione” sia oggi pressoché impraticabile, e non soltanto perché il governo di destra di Netanyahu non ne vuole sentire parlare, ma anche per altre considerazioni che hanno a che fare, solo per fare qualche esempio, con la forma di governo che si dovrebbe dare la Palestina e con le forze militari che si costituirebbero a difesa dello Stato palestinese, evidentemente pericolosamente contrapposte alla grande potenza militare israeliana.

Tra l’altro, ad aggiungere difficoltà nel veder progredire questa ipotesi, soprattutto dall’attacco terroristico del 7 ottobre, ma certo non soltanto da allora, l’equazione palestinesi/Hamas, per quanto semplicistica e non certo corrispondente alla realtà, che purtroppo implica un inevitabile indebolimento della capacità di autodeterminazione del popolo palestinese. 

Equazione populista, forse, però  è un fatto che Hamas sia al governo in Palestina dal 2007 e, soprattutto dopo il 7 ottobre 2023, ha visto aumentare il proprio consenso nella Striscia di Gaza.

Una data, quella del 7 ottobre, che ha fatto scatenare una reazione violenta, implacabile, da parte di Israele, ancora tanti gli ostaggi israeliani nelle mani di Hamas, alcuni di loro forse già morti, il dramma è continuo, la popolazione di Gaza è stremata, la solidarietà e il dolore non possono che essere espressi per tutte le vittime innocenti, palestinesi e israeliane, di questo conflitto.

Non si comprende, al netto di tutto ciò, quanto portare questo conflitto, questo dolore, nelle nostre strade, nei nostri luoghi di culto, possa aiutare la causa palestinese o a dirimere una controversia internazionale che dura decenni. Solidarietà e violenza non dovrebbero coesistere, non in un luogo di libertà come l’Australia