In origine doveva trattarsi di un solenne trattato, ma a causa della prurigine sovranista di molti governi, il trattato è stato declassificato a semplice accordo. Benché si puntasse ad una migliore cooperazione mondiale contro il rischio di diffusione di nuovi agenti patogeni e si cercasse di concordare le strategie per la prevenzione, preparazione e risposta alle future pandemie, molti Stati hanno avvertito la necessità di riaffermare la propria sovranità nell’affrontare questioni di salute pubblica. L’Italia si è affiancata a Russia, Iran e Israele nell’astenersi dall’approvazione del testo finale, una decisione paradossale per un Paese che è stato duramente colpito dalla pandemia da Covid19. Una scelta politica, non tecnica, che molti osservatori hanno visto come una strizzata d’occhio a complottisti e no-vax della penisola.
La notizia mi ha lasciato col fiato corto, proprio come quando, nel giugno 2022, mi è stato diagnosticato il Covid, dalle cui conseguenze peggiori mi sono salvato perché già vaccinato.
Non ho dimenticato il dolore, la paura, lo smarrimento di quando la pandemia ha cominciato a mietere vittime in Italia; quando per le strade di Bergamo, Brescia e Cremona si sentiva solo il lamento delle ambulanze e i medici dovevano decidere chi attaccare al respiratore e chi abbandonare al proprio destino. Vivevo a New York e poche settimane dopo lo stesso destino toccò anche alla Grande Mela. In città si moriva come mosche e i cadaveri restavano ad attendere sepoltura nei camion frigorifero. A Central Park sorse un ospedale da campo che faceva assomigliare la grande metropoli ormai spenta a una zona di guerra. Sembrava di vivere in un film apocalittico e, andando di notte a fare la spesa, immaginavo cosa sarebbe successo se si fossero interrotti i rifornimenti ai supermercati e otto milioni di persone avessero dovuto cominciare a lottare per la sopravvivenza. Medici e infermieri arrivarono da altre zone degli States per aiutare il personale sanitario allo stremo e tutti quegli uomini e donne in camice bianco che si avviavano ogni giorno al loro lungo turno di lavoro, senza sapere se avrebbero fatto ritorno a casa, ci apparivano davvero eroici. Ogni pomeriggio, alle diciannove, dalle finestre di tutta la città partiva un applauso scrosciante per ringraziare il sacrificio del personale medico che lottava per salvarci, lavorando in condizioni disumane.
Nacque allora la consapevolezza della necessità di proteggere, rafforzare, adeguare i sistemi sanitari alle sfide che ci aspettavano e promettemmo a quell’esercito di medici e paramedici che non li avremmo dimenticati, che il loro sacrificio non sarebbe stato invano. Immaginammo che i governi si sarebbero messi al lavoro, che avrebbero imparato dagli errori, aiutati da scienziati e tecnici.
Invece, quattro anni di negoziati hanno partorito un topolino e in molti Paesi, Italia in testa, i sistemi sanitari sono allo stremo e il personale medico è abbandonato a se stesso.
Il trattato mancato, l’ostilità dei governi a cedere pezzi di sovranità, la dignità conferita alle tesi complottiste, sono altrettante sconfitte per il mondo e per la ragione e fanno temere per il futuro.
Quando vivevo a New York mi capitava di passare davanti al Palazzo di vetro delle Nazioni Unite, che sorge sulla sponda di un fiume grigio e triste. La foto di quel palazzo l’avevo vista da giovane studente sul sussidiario scolastico: ci spiegavano gli insegnanti di come le nazioni, dopo la tragedia immane delle due guerre mondiali, fossero state capaci di mettere da parte le inimicizie e avessero compreso la necessità di una governance globale, per assicurare al mondo un futuro di pace e prosperità. Si sviluppava in quegli anni il “multilateralismo”, che invitava gli Stati alla cooperazione per promuovere politiche condivise e coordinarsi nelle sfide globali. Mi è chiaro oggi quanto illusoria fosse la speranza di un’armonica collaborazione fra tutte le nazioni del mondo, in un sistema in cui sono i governi e non i popoli a essere rappresentati e le potenze atomiche fanno il bello e il cattivo tempo. Eppure, la condizione in cui versano oggi le Nazioni Unite, la loro impotenza, lascia la bocca amara.
Ovunque si affermano nazionalismi esasperati e persino le politiche sanitarie devono sottostarvi, cosicché i governi non sono capaci nemmeno di concordare una strategia comune per prevenire e combattere le future pandemie. Eppure, il Covid19 ha mostrato come gli agenti patogeni non abbiano bisogno di passaporto per varcare le frontiere e, mentre un secolo fa il virus dell'influenza “spagnola” ha impiegato anni per giungere in ogni angolo del globo, nel 2020 il virus si è diffuso ovunque in maniera fulminea.
A marzo un gruppo di specialisti ha pubblicato un appello sulla rivista Science, per esortare governi, industria e comunità scientifica a prepararsi ad una possibile pandemia da influenza aviaria, dopo aver constatato che il virus H5N1, estremamente infettivo, ormai adattatosi ai mammiferi, si sta sempre più spesso trasmettendo dagli animali agli uomini. Il salto da uomo a uomo potrebbe essere solo questione di tempo, per questo i redattori dell’appello hanno sottolineato che si dovrebbe fare tesoro delle lezioni apprese durante la recente pandemia e agire sul piano della prevenzione e preparazione, anziché attendere che il problema esploda. Secondo questi esperti i governi dovrebbero prepararsi con una strategia a tre livelli: mettere a punto già oggi un vaccino efficace da condividere anche con i Paesi poveri, assicurare una strategia di comunicazione pubblica basata su dati scientifici e redigere piani di risposta pandemica trasparenti e condivisi da tutti i paesi.
L’accordo globale approvato dall’Oms appena due mesi dopo quell’appello mostra che gli Stati vanno in tutt’altra direzione rispetto alla comunità scientifica e questa non è una buona notizia per il mondo: se i governi coltivano il sovranismo in materia sanitaria e strizzano l’occhio a complottisti e no-vax, come accade in Italia, il futuro non è roseo. Non basteranno i severi guardiani in divisa schierati alle frontiere per impedire ai virus delle future pandemie di invadere ogni nazione, internazionalista o sovranista che sia.