Si tratta di una serie di concerti dell’Omega Ensemble che con Umberto Clerici presenta un programma incentrato sull’Italia e alcuni dei suoi più grandi strumentisti.
Da Luigi Boccherini ad Antonio Vivaldi fino a Giovanni Sollima, per una serata che vuole esplorare la musica classica attraverso gli archi e l’incursione di un clarinetto. Dopo Melbourne, il 25 marzo sarà la volta di Sydney, al City Recital Hall, e il 27 marzo, al City Hall di Newcastle.
Clerici, violoncellista e direttore dell’orchestra sinfonica del Queensland dal 2023, scende in quest’occasione – almeno parzialmente – dal podio, per rimettersi a suonare il violoncello, lo strumento che l’ha avvicinato alla musica quando aveva solo cinque anni. “Mia mamma voleva un’educazione musicale per me e mio fratello – ha ricordato –, così abbiamo cominciato seguendo il metodo Suzuki, un approccio che insegna la musica un po’ come si fa con la madrelingua, quindi per imitazione”.
Dopo anni di studio e di pratica, a 17 anni arriva il grande debutto da solista, in Giappone, un’esperienza di cui Clerici ha conservato un bel ricordo, nonostante la difficoltà di trovarsi per la prima volta a suonare con un’orchestra di adulti professionisti. Conseguito il diploma al conservatorio di Torino, sua città natale, il musicista ha poi studiato a Norimberga, in Germania, e suonato con svariate orchestre nel mondo, fino a essere, dal 2009 al 2014, il primo violoncello del Teatro Regio di Torino. Nello stesso periodo si è spesso esibito anche a La Scala di Milano.
È nel 2014 che l’idea dell’Australia ha iniziato a farsi strada, quando Clerici era alla ricerca di un cambiamento, di un posto che gli permettesse di sperimentare e dove non fosse destinato a “suonare solo La bohème e La traviata”, considerato che era agli inizi della sua carriera. “Volevo vivere in una parte del mondo dove la cultura fosse occidentale, ma che fosse in qualche modo più aperto”, ha spiegato.
L’esperienza Down Under è stata interessante per confrontarsi con un mercato che “fosse culturalmente più aperto alle sperimentazioni”.
“Di contro – ha proseguito –, la mancanza di tradizione in alcune occasioni può provocare una carenza di cultura”.
È anche vero, però, che portare sul palco – come ha fatto qualche giorno fa in occasione dell’apertura della stagione a Brisbane – La sagra della primavera di Stravinsky, “un pezzo che rivoluzionato il XX secolo”, insieme al circo di Brisbane con 10 acrobati e l’orchestra di 110 persone “è qualcosa che in Europa sarebbe difficile pensare”, ha fatto notare.
Al suo arrivo in Australia, Clerici si è unito all’Orchestra sinfonica di Sydney come primo violoncellista e nel 2018, quasi per caso, gli è stata affidata la direzione di un concerto privato alla Sydney Opera House. Dopo un rifiuto iniziale, Clerici è tornato sui suoi passi, cercando l’appoggio di una collega che insegnava direzione d’orchestra e una preparazione durata circa nove mesi. Ci è voluto tanto lavoro preparatorio ma, una volta salito sul podio, non è più sceso.
“La musica è musica – ha spiegato –, però un conto è tramutarla in suono tramite uno strumento con cui ti esibisci da quando avevi cinque anni; un’altra cosa, invece, è tradurla in un movimento che non produce suono, ma che, in qualche modo, diventa metalinguaggio per i musicisti”.
Ed è proprio lì che accade la magia: quando quell’insieme di gesti e moti del corpo riescono a determinare e bilanciare il modo in cui l’orchestra interpreta e suona il brano. Nonostante lo scoppio della pandemia, la carriera di Clerici come direttore ha subito una rapida accelerazione, portandolo a viaggiare spesso in Italia e in Europa, ma anche nel resto del mondo.
Il passaggio dall’essere un elemento dell’orchestra a dirigerla non è per nulla banale; si deve cambiare punto di vista, come ha chiarito, perché “per chi suona c’è la preparazione e lo studio del pezzo, ma è quando si incontra con gli altri musicisti che trova il proprio spazio e le tempistiche”. “Come per uno sportivo, il lavoro è fatto sul campo e il momento clou di questo processo è il concerto, dove uno deve dare il meglio, come in una prestazione sportiva”.
La prospettiva deve invece essere ribaltata quando si guarda alla direzione: “Qui la preparazione è di gran lunga predominante, è un lavoro quasi strategico, che richiede di conoscere esattamente le parti di tutti gli strumenti, come si interfacciano, qual è il ritmo, la forma drammatica, quali sono gli accordi che possono risultare stonati”.
Nella sua trasformazione da musicista a direttore, Umberto Clerici ha quindi dovuto fare un lavoro su se stesso, cambiare approccio, perché “più uno è preparato e meglio riuscirà a preparare l’orchestra” e, se i musicisti sono pronti a suonare insieme “sono più liberi, fino ad arrivare al concerto quando sono loro i protagonisti, e non il direttore”.
Clerici mette grande attenzione anche al lavoro di gestione delle persone e il parallelo con il mondo dello sport torna nuovamente utile, perché il direttore è come un allenatore che deve convincere lo spogliatoio della bontà e validità delle sue richieste e del suo stile.
“Bisogna instaurare un rapporto di fiducia, che non è facile riuscire a ottenere in poco tempo. Serve grande professionalità, conoscenza e anche strategia nella gestione psicologica”, ha affermato.
Questo percorso di carriera ha offerto a Clerici la capacità di sviluppare nuove competenze non solo personali e sociali, perché, come ha chiarito, “ascoltare 100 strumenti tutti insieme sviluppa una parte intellettuale e sinaptica”.
Tra il 2021 e il 2023 ha messo da parte il violoncello per dedicarsi unicamente alla direzione, considerato che “il direttore d’orchestra lo è solo quando sale sul podio e ha un’orchestra davanti. Per questo uno lo fa e migliora soltanto facendolo”.
Da metà 2023 ha ripreso lo strumento ed è stato come se non avesse mai smesso: “Anche se – ha confessato –, avendo modificato il mio approccio, mi perdono i piccoli errori e il paradosso è che essendo un po’ più rilassato, faccio meno imperfezioni”.
Sono cambiati i tempi in cui i direttori d’orchestra erano dei personaggi inavvicinabili e un po’ scorbutici: Clerici ne è la testimonianza. Socievole, allegro e molto generoso, ha spiegato che non solo un atteggiamento dispotico non funzionerebbe più, ma anche che i violoncellisti sono creature naturalmente sociali, perché non potendo suonare da soli hanno bisogno di circondarsi di altri strumentisti.
L’idea di suonare con la Omega Ensamble in un contesto più intimo di quello dell’orchestra e in cui ritrovare la sensazione di comfort che gli regala stringere il violoncello, emoziona Clerici, che assicura che “è un po’ come tornare a casa”.