La vittoria laburista in Western Australia era stata prevista ma non certo con un margine così ampio. Mentre scriviamo, l’ALP è dato al 42,8%, contro il 31,4% dei liberali, rispettivamente a 36 e 16 seggi. Una variazione rispetto alle precedenti elezioni di +9,7% per i laburisti e -15,7% per i liberali. Solo una settimana fa, i due partiti venivano dati in testa a testa, con un vantaggio a favore dei laburisti di appena il 2% in termini di voti primari. Ma la scelta espressa sabato scorso dagli elettori del WA non avrebbe potuto essere più netta.
Appena è stato chiaro che i laburisti avrebbero superato alla grande la soglia dei 30 seggi necessari per vincere, in casa liberale sono cominciate le recriminazioni. Diversi parlamentari che hanno perso i loro seggi hanno dato la colpa della débacle al controverso accordo sulle preferenze con One Nation che si pensava potesse offrire un salvagente al governo del premier Colin Barnett che i sondaggi indicavano ormai da tempo come in fin di vita.
Ma il patto ha avuto un effetto ‘boomerang’ per entrambe le parti. Il partito di Pauline Hanson non ha ottenuto il successo sperato, fermandosi al 4,7%. One Nation ha visto dimezzati i suoi consensi dopo l’ultima (disastrosa) settimana di campagna elettorale, costellata dai commenti di Hanson sui vaccini, su Vladimir Putin e le dichiarazioni contraddittorie sulla questione GST, con l’affermazione, poi smentita, di essere d’accordo che il ‘suo’ Queensland rinunci a parte delle entrate derivanti dall’imposta su beni e servizi in favore del Western Australia. Tutte esternazioni che hanno allontanato sia potenziali elettori di One Nation sia potenziali elettori liberali, ‘spaventati’ dall’inaffidabilità dello schieramento populista. Uno scenario che, dati i precedenti della senatrice, non era così impossibile da prevedere.
La colpa non è però tutta di Pauline Hanson. Sicuramente anche il suo partito ha risentito dell’accordo con i liberali che la gente ha intuito fosse un escamotage per salvare un premier di cui invece voleva disperatamente liberarsi. La senatrice ha bollato il patto come “un errore” che ha “danneggiato” One Nation. “Non è stato One Nation, è stato Colin Barnett – la gente non voleva Colin Barnett” ha detto, paragonando l’ormai ex premier del WA a “latte avariato che avrebbe dovuto essere buttato”. Una visione condivisa anche dal parlamentare liberale Phil Edman, citato dall’ABC, che ha detto che lasciare la leadership in mano a Barnett è stata “chiaramente la scelta sbagliata”.
Di “sbaglio” ha parlato anche il vice-primo ministro Barnaby Joyce, mentre il ministro delle Finanze Mathias Cormann (eletto in WA) ha difeso l’accordo con One Nation, di cui era stato uno degli artefici. Intervenuto ieri alla trasmissione Insiders, Cormann ha spiegato come il patto fosse stato stretto per impedire che lo stato finisse in mano ai laburisti che, a suo avviso, dovrebbero essere sempre lasciati in fondo alla scheda delle preferenze insieme ai verdi. Il ministro non ha escluso che in futuro ci possano essere altri accordi con One Nation, che verranno decisi “caso per caso”, anche a livello federale.
Ed è proprio a livello federale che il governo liberale potrà trarre un paio di lezioni dalla sconfitta nel Western Australia. In primo luogo, per il primo ministro Malcolm Turnbull sarà imperativo rispondere chiaramente alla domanda “One Nation sì o One Nation no”. La linea attuale, quella sostenuta anche dal ministro Cormann, che bisogna rispondere a Pauline Hanson in merito alle singole questioni, che sarà il partito a decidere e che comunque mancano più di due anni alle elezioni federali potrebbe non essere digerita a lungo dagli elettori. Perché, come ha suggerito Barnaby Joyce, una posizione ambigua su One Nation genera confusione nella mente degli elettori, una confusione che è facile si traduca con la decisione di dare il proprio voto a qualcun altro.
Inoltre, con i consensi liberali crollati dopo l’appoggio del governo federale alla decisione della Fair Work Commission sulle ‘penalty rates’, Turnbull dovrà fornire risposte nette sul tema lavoro, la questione centrale su cui si sono giocate anche le elezioni in Western Australia.
Bill Shorten è già partito all’attacco, accusando Turnbull di promuovere sgravi fiscali per le grandi banche mentre chiude gli occhi davanti ai tagli agli stipendi dei lavoratori più vulnerabili. Il primo ministro potrebbe smentirlo presentando un piano per proteggere i salari durante il periodo di transizione ma non l’ha ancora fatto. Ora l’esito del voto in WA dovrebbe ricordargliene l’urgenza.
Questa settimana il nuovo premier Mark McGowan si insedierà ufficialmente, diventando il primo premier laburista dopo 8 anni e mezzo di governo liberale nello stato. “Abbiamo dimostrato di essere uno stato in cui vince il decoro e l’intelligenza, non la stupidità e l’ignoranza” ha detto McGowan nel suo discorso della vittoria, scagliando una frecciatina a One Nation. “Non nascondo l’enormità del compito che abbiamo davanti” ha affermato, facendo riferimento alla complessità della situazione economica del Western Australia. Ma McGowan ha sottolineato che le proporzioni della vittoria laburista sono la prova che gli elettori ne hanno avuto abbastanza della Coalizione nazional-liberale: “La gente voleva un nuovo inizio” ha detto ieri da Rockingham.