Si riaccende il dibattito sull’immigrazione clandestina dopo che, nel fine settimana, un gruppo di scafisti e di potenziali richiedenti asilo è stato bloccato dalla Marina militare al largo dell’Australia e obbligato a tornare in Indonesia, da dove era partito.
“Questa è un’ulteriore prova che i trafficanti di essere umani non si sono fermati e che se non continuiamo ad applicare le stesse politiche dure e costanti, torneremo ai brutti tempi dei governi Rudd e Gillard con centinaia di sbarchi” ha detto il ministro dell’Interno Peter Dutton.
Si tratta del primo tentativo di arrivo via mare dallo scorso dicembre quando, ai tempi dell’elezione suppletiva di Bennelong (NSW), il primo ministro Malcolm Turnbull aveva dichiarato che gli scafisti aveva visto “la scelta di Kristina Keneally da parte di Bill Shorten come la volontà di stendere il tappeto rosso per i richiedenti asilo”.
Alcuni articoli pubblicati dalle testate di News Corp nel fine settimana hanno detto che l’imbarcazione con a bordo due scafisti indonesiani e sette cittadini cinesi era arrivata “spettacolarmente” vicina alle coste australiane e hanno sottolineato come questo episodio sia “la prova che ci sia solo un partito che può proteggere i confini dell’Australia”.
Il pugno duro nei confronti dei richiedenti asilo che arrivano via in mare in realtà sembra essere ormai una politica completamente bipartisan.
Anche la ‘sinistra’ del partito laburista, rappresentata da Anthony Albanese, infatti, come già riportato da questo giornale la scorsa settimana, ha dato il suo totale consenso alla politica dello ‘stop the boats’. Albanese, intervenuto in uno dei programmi serali di Sky News, ha ammesso che il suo partito ha sbagliato a sottovalutare i fattori di “attrazione” che incoraggiavano i rifugiati a tentare di raggiungere l’Australia via mare e ha anche riconosciuto che le politiche della Coalizione, come i respingimenti in mare come quello visto nel weekend, hanno effettivamente “fermato i barconi”. Albanese ha quindi escluso la necessità di porre limiti temporali alla detenzione nei centri extraterritoriali, pur affermando che i laburisti adotterebbero un approccio più “umanitario” nei confronti dei richiedenti asilo arrivati via mare. Quale sarebbe questo approccio non è stato specificato ma, ha assicurato Albanese, non verrebbe permesso loro di stabilirsi in Australia.
Si tratta di un significativo cambiamento di posizione da parte di Albanese (che molti hanno letto come un tentativo di imporsi seriamente come alternativa alla leadership di Shorten), il quale, nell’ultima conferenza nazionale dei Labour nel 2015, aveva guidato la mozione, poi fallita, per rendere ufficiale la politica di opposizione ai respingimenti in mare aperto. “Personalmente non potrei respingere u una barca con a bordo famiglie e bambini” aveva detto all’epoca in un’intervista. Ma oggi, a quanto pare, per rendersi credibili come leader agli occhi degli australiani serve il pugno di ferro in materia di immigrazione.
Nessuno al momento lo sta mostrando più di Peter Dutton che, scontrandosi anche con il ministro del Tesoro del suo stesso governo, ieri ha detto che il recente calo del numero di migranti permanenti che si stabiliscono in Australia (servizio a pagina 12) sarà positivo per l’economia.
Nell’ultimo anno fiscale (2017-18), 162.417 persone sono migrate permanentemente in Australia, in calo dalle 183.608 dell’anno precedente.
La Camera di commercio e dell’industria australiana (ACCI) ha espresso preoccupazione per questo trend, sostenendo che il governo Turnbull stia “tagliando il tasso di migrazione di nascosto”. L’amministratore delegato dell’ACCI, James Pearson, ha sottolineato come “molti studi dimostrino che una migrazione forte, ben pianificata e controllata guida la crescita economica”. Lo scorso dicembre un rapporto del Centre for Economics and Business Research, con sede a Londra, ha rilevato che la crescita della popolazione contribuirebbe a spingere l’Australia a diventare l’undicesima più grande economia del mondo – salendo due posti più in alto - entro il prossimo decennio.
All’inizio di quest’anno, lo stesso il ministro del Tesoro aveva avvertito che la proposta dell’ex primo ministro Tony Abbott di ridurre la migrazione di 80.000 unità avrebbe comportato un costo dai 4 ai 5 miliardi di dollari nell’arco di quattro anni.
Ma, parlando ieri a Sky News, il ministro degli Interni lo ha contraddetto: il calo nel numero di migranti permanenti – ha affermato Dutton - è il segnale che “stiamo importando persone più produttive ed escludendo persone che hanno fatto dichiarazioni false”.
“Siamo una popolazione che invecchia”, ha detto il ministro, “voglio che la gente entri con le abilità richieste se non riusciamo a trovare cittadini australiani per determinati posti di lavoro. E voglio che queste persone paghino le tasse finché possono, se sono in età lavorativa e hanno la capacità di lavorare, contribuendo alla produttività e al benessere del nostro Paese”.
La migrazione è sempre un argomento delicato dal punto di vista politico, ma la questione si imposta in tutta la sua complessità in tutto il mondo all’indomani della crisi finanziaria globale.
Nonostante l’Australia abbia in gran parte evitato la prolungata crisi economica che ha contribuito a rendere la migrazione uno spinoso nodo politico in Europa, negli Stati Uniti e nel Regno Unito, anche qui Abbott e i suoi fedelissimi ultraconservatori (tra i quali Dutton) hanno condotto campagne negli ultimi due anni per ridurre i livelli di migrazione.
Abbott, lo scorso febbraio, poneva come obiettivo 110.000 migranti all’anno, in calo da 190.000, il che aveva spinto Morrison a intervenire pragmaticamente: “Se tagli il livello di immigrazione permanente in Australia di 80.000, ciò avrebbe un impatto negativo sul budget, con il deficit che aumenterebbe da $ 4 miliardi a $ 5 miliardi nei prossimi quattro anni”. E questo solo considerando l’immigrazione permanente e non quella temporanea sempre dimenticata, ma i cui numeri, a confronto, sono da capogiro e che porta al governo miliardi di dollari solo in spese per la domanda dei visti. Senza contare i soldi che gli immigrati con visti temporanei versano per anni (a volte decenni) in tasse, spese per assicurazioni mediche, tasse universitarie e consumi in generale senza poter ricevere nulla in cambio in termini di diritti sociali o politici.
Ieri, al ministro degli Interni è stato anche chiesto se il governo Turnbull accetterebbe mai un’offerta dalla Nuova Zelanda di accogliere i richiedenti asilo attualmente detenuti a Nauru e a Manus Island. Forse in futuro, ha detto Dutton, nel caso in cui la legge venga cambiata “in modo che quelle persone non possano venire in Australia, ma è un’ipotesi pericolosa al momento”.