Venerdì scorso, ancora una volta, ci siamo svegliati con le terribili immagini di un tragico attentato: i lampeggianti delle ambulanze, i corpi delle vittime a terra, gente terrorizzata che scappava. Ancora una volta ad essere colpiti sono luoghi a noi familiari, la Francia, in quell’Europa in cui sono cresciuta sentendomi parte di un’unica grande nazione, sentendomi al sicuro. Non sono passati molti anni da quando ho passeggiato sulla Promenade des Anglais, il lungomare di Nizza dove, la sera del 14 luglio, verso le 22.30, un camion si è scagliato a 80km/h contro la folla radunata per guardare i fuochi di artificio per il giorno della presa della Bastiglia uccidendo 84 persone e ferendone centinaia. Un bilancio che potrebbe ancora aggravarsi con 85 persone ancora ricoverate in ospedale, di cui 29 in rianimazione. Il ministro degli Esteri Julie Bishop ha riferito di tre cittadini australiani feriti, di cui uno è stato dimesso, mentre due rimangono in ospedale ma non sarebbero in pericolo di vita.

Perché la Francia continua ad essere attaccata?, ci si è chiesto dopo l’attentato di Nizza. E da più parti la risposta è stata che il motivo è che la Francia viene vista come – scrive Jason Burke sul Guardian – “uno stato ateo, paladino dei valori occidentali e dei diritti dell’uomo, della libertà di parola e della democrazia che, agli occhi dei jihadisti, cerca di imporre questi ideali sul mondo islamico”.

Simile la dichiarazione del presidente francese François Hollande all’indomani dell’attacco terroristico: “La battaglia sarà lunga perché siamo di fronte a un nemico che continuerà ad attaccare tutte le persone e i paesi che difendono il valore della libertà”. “Dobbiamo raddoppiare i nostri sforzi per sconfiggere questi brutali assassini che vogliono distruggere il nostro stile di vita. Dobbiamo lavorare con i nostri partner in tutto il mondo per difendere i nostri valori e la nostra libertà” gli ha fatto eco il nuovo primo ministro britannico Theresa May.

Ma siamo sicuri di trovarci davvero di fronte a uno scontro di civiltà? Occidente contro Islam, musulmani contro infedeli?

Per quanto sia comprensibile che le immagini degli attentati di Nizza, Parigi, Bruxelles ci facciano rabbrividire più che quelli nelle strade di Baghdad, Dacca o Damasco (non è giusto ma è umano), è imperativo ricordarsi che la maggior parte degli attentati ad opera di terroristi islamici colpisce proprio altri musulmani. Musulmani erano i 250 morti degli attacchi di inizio luglio nella capitale irachena rivendicati dall’Isis. Così come musulmani sono i soldati iracheni che combattono lo stesso Stato Islamico nel loro paese. Quindi cosa ci dice questo sull’Islam in quanto religione? Assolutamente niente, perché la religione con tutta questa violenza non c’entra nulla.

L’attentatore di Nizza, identificato nel 31enne tunisino Mohamed Lahouaiej-Bouhlel, era sì musulmano ma, secondo quanto rivelato dal padre, non pregava, non osservava il Ramadan, beveva e assumeva droghe. Soffriva di depressione e fin dal 2002 aveva avuto problemi di esaurimento nervoso e scatti d’ira che di recente avevano portato anche ad un arresto. Era conosciuto alle forze dell’ordine per il suo comportamento violento e piccoli furti. I vicini lo descrivono come un “imbecille”, maleducato e che picchiava la moglie, da cui stava divorziando.

Lahouaiej-Bouhlel non era ‘radicalizzato’ e, se lo era diventato, dicono dal ministero dell’Interno francese, “si è radicalizzato molto in fretta”. Di certo non combattendo con l’Isis sul campo.

Ma sono proprio gli individui come lui a rappresentare il “nuovo tipo di minaccia” di cui ha parlato il ministro dell’Interno Bernard Cazeneuve. "Individui che, sensibili al messaggio dell'Is, si ingaggiano in azioni estremamente violente senza aver necessariamente partecipato a combattimenti o essere stati addestrati”.

L’Isis è un’organizzazione anfibia, è gruppo terroristico ma si propone anche come vera e propria entità statale. La sua retorica di società alternativa all’Occidente può far molto presa su tutta una serie di individui violenti, emarginati e alienati dalla società in cui vivono che improvvisamente trovano un obiettivo verso cui indirizzare la loro rabbia e un scopo più alto – l’uccisione di infedeli, il martirio – per le loro pulsioni autodistruttive.

Perché proprio la Francia continua ad essere attaccata, ci si chiede. Perché la Francia è sì il simbolo del mondo occidentale, ma non tanto della sua libertà, quanto del tanto odiato imperialismo. Non è un caso che gli autori di queste stragi, da Amedy Coulibaly a Salah Abdeslam fino a Mohamed Lahouaiej-Bouhlel , siano originari delle ex colonie del Nord Africa. Un’origine in comune con i molti immigrati ghettizzati nelle banlieue che, dopo decenni di tentata assimilazione, ancora si sentono fortemente esclusi dal tessuto della società francese.

Nel 2005 c’era la gang di quartiere per sentirsi parte di qualcosa e rivoltarsi contro il sistema con pistole e molotov, ma dieci anni dopo ognuno è rimasto solo, alienato anche se connesso con il mondo. I folli sono rimasti soli, ma hanno un’organizzazione come l’Isis che gli promette visibilità planetaria se uccideranno gli infedeli “con un sasso, se li assassineranno con un coltello o li investiranno con un veicolo [...]”. Non importa chi, dove, quando. Meglio se all’improvviso e nel modo più spettacolare possibile.

L’Isis nel frattempo rivendica le azioni di tutti questi cani sciolti. "Mohamed Lahouaiej-Bouhlel è uno dei soldati dello Stato Islamico, e ha risposto agli appelli che incitavano a colpire i cittadini dei paesi della coalizione" ha detto a 36 ore dall’attentato di Nizza tramite la sua agenzia di stampa Amaq. Così diventa più forte senza dover far nulla, si espande in posti dove non è mai stato solo offrendo un’utilitaristica giustificazione a tanta follia.

Non è uno scontro tra civiltà, sono tensioni sociali e razziali covate per decenni nelle nostre città che usano e vengono usate da un gruppo che si nutre della nostra paura. Sono visibili in Europa, negli Stati Uniti e l’Australia non ne è immune, tanto che dopo la sparatoria dello scorso ottobre a Parramatta, il ministro della Giustizia George Brandis si appresta a varare nuove leggi anti-terrorismo incentrate sui giovani a rischio radicalizzazione. È solo curando a fondo queste tensioni che possiamo combattere l’Isis.