Con due settimane di campagna elettorale ormai alle spalle e i seggi aperti da oggi a disposizione di chiunque abbia intenzione di anticipare l’esercizio del proprio diritto-dovere di voto, è giunta l’ora di abbandonare ogni indugio: la fase calda è iniziata e i vertici dei due partiti maggiori, se vogliono uscire vincenti dalle urne del 18 maggio, non possono più sbagliare.

Fuori i secondi, si direbbe in gergo pugilistico, l’incontro, quello decisivo, si disputa da ora in poi direttamente tra Scott Morrison e Bill Shorten.

E la singolar tenzone inizia, infatti, proprio con il primo dei due dibattiti televisivi finora programmati tra i due leader, che andrà in onda questa sera su Seven Network e che si preannuncia davvero molto interessante, a giudicare da come sono state condotte queste prime settimane.

Anche nel weekend appena trascorso, al ritorno dalle festività di Pasqua e dell’Anzac Day, sono continuate le promesse elettorali con Bill Shorten che ha svelato la proposta economicamente finora più rilevante di questa campagna elettorale: 4 miliardi di dollari destinati a ridurre l’aggravio economico sulle famiglie per quello che riguarda l’assistenza all’infanzia.

Si tratta, ha spiegato Shorten, di un piano che che consentirà a 887mila famiglie nella fascia di reddito inferiore ai 174mila dollari annui di ottenere un risparmio fino a 2,100 dollari all’anno sulle spese per gli asili dei propri figli.

Inoltre, secondo il progetto che attuerebbero i laburisti qualora dovessero andare al governo, l’aumento del sussidio per le famiglie dall’attuale 85 al 100 per cento, renderebbe praticamente gratuito l’accesso agli asili per circa 370 mila nuclei familiari che andrebbero a risparmiare una media di quasi 1,500 dollari su base annua.

Tutto questo, ovviamente, sempre che gli asili, per compensare, non decidano di aumentare a loro volta le tariffe e, in tal caso, Shorten ha già anticipato che farebbe intervenire il parlamento “per congelare gli aumenti e attuare un controllo sui prezzi.”

Le promesse di Shorten non si sono limitate al settore dell’infanzia ma, sempre sulla materia dell’assistenza sociale, hanno toccato anche i servizi per gli anziani, con un piano pari a 2,4 miliardi di dollari per garantire a tre milioni di anziani australiani $1,000 dollari di cure dentistiche gratuite ogni due anni.

Annunciata anche, dal leader dell’opposizione l’intenzione di aumentare lo stipendio degli insegnanti della prima infanzia del 20% nei prossimi otto anni.

Promesse, quelle dei laburisti, evidentemente in linea con l’obiettivo di rafforzare la propria posizione sui temi storicamente più affini al proprio elettorato. Medesima strategia, a quanto pare, anche del primo ministro Scott Morrison che, nel fine settimana appena trascorso, da Sydney è tornato sui punti di forza del suo governo e su alcuni dei temi più sentiti dall’elettorato liberale: economia, decongestionamento urbano e immigrazione.

“Si tratta di fare una scelta - ha ribadito con forza Morrison - tra un governo che ha dimostrato che sa come gestire le finanze e un partito laburista che, sotto il controllo di Bill Shorten, ha dimostrato che non sa controllare affatto ciò che spende e, quindi, non è in grado di controllare neanche le tasse”.

Morrison ha parlato di un programma di investimento che prevede lo stanziamento di ulteriori 167,5 milioni di dollari per sviluppare infrastrutture destinate a migliorare la qualità della congestionata viabilità dell’area ovest di Sydney, cifra che include anche l’ampliamento di una serie di parcheggi destinati ai pendolari in corrispondenza di molte stazioni ferroviarie della zona.

Ma il tema di maggiore rilievo del weekend di Scott Morrison è stato quello che potrebbe diventare uno dei cavalli di battaglia dei liberali per i prossimi diciannove giorni di campagna elettorale, ovvero il dibattito sull’immigrazione.

Una materia che, almeno fino ad oggi, non è stata così centrale nei dibattiti e nei diversi appuntamenti dei due principali protagonisti della scena politica ma che, appare evidente, soprattutto in casa liberale è uno degli argomenti di maggiore peso per la parte più conservatrice del proprio elettorato.

Il primo ministro, nel corso di un intervento elettorale nel seggio di Reid, seggio che i liberali sperano di riuscire a conservare nonostante un margine molto ristretto, incontro nel quale erano presenti sia l’ex primo ministro John Howard che la premier del New South Wales Gladys Berejiklian, ha confermato l’intenzione di congelare l’ingresso in Australia per ragioni umanitari alla quota di 18.750 rifugiati all’anno.

Un programma di immigrazione “ragionevole - secondo Morrison - necessario per consentire al Paese e alle sue infrastrutture e servizi di tenere il passo con la crescita [della popolazione]”.

A breve giro è giunta la replica di Shorten che ha accusato Morrison di essere spinto solo da motivazioni politiche, nella sua proposta di tetto massimo all’ingresso dei rifugiati, “una cifra molto piccola [quella degli ingressi per ragioni umanitarie] rispetto al totale dei 160.000 immigrati annui - ha detto il leader laburista - che non contribuisce certo all’incremento della popolazione”. La vera causa della congestione, secondo le parole di Shorten “sono quel milione e seicento mila persone che sono in Australia con visti temporanei che consentono di lavorare”.

“Penserei - ha ribadito Bill Shorten - ai percorsi professionali degli australiani per l’accesso al lavoro, piuttosto che affidarmi alla manodopera di un milione e seicento mila stranieri che giungono da oltre oceano”.

Insomma, a giudicare da queste prime scaramucce, le premesse per tre settimane di fuoco sembrano esserci tutte.

Vedremo intanto chi uscirà più solido dai dibattiti televisivi di questi giorni, chi subirà più o meno l’inevitabile tensione: se Shorten sarà bravo a reagire con meno nervosismo rispetto alle aspettative di successo già molto alte e se Morrison continuerà a ribadire il concetto di solidità sui risultati economici del governo di Coalizione e non si lascerà invece coinvolgere troppo da questioni decisamente più scivolose come, appunto, l’accordo pre-elettorale con Clive Palmer (vedi articolo a pag. 11), vicenda destinata ancora a fare molto rumore.