Hanno avuto una grande eco le parole pronunciate da Scott Morrison durante un discorso di fronte alla platea della Camera dei Minerali e dell’Energia del Western Australia in occasione della giornata internazionale delle donne che si è celebrata, come ogni anno, il giorno 8 marzo.
Parlando di parità di genere, o forse sarebbe meglio dire attuale disparità di genere, il primo ministro non poteva usare frase migliore per far parlare di sé e dell’Australia nelle principali testate internazionali: “Vogliamo vedere le donne crescere. Ma non vogliamo che la loro crescita avvenga a discapito di altri [sembra evidente che, parlando di genere, gli altri siano gli uomini, ndr]. Non è tipico dei nostri valori - ha continuato Morrison - non è tra i valori liberali spingere qualcuno verso il basso per far crescere qualcun altro. E questo vale anche per la parità di genere, vogliamo che le donne continuino a crescere, ma vogliamo anche che tutti crescano allo stesso ritmo”.
Sommerso da critiche da ogni fronte, Scott Morrison, durante una conferenza stampa il giorno successivo, ha rispolverato la consueta retorica del padre di famiglia: “Come padre di due figlie, con tre meravigliose donne nella mia vita, mia moglie Jen e le mie due figlie, ritengo di essere un sostenitore delle donne, non solo per interesse diretto nei loro confronti ma anche per tutte le donne del Paese”.
Nessuna marcia indietro, quindi, rispetto alle affermazioni dell’8 marzo, ma il solito richiamo alla responsabilità paterna o coniugale, come se, verrebbe da replicare a questa sin troppo abusata retorica, un politico che non sia madre/padre di famiglia o marito/moglie, non disponesse degli strumenti intellettuali e culturali per prendersi carico delle più rilevanti questioni sociali, economiche e politiche dei cittadini che rappresenta.
Ma cerchiamo di restare nel merito della questione: lo slogan della giornata internazionale delle donne 2019 è stato “Balance for Better”, un monito per mettere in atto quanto necessario per promuovere l’equilibrio di genere. Per chiarire, può essere utile definire il concetto di ‘equilibrio di genere’ utilizzando come riferimento il glossario dell’Eige, l’istituto dell’Unione Europea per la parità di genere: “Partecipazione paritaria di donne e uomini in tutti gli ambiti e settori: sociale, politico, economico e a tutti i livelli compresi i livelli decisionali, progetti e programmi”.
“In uno scenario di parità di genere, è previsto che le donne e gli uomini partecipino in misura proporzionale alla loro quota di popolazione. Invece, in molte aree la partecipazione delle donne è inferiore a quanto ci si potrebbe attendere sulla base della distribuzione sessuale della popolazione (sottorappresentanza delle donne), mentre la partecipazione degli uomini è superiore alle aspettative (sovrarappresentanza degli uomini)”, conclude la nota esplicativa del glossario dell’Eige. Nella giornata internazionale delle donne, quindi, sarebbe stato auspicabile che la riflessione del primo ministro non si concentrasse, come troppo spesso accade, sugli uomini visto che, così come rileva l’ultimo rapporto del World Economic Forum “nonostante il divario di genere globale si restringa leggermente nel 2018, proporzionalmente sono meno donne rispetto agli uomini che partecipano alla forza lavoro o alla vita politica”.
“Complessivamente - precisano infatti dal World Economic Forum - il divario di genere sul fronte economico si è ridotto nel 2018; tuttavia, l’accesso alla salute e all’istruzione e l’emancipazione politica hanno subito inversioni di tendenza. L’Islanda rimane il paese con la migliore uguaglianza di genere. Al ritmo attuale, il divario di genere globale impiegherà 108 anni per chiudersi; mentre sono 202 gli anni per colmare la parità di genere sul piano economico”.
Il rapporto, che ha misurato i livelli di parità di genere su quattro pilastri fondamentali, ovvero le opportunità economiche, le conquiste politiche, la crescita in campo educazionale e la salute, evidenzia alcune criticità, posizionando l’Australia al 39esimo posto, in calo rispetto all’anno precedente: “Si registra un leggero aumento del divario di genere tra politici, alti funzionari e dirigenti, oltre a una certa inversione dei progressi ottenuti in termini di pari opportunità salariale”.
Ricordiamo che, così come riportato nell’ultimo bollettino della Workplace Gender Equality Agency, l’agenzia federale che promuove e supporta le pari opportunità sui luoghi di lavoro, il divario di genere (su base nazionale per un lavoro a tempo pieno) tra uomo e donna è pari al 14,1%, ovvero una media di 239,80 dollari in meno alla settimana per lo stipendio delle donne rispetto a quello degli uomini.
Se quindi sia a livello internazionale che a livello nazionale alcuni progressi sono stati registrati, l’assenza di pari opportunità resta un tema centrale nell’agenda politica e sociale e il cosiddetto ‘soffitto di cristallo’, quel tetto metaforico che impedisce l’avanzamento di carriera di una persona per discriminazioni razziali o di genere, si spera possa essere, finalmente, sfondato.
Tema complesso, con molti aspetti da valutare, in primis sul fronte culturale, anche perché, se è vero che sembra sia ancora molto difficile smontare tutta quella serie di insopportabili e ridicoli stereotipi tra uomini e donne, è sempre più necessario farlo. Porre un freno alle disparità e ridurre il divario salariale diventa essenziale anche e soprattutto in relazione alla violenza domestica, di cui le donne sono le principali vittime. La questione dell’indipendenza economica diventa centrale per combattere questa piaga sociale sempre più grave.
Natasha Stott Despoja, ex leader dei Democratici Australiani, partito disciolto nel 2015, e presidente del gruppo di sensibilizzazione per la prevenzione della violenza domestica Our Watch, ha appena pubblicato un libro dall’eloquente titolo “On Violence” e, nel corso della presentazione, Chloe Shorten, in qualità di ambasciatrice di Our Watch, ha parlato della violenza domestica contro le donne come di “un’epidemia dalle dimensioni spaventose che ha un costo di 21 miliardi di dollari all’anno. E, naturalmente, per tante donne la violenza familiare è letteralmente una questione di vita o di morte”. Siamo a marzo e purtroppo sono già dieci le donne morte per mano dei propri partner nel nostro Paese, “la polizia in tutta l’Australia - ha ricordato l’autrice del libro - viene chiamata a intervenire per episodi di violenza domestica ogni due minuti”.
È necessario, sottolinea la presidente di Our Watch, che si intervenga prima che la violenza venga compiuta e in tal senso riconosce il valore del piano di investimento sulla sicurezza delle donne appena presentato dal governo federale che prevede, tra i più importanti impegni, proprio quello sulla prevenzione primaria.
“Trovo sia importante che i nostri leaders colgano il collegamento tra la mancanza di rispetto e la carenza di pari opportunità con la violenza domestica. Non è facile per le persone accettare tale collegamento - ha affermato Natasha Stott Despoja in un’intervista al The Weekend Australian - con questo non voglio dire che non vi siano concause, come alcool, droghe e povertà ma credo che agiscano in congiunzione con alcuni atteggiamenti e comportamenti molto basilari che ritengono che le donne siano inferiori”.