Incastrato da un paletto imposto da lui stesso. Così si ritrova Malcolm Turnbull in attesa del (probabile) trentesimo sondaggio negativo di Newspoll che verrà pubblicato oggi.
Quando, il 14 settembre 2015, Turnbull confermò la sfida alla leadership di Tony Abbott, i 30 sondaggi negativi consecutivi erano stati una delle ragioni che l’attuale primo ministro aveva messo sul tavolo per motivare la sua decisione. “Abbiamo perso 30 sondaggi Newspoll di fila, è chiaro che la gente ha maturato un’opinione precisa sulla leadership di Abbott” aveva detto Turnbull.
Oggi quella frase torna a perseguitarlo, anche se in pochi, in questa occasione, credono che la storia sia destinata a ripetersi. Lo stesso Tony Abbott ha detto di non aver intenzione di contestare la leadership di Turnbull. “Nessuno dovrebbe vivere nel passato e rimuginare sulle cose” ha dichiarato l’ex primo ministro parlando con i reporter ieri prima della sua tradizionale pedalata di beneficienza. E, sebbene si faccia fatica a recepire questa frase come genuina, soprattutto dopo che nell’ultima settimana Abbott, insieme a una ventina di altri parlamentari conservatori, ha dato vita al Monash Forum (un’altra bella spina nel fianco per il primo ministro), è chiaro che Abbott non sia nelle condizioni di fare alcuna mossa immediata.
Il ministro del Tesoro Scott Morrison ha cercato di sminuire l’importanza del sondaggio di oggi, dicendo che i cittadini sono molto più interessati al costo dell’energia, al funzionamento dell’NBN, alla creazione di posti di lavoro e al futuro delle loro famiglie: “Il sondaggio di lunedì, qualsiasi sarà il risultato, verrà e passerà come tutti gli altri sondaggi e il governo continuerà a fare il lavoro per il quale è stato eletto”. “L’alternativa – ha aggiunto – è Bill Shorten, che significa tasse più alte, un’economia più debole e aumento dei prezzi per tutti gli australiani”.
Lo spauracchio di un’alternativa laburista-verde è stato sventolato anche dal ministro dell’Energia Josh Frydenberg che, intervenendo ieri alla ABC, si è detto sicuro che la leadership di Malcolm Turnbull sia al sicuro, incoraggiando comunque i suoi colleghi a restare uniti per il bene del governo. Così come aveva fatto l’ex primo ministro John Howard giovedì sera (articolo a pagina 11).
Turnbull, da parte sua, ha trascorso le ultime settimane in uno stato di “trigintifobia” (per prendere in prestito una definizione del giornalista Malcolm Farr), ovvero di paura del numero 30. Il primo ministro ha utilizzato una serie di interviste con la stampa per cercare di proteggersi dall’arrivo del temuto risultato negativo, dicendosi pentito di aver usato i sondaggi come un metro di misura per il cambio di leadership e lanciando ai suoi colleghi appelli all’unità nella lotta contro i laburisti.
E l’opposizione come ha risposto a questo avvicinarsi del fatidico 30? Il leader laburista Bill Shorten si è sbracciato per dire che, al contrario di Turnbull, lui non definisce il suo successo sulla base dei sondaggi. La sua vice Tanya Plibersek ha detto che se la Coalizione perderà il suo trentesimo sondaggio consecutivo sarà a causa delle politiche che il governo sta proponendo, con tagli per miliardi di dollari a scuole, università e ospedali, e 100mila pensionati che perderanno o si vedranno ridotta la pensione. La politica energetica è un “disastro”, ha continuato Plibersek, e l’NBN è stato un “fallimento completo”. “Questi problemi preoccupano la gente e i sondaggi Newspoll sono semplicemente un sintomo [di queste preoccupazioni]” ha detto la vice leader laburista a Sky News.
Quello di Newspoll, che negli ultimi mesi ha visto il governo perdere costantemente 47 a 53 contro i laburisti, non è l’unico sondaggio negativo. Un sondaggio Ipsos pubblicato dal gruppo Fairfax lo scorso fine settimana dava un risultato simile, con i laburisti in vantaggio sulla Coalizione 52% contro 48%, stessa percentuale dell’ultimo sondaggio del Guardian. Tuttavia, sempre nella rilevazione Ipsos, un altro conteggio basato sulle preferenze dirette degli elettori dava i due schieramenti in parità al 50-50. Inoltre, alla domanda se Turnbull debba lasciare la leadership il 62% ha risposto di no, mentre ai tempi di Tony Abbott il 51% pensava che l’ex primo ministro si dovesse fare da parte.
Chiaramente il testa a testa è più serrato di quanto potrebbe sembrare e, nonostante i sondaggi negativi, non si respira la volontà di voler cacciare il governo. Non tanto perché il malcontento non sia presente (soprattutto di fronte ai salari stagnanti), ma piuttosto perché le alternative non convincono. Malcolm Turnbull non è amato ma resta preferito a Bill Shorten come primo ministro. Le alternative più papabili all’interno del partito liberale, Julie Bishop e Peter Dutton, non sono abbastanza solide e questo, più che effettivi meriti di Turnbull, potrebbe rappresentare la salvezza della sua leadership.
Anche se è improbabile che il trentesimo sondaggio si tramuterà in una personale “esperienza di quasi-morte” per Turnbull, potrebbe comunque funzionare da sveglia. Dopo oggi, Turnbull dovrà entrare in modalità campagna elettorale, in vista di un ritorno alle urne che molti prevedono anticipato. Sarà nella corsa al voto che entrambi gli schieramenti dovranno giocarsi (bene) tutte le carte per poter sbloccare una situazione che, allo stato attuale, è di sostanziale stallo.