Durante il nostro ultimo dialogo, quello in cui aveva ufficialmente annunciato il suo addio alla politica parlamentare, Marco Fedi, deputato del Pd per la nostra ripartizione fin dal 2006, si era mantenuto in una posizione di equilibrio. La campagna elettorale era infatti appena iniziata e, dalle sue parole, traspariva la precisa intenzione di non avere neanche il minimo impatto su di essa. Persino il suo addio al partito, ormai deciso, era velato.

“La politica non si fa solamente nelle aule parlamentari”, aveva detto. Oggi, invece, in quella che sarà probabilmente la sua ultima intervista da deputato, è palpabile, in ogni battuta, un forte sentimento di delusione. “Da qualche settimana – confessa subito – sono a Roma, in mezzo alle scartoffie, a svuotare il mio ufficio di tanti documenti accumulati in dodici anni di attività parlamentare”. “La mia carriera di parlamentare – dice con un tono sarcastico – finisce nella polvere”.

E’ una battuta, certo, per sdrammatizzare, ma contiene tutta la delusione di un uomo che alla politica ha dato molto. “Ho fatto le Frattocchie io, ero dirigente all’estero del Partito Comunista”, precisa con non celato orgoglio in una frase che racchiude l’amarezza di chi ha creduto in un partito che avrebbe dovuto tramandare questa storia. “Nel 2007, già deputato, ho assistito alla nascita del Pd” ,dice, come a voler testimoniare un legame profondo che oggi, a dieci anni da allora, sembra non riconoscere.

“Quella alla base del Partito Democratico era un’idea buona – ammette – . Oggi sono deluso dal fatto che per questa idea buona nessuno ha lavorato davvero”. “Certo – precisa – non do tutte le responsabilità a Renzi e ai suoi, ma chi dirige un partito e lo deve tenere assieme ha certamente responsabilità in più e se le deve assumere”. “La cosa peggiore poi non è solo quella della rottura – ci tiene a sottolineare – ma soprattutto aver compromesso anche i rapporti interni con chi era rimasto, come Gianni Cuperlo”. Questo, in una logica di potere volta a “tenere dentro solo i portatori di voti” a scapito della politica fatta di principi e di scelte morali.

 “[In pratica], dal Renzi rottamatore siamo passati al Renzi riciclatore”, conclude con un pizzico di malizia.

Ma è quando il ragionamento si sposta sull’estero che affiora, oltre alla delusione, anche il risentimento. “Renzi con l’estero ha fatto ancora di peggio – incalza –. Non ha consultato i deputati e senatori. Non c’è mai stato, ma oggi ancora meno di prima, un vero rispetto per la rappresentanza all’estero: non ha inviato videomessaggi agli elettori all’estero, come fatto invece da altri leader, non ha inviato lettere come fatto invece con il Referendum”. “Voglio dire – precisa – che, rispetto agli italiani all’estero, c’è una forte disattenzione, che è molto grave”. “Questa – puntualizza - è la ragione profonda per cui personalmente ho preso le distanze oggi dal Partito Democratico”. Una distanza che sarebbe cresciuta nel tempo e che avrebbe determinato la decisione di non ricandidarsi.

“Avrei anche potuto far finta di niente, ma dopo tanti anni di Parlamento ho voluto fare una scelta per dire chiaramente che non ero più disposto ad accettare questa condizione - aggiunge -. Questa è stata la vera decisione per cui non mi sono più ricandidato”.  E questo elemento è stato anche quello per cui Marco Fedi non ha voluto partecipare alla campagna elettorale sostenendo apertamente i candidati del Pd.

Temeva, come poi a suo giudizio si è verificato, che questa fosse una campagna elettorale molto “brutta e difficile”; il suo consiglio a coloro che si sarebbero presentati era stato perciò quello di guardare avanti, con maturità e con serietà: “Non si doveva ricominciare a parlare di temi come la cittadinanza, la tassa sulla casa per i residenti all’estero, perché tra l’altro significa scontrarsi contro un muro”. Un muro che per la sua lunga esperienza Marco Fedi sa di essere insormontabile per molte ragioni.

“Piuttosto – continua –, si sarebbe dovuto guardare a tante altre questioni molto più importanti e molto più giuste sotto il profilo dell’equità: dalla fiscalità che riguarda sia gli italiani stabilmente all’estero ma anche i temporanei, sulla questione delle patenti di guida, sulla questione della previdenza, dell’Aire, ma soprattutto dei rapporti multilaterali e bilaterali dell’Italia con gli altri Paesi”. Tutti discorsi - come sostiene Fedi - che sono stati iniziati in Parlamento da chi c’era prima che e andavano portati avanti: “Invece, si è caduti nella solita storia, mentre sarebbe stato più corretto dire agli elettori: ‘Guardate, su alcuni temi ci sono una serie di blocchi, molti problemi di carattere tecnico che l’Italia non vuole superare’”.

“Se la politica diventa il vecchio e lo stantio e l’insuperabile da proporre agli elettori - afferma con amarezza -  vuol dire che manca la novità, da parte di tutti, non solo del Pd, ma il Pd aveva una responsabilità in più: quella dell’esperienza”. “[E oggi] anche se il Pd vincesse dappertutto - continua con durezza -, comunque rimangono tutte le lacune del partito all’estero: assenza politica, assenza programmatica, assenza organizzativa”.

La bocciatura di Marco Fedi è dunque rivolta alla gestione del partito nella sua interezza e totalità, un partito di cui non si sente più parte e sul quale è ormai troppo critico per sentirlo vicino. Allo stesso modo però di critiche si dice pronto anche ad accettarne, come quella che lo accusa di non aver fatto abbastanza in questa campagna elettorale, di essersi tirato indietro. Respinge invece il rimprovero di aver tenuto il partito nell’incertezza di una sua candidatura fino all’ultimo, impedendo così che si potesse organizzare per tempo: “Chi doveva sapere  sapeva con largo anticipo”. Secondo Fedi, la decisione era presa da tempo; la delusione ormai era troppo forte.

Nonostante ciò, gli resta una speranza: “[Quella che] dopo questo voto il Partito Democratico torni a essere quello che abbiamo cercato di costruire e si possa ricomporre un centrosinistra serio”. Una speranza che, espressa in questi termini, non chiarisce però se Marco Fedi si auguri allora una vittoria del Pd nella nostra ripartizione: “Io non voglio entrare né nella fantapolitica, né fare previsioni sul risultato del voto – dice chiaramente –. Spero solamente che i candidati che meritano il sostegno dagli elettori vincano e possano svolgere al meglio il proprio lavoro in Parlamento”. “Il mio augurio va dunque a tutti i candidati - conclude - . Naturalmente ci sono alcuni di loro che mi sono più vicini dal punto di vista politico e culturale, oltre che emotivo, e spero che vengano eletti”.