In un’intervista televisiva, ieri sull’Abc, il ministro della Giustizia Christian Porter è tornato a sottolineare l’importanza di approvare in parlamento le nuove misure anti-interferenze straniere e anti-spionaggio prima del ‘supersabato’ elettorale del prossimo 28 luglio. L’urgenza, a quanto detto dal guardasigilli, sarebbe motivata dai crescenti tentativi da parte di Paesi terzi di interferire con il processo democratico australiano.
Porter ha detto che le interferenze staniere possono “assumere diverse forme”. Come un attacco hacker al sito web dell’AEC (la commissione elettorale australiana, ndr) per modificare i dati relativi agli elettori, una lobby che agisce segretamente per conto di una potenza straniera o la diffusione di notizie false tramite social network.
Il pacchetto, su cui governo e opposizione hanno raggiunto un accordo la scorsa settimana, include due proposte di legge, una che introduce sanzioni penali per coloro che svelano informazioni riservate o che conducono operazioni sotto copertura per conto di potenze straniere, e un’altra che istituisce un registro a cui dovranno obbligatoriamente iscriversi tutti coloro (aziende e singoli) che agiscono in vece di altre nazioni.
Ad esempio, un ambasciatore straniero può liberamente scrivere un pezzo d’opinione sull’Australia, ma se una nazione o un’azienda straniera paga un ex ambasciatore australiano per scrivere un articolo simile e presentare il contenuto come sue opinioni, ciò non andrebbe bene in quanto non sarebbe trasparente. “Vogliamo che ci sia piena trasparenza, altrimenti non sapremmo più da dove viene un’opinione”, ha spiegato Porter.
Le misure erano state annunciate già lo scorso dicembre dall’allora ministro della Giustizia George Brandis, ora il governo vuole approvarle entro la fine del mese, in modo che il loro impatto si possa già far sentire sulle suppletive di fine luglio (anche se il registro non riuscirebbe comunque a essere istituito in tempo), ma il percorso non è così semplice. Una commissione parlamentare ha suggerito almeno 60 modifiche da apportare ai provvedimenti. Innanzittutto, bisognerebbe chiarire che cosa si intende per ‘documento riservato’, ‘minaccia alla sicurezza nazionale’, ‘sabotaggio’, ‘violenza politica’, e ‘interferenza straniera’. Così com’è, infatti, le proposte di legge sono molto vaghe e sono state accusate di poter essere utilizzate per mettere il bavaglio a ‘whistleblower’, giornalisti d’inchiesta e altri lavoratori di Ong e no-profit.
Per alcuni, nemmeno le modifiche proposte farebbero abbastanza. Uno dei dirigenti australiani di Amnesty International, Claire O’Rourke, ha espresso “profonda preoccupazione” circa il supporto del Partito laburista a questo passo del governo “verso l’autoritarismo”. “Con questo provvedimento, le organizzazioni umanitarie, come Amnesty, che chiedono conto al governo australiano del rispetto dei diritti umani, possono incorrere in sanzioni penali, il che non è solo scandaloso ma terrificante” ha dichiarato. “Si tratta di un cinico tentativo da parte di entrambi gli schieramenti politici di proteggersi dal giudizio della società civile australiana” ha aggiunto, “nella fretta di mostrare il pugno di ferro sulla sicurezza nazionale, calpestano la nostra libertà di espressione”.
Ieri, Porter ha ammesso che ci potrebbero essere effetti collaterali, “oneri normativi” li ha chiamati il ministro, ma “il male da curare li rende necessari”. Durante l’intervista, il ministro ha fatto chiari riferimenti al cosiddetto Russiagate, lo scandalo sulle presunte interferenze di Mosca nella campagna per le presidenziali Usa nel 2016 che ancora incombe sull’amministrazione Trump, cercando quindi di sottolineare come le interferenze straniere non siano fantascienza.
In Australia, il pericolo sarebbe piuttosto quello di un Chinagate e la situazione è davvero molto delicata. Se infatti è ovvio che Canberra voglia proteggere la propria sovranità politica dalle possibili interferenze del Dragone, allo stesso tempo, si trova legata a esso da un doppio filo di rapporti economico-commerciali troppo importanti per essere compromessi. Qualunque passo faccia, l’Australia deve tener conto di questo legame. Tra pochi mesi, ad esempio, sarà annunciata la revisione biennale del Defence Trade Controls Act sulla fornitura di tecnologia militare e a duplice uso civile-militare che dovrebbe segnare un giro di vite sulle partnership di ricerca tra le università australiane e straniere. Il governo è preoccupato che queste partnership possano minare la sicurezza nazionale, involontariamente potenziando le capacità militari di possibili avversari, in particolare Pechino. Ma le università, come la University of NSW, hanno già messo in guardia che un giro di vite potrebbe andare a colpire il redditizio settore della ricerca e dell’istruzione terziaria, danneggiando l’economia del Paese.
Intanto, proprio dal fronte economico, la scorsa settimana, sono giunte buone notizie: l’economia australiana, nell’ultimo trimestre, è cresciuta dell’1% (la crescita più veloce da dicembre 2011), portando a un balzo in avanti nella crescita su base annuale che è salita al 3,1%. La crescita è trainata soprattutto dall’esportazioni di gas e carbone e dagli investimenti pubblici. Tuttavia, il quadro non è completamente roseo. l consumi, che rappresentano circa il 60% della nostra economia, hanno contribuito solo per il 20% alla crescita nei primi tre mesi dell’anno. Nell’ultimo anno, i consumi hanno continuato a crescere del 2,9% (una percentuale che qualche anno fa sarebbe stata considerata inferiore alla media), ma solo perché sono diminuiti i risparmi. Una famiglia australiana, in media, risparmia solo il 2,1% del reddito, il livello più basso dal 2007. In pratica, si spende quanto lo scorso anno ma per farlo si risparmia meno e il motivo è semplice: gli stipendi non crescono.
Questa realtà è ormai sulla bocca di tutti e sarà probabilmente il tema trainante delle prossime elezioni (dalle suppletive del mese prossimo, fino al voto federale del 2019). Sarà sulla risposta al problema della crescita dei salari che si divideranno la maggior parte dei consensi: da una parte, la Coalizione punterà i riflettori sulla crescita dell’economia e dei posti di lavoro, sottolineando l’importanza dei tagli fiscali alle aziende per continuare a crescere, secondo il cosiddetto principio economico del ‘trickle-down’; dall’altra, il Partito laburista sottolineerà che il sistema per cui quando le aziende prosperano i loro profitti vengono condivisi con i lavoratori, nel mondo d’oggi, non funziona più, e maggiore crescita per le aziende non significa automaticamente standard di vita migliori per le famiglie, e prometterà di approvare misure per una società più equa.
Quale visione sposerà la maggioranza degli elettori? Con due idee così contrapposte, una cosa è certa: il dibattito non potrà che essere rovente.