La scorsa settimana, l’ultima di lavori parlamentari  prima di una ulteriore lunga pausa di sei settimane, era iniziata con la pubblicazione del sondaggio Ipsos, commissionato dal gruppo Nine (quotidiani ex Fairfax) che ha dato una discreta boccata d’ossigeno al governo Morrison.

Di diverso avviso invece l’esito del Newspoll di oggi, che mantiene una distanza di 6 punti tra i due schieramenti in campo.

Eppure, per i laburisti trattare la materia dell’immigrazione resta argomento complesso, rispetto al quale, complice anche una certa ambiguità nelle file del partito guidato da Bill Shorten, si rischia di perdere consenso.

Ambiguità e confusione emerse anche poche ore prima di andare in stampa, con il leader dell’opposizione che, forse per cercare di ripianare tutta una serie di contraddizioni e contrasti interni emersi nei giorni scorsi, ha dichiarato la propria contrarietà a  trasferire, per ragioni mediche, i rifugiati da Nauru e Manus Island nel centro di Christmas Island (riaperto dal governo Morrison dopo l’approvazione al Senato della ‘Medevac Bill’, ndr). “La realtà - ha affermato Shorten - è che a Christmas Island non c’è molto in termini di assistenza medica”.

Un cambio di linea rispetto a martedì scorso quando Bill Shorten era più possibilista, sul trasferimento dei rifugiati: “Se i trattamenti medici necessari vengono effettuati a Christmas Island e le persone vengono curate, allora va bene”.

E se dal governo si continua a insistere che si farà di tutto per garantire un’adeguata assistenza medica nell’isola dell’Oceano Indiano, il segnale lanciato dal sondaggio Ipsos ai laburisti è molto chiaro: meglio evitare di correre il rischio di alimentare dubbi e confusione nel dibattito su questa materia.

D’altronde, in vista della sfida di maggio, i giochi sembrano essere molto più complessi e Coalizione e laburisti sanno che far ruotare l’intera campagna elettorale intorno all’unico tema dell’immigrazione non garantirà a nessuno una sicura vittoria.

In una lunga partita a scacchi, la mossa di Shorten e del suo partito è quella di provare a spostare l’asse del dibattito politico su terreni a loro più congeniali: politiche economiche mirate alla redistribuzione della ricchezza e critiche al sistema bancario (anche se, occorre ammetterlo, il passo indietro di Chris Bowen sui brokers è un altro colpo alla coerenza) oltre che, evidentemente, una spinta all’aumento dei salari.

Argomento, quest’ultimo, oggetto, tra gli altri, del recente outlook sull’Australia del Fondo Monetario Internazionale che, nell’elogiare le scelte della politica australiana che hanno contribuito a più di due decenni di “robusta e resiliente performance economica”, ha anche riconosciuto le criticità che l’economia australiana si trova ad affrontare.

“Un contesto economico globale più debole, un elevato indebitamento delle famiglie e una certa vulnerabilità nel settore immobiliare potrebbero pesare sulla crescita a medio-termine”, dicono gli economisti da Washington che raccomandano “di restare vigili riguardo alle condizioni del mercato immobiliare e di spingere ancora di più sulle riforme che consentano un accesso alle abitazioni molto più agevole”.

Tra le proposte del Fondo quella di aumentare gli investimenti infrastrutturali “che dovrebbero contribuire ad aumentare la produttività  e sostenere la crescita nel lungo periodo”.

Aumento della produttività che, venerdì scorso, il governatore della banca centrale Philip Lowe ha auspicato possa essere tenuto in grande considerazione dalla politica: “La chiave per aumentare il reddito reale delle famiglie è aumentare la produttività, invito a continuare a esaminare tutti i modi per farlo”.

Il capo della Reserve Bank of Australia ha confermato che lo scenario dell’economia interna è stato “positivo”, caratterizzato da “crescita tendenziale superiore, bassa inflazione e stabile e bassa disoccupazione”, con il tasso di disoccupazione ai livelli più bassi dagli anni ‘70 nel New South Wales e nel Victoria.

Tuttavia, ha ammesso Lowe “i rischi di una crescita al ribasso sono aumentati negli ultimi mesi, principalmente per la bassa crescita dei salari e il crollo dei prezzi delle case che potrebbero spingere i consumatori a ridurre le loro spese”.

Il Fondo Monetario Internazionale ha previsto, infatti, che la crescita economica si ridurrà dal 3% del 2018 al 2,7% di quest’anno, ma ha anche elogiato il ritorno in attivo del budget annunciato dal governo Morrison per il 2019-20.

Le prossime sei settimane di assenza dalle aule parlamentari potrebbero servire, ad esempio, per ricalibrare il programma economico da parte di chi l’ha già iniziato a presentare, come i laburisti e per cercare di gestire i mal di testa derivati da vicende, decisamente imbarazzanti, in casa dei liberali.

Questioni che mettono in discussione uno dei principi cardine dei sistemi democratici,  ovvero quello della responsabilità diretta in capo ai titolari dei dicasteri di riferimento nell’esecutivo.

Basti vedere, infatti come hanno reagito il ministro delle Finanze Mathias Cormann sulla vicenda ‘Helloworld’ che lo ha visto protagonista (articolo a pagina 12) e il ministro degli Interni Peter Dutton rispetto all’assegnazione dei servizi di sicurezza e amministrazione del centro di detenzione di Manus Island, (contratto del valore di quasi mezzo miliardo di dollari, ndr) a una società, la Paladin Holdings,  con sede legale in una baracca sulla spiaggia di Kangaroo Island.

Vicende rispetto alle quali ci si sarebbe auspicato una maggiore assunzione di responsabilità da parte dei due politici, che invece, tra ‘sviste amministrative’ e ‘ non so nulla’, hanno scaricato tutto sui propri rispettivi dipartimenti.

Chissà se anche queste ‘debolezze’ politiche e personali entreranno nella prossima campagna elettorale, con un aumento della percezione, nell’elettore, di una distanza sempre maggiore tra la “bolla di Canberra” (una delle citazioni più amate dal primo ministro Scott Morrison) e il cittadino.