MILANO - Ha dell’incredibile quanto accaduto all’Università Bicocca di Milano, dove negli scorsi giorni è stato cancellato un corso sullo scrittore russo Fedor Dostoevskij, che avrebbe dovuto tenersi questa settimana a cura del professor Paolo Nori, perché l’ateneo vuole “evitare ogni forma di polemica soprattutto interna in quanto è un momento di forte tensione”.
A raccontarlo è stato lo stesso professore una volta ricevuta la comunicazione dall’Università e la notizia ha fatto subito il giro di tutti i principali media, scatenando forti polemiche.
“Trovo che quello che sta succedendo in Ucraina sia una cosa orribile e mi viene da piangere solo a pensarci - ha detto Nori -. Ma quello che sta succedendo in Italia oggi, queste cose qua, sono ridicole: censurare un corso è ridicolo. Non solo essere un russo vivente è una colpa oggi in Italia, ma anche essere un russo morto che, quando era vivo, nel 1849, è stato condannato a morte perché aveva letto una cosa proibita, lo è. Che un’università italiana proibisca un corso su un autore come Dostoevskij è una cosa che io non posso credere”.
La polemica è subito dilagata anche sul piano politico e da tutti gli schieramenti la decisione presa dalla rettrice dell’Università è stata fortemente stigmatizzata. “Assurdo” è il commento delle esponenti del Movimento 5 Stelle in Commissione cultura al Senato, che parlano di un “insensato tentativo di censura all’interno di un’università italiana. Quanto sta avvenendo in Ucraina è ingiustificabile, tragico e terribile, ma non si combatte con la censura della cultura russa e di uno dei più grandi scrittori e pensatori di tutti i tempi come Dostoevskij”.
Anche Matteo Renzi ha definito “folle” proibire di studiare Dostoevskij come misura “contro Putin” e, annunciando un’interrogazione parlamentare al ministro dell’Università, Maria Cristina Messa, ha ribadito che “in questo tempo bisogna studiare di più, non di meno: in Università servono maestri, non burocrati incapaci”. Travolta dalle polemiche l’Università ha fatto presto marcia indietro, ripristinando il corso e spiegando che quello deciso in precedenza era solo un rinvio, ma ormai il danno all’immagine dell’Ateneo non era più sanabile.