Il viaggio di Malcolm Turnbull )e del suo imponente entourage) negli Stati Uniti è stato un successo. Un notevole sforzo di diplomazia per il primo ministro che ha dovuto navigare a vista, tenendo sotto controllo il temperamento burrascoso del presidente Usa Donald Trump, con l’obiettivo di rinsaldare una “mateship” (amicizia, ndr) “lunga 100 anni”, dopo la partenza con il piede sbagliato dello scorso anno a causa della ‘famosa’ telefonata tra i due leader sull’accordo sui rifugiati stretto con l’ex presidente Obama e che Trump minacciava di non onorare.
Se in quella occasione Turnbull era stato alquanto fermo, questa volta ha scelto di smussare le differenze, preferendo ad esempio (non senza attirarsi pesanti critiche) non toccare il tema del controllo sulle armi, reso ancora più delicato dopo il recente massacro in una scuola della Florida, e puntando invece sulla lunga storia e sui valori condivisi tra Australia e Stati Uniti, facendo riferimento al centenario della battaglia di Hamel in cui le truppe dei due Paesi combatterono per la prima volta fianco a fianco. Il tutto per ‘educare’ il nuovo capo della Casa Bianca, fargli capire chi sono gli ‘amici’, per assicurarsi che l’isolazionismo da lui promosso non comprometta l’impegno americano nella regione Asia-Pacifico o gli investimenti americani in Australia, entrambi vitali per Canberra.
La strategia, a molti, può essere sembrata affettata, falsamente sciovinista, ma pare aver funzionato. Trump ha ripetuto, più convinto, che gli Usa potrebbero rientrare nel partenariato trans-pacifico (Tpp) qualora questo venisse migliorato e hanno invitato l’Australia a partecipare alle esercitazioni sulla libertà di navigazione nel Mar Cinese Meridionale il mese prossimo. Esercitazioni con l’esplicito obiettivo di mandare un messaggio forte alla Cina che mettono il governo di Canberra nella scomodissima posizione di dover scegliere quale delle due super-potenze rischiare di infastidire.
Ma, per ora, i problemi più urgenti sono interni. Oggi, al suo ritorno in Australia, Turnbull potrebbe trovare un cielo in via di rasserenamento dopo la ‘tempesta Joyce’, oppure ulteriori grattacapi. Mentre il primo ministro atterra all’aeroporto di Canberra, stamattina i nazionali si riuniranno per scegliere il successore di Barnaby Joyce alla guida del partito, dopo le dimissioni di quest’ultimo a seguito di due lunghe e sofferte settimane di attenzione mediatica sullo scandalo causato dalla sua relazione con l’ex dipendente Vikki Campion.
Al momento di andare in stampa, unico candidato in corsa è il ministro degli Affari dei veterani Michael McCormack, già dato per favorito nei giorni scorsi e poi rimasto solo in lizza dopo il ritiro, ieri pomeriggio, di David Gillespie. Tuttavia, fonti interne al partito parlano di una possibile candidatura in extremis del ministro dell’Agricoltura David Littleproud.
Da parte sua, la leader dei nazionali ad interim Bridget McKenzie ha auspicato che ci sia un solo candidato alla leadership, in modo da evitare spaccature interne. Stesso motivo, ha spiegato la senatrice del Victoria, per il quale lei stessa non ha voluto candidarsi, nonostante, appena 3 mesi fa, avesse ottenuto più preferenze dello stesso McCormack nella corsa per diventare vice di Joyce.
“Convenzionalmente – ha detto McKenzie ieri alla Abc – non c’è un voto per la leadership. La posizione di vice è ovviamente molto desiderata, ma in passato c’è sempre stato un solo candidato per la leadership. Però chi lo sa? È una decisione che spetta ai deputati e ai senatori [nazionali]”.
La senatrice, ministro dello Sport, ha speso parole di elogio per Joyce e il suo impegno a favore delle zone rurali ma ha ammesso che la decisione di dimettersi e rinunciare al ministero è stata opportuna, sia per il futuro del governo che per il bene della sua famiglia.
Joyce è stato un leader estremamente popolare tra gli elettori dei ‘Nats’ e il timore è che ora la sua assenza alla guida possa portare a un’emorragia di seggi per il partito. McKenzie però minimizza: “Barnaby non è morto – dice - è ancora nella segreteria del partito e noi ci affideremo a tutta la sua saggezza ed esperienza nei prossimi mesi”.
Nel frattempo, qualche danno di immagine è già stato fatto. Nel bel mezzo della bufera delle scorse settimane, un nuovo sondaggio ReachTel commissionato da Sky News dava i laburisti davanti alla Coalizione con il 54% delle preferenze contro il 46%.
La settimana scorsa, la situazione dell’ex vice primo ministro è precipitata quando sui giornali sono comparse accuse di molestie sessuali nei suoi confronti da parte di Catherine Marriott, ex Rural Woman of the Year del Western Australia, la quale si era rivolta al partito nazionale affinché prendesse provvedimenti, ma non avrebbe voluto che le accuse diventassero di dominio pubblico. Cosa che è invece successa, suscitando la rabbia della stessa Marriott e della potente National Farmers Federation, che ha accusato i Nationals di aver divulgato l’identità della donna. L’accusa è stata respinta al mittente da McKenzie, la quale ha assicurato che il partito nazionale si è impegnato a garantire la riservatezza delle informazioni ricevute. La senatrice ha sottolineato che le accuse contro Joyce dovranno essere debitamente verificate, ma di “credere che queste cose esistano in ambienti iper-mascolini” (sottinteso “come quello della politica”).
In seguito alle gravi insinuazioni, le richieste di farsi da parte hanno iniziato a giungere anche da parte di alcuni nazionali, come Andrew Board, e l’ex vice primo ministro non ha potuto far altro che farsi da parte.
Nel weekend, il parlamentare nazionale del Queensland George Christensen, noto per le sue affermazioni controverse, ha detto che il partito dovrebbe cogliere l’occasione del cambio di leadership per rompere l’intesa con il partito liberale di Turnbull che ha definito “senza direzione” e in preda a una “deriva a sinistra” che sta “frenando” i nazionali.
Ma la sua è una voce fuori dal coro. I ministri del governo insistono che la Coalizione resta solida: “Sono convinto che il partito nazionale, nel complesso, capisca che il modo migliore per avere voce in capitolo nel governo sia essere nel governo” ha detto il ministro dell’Istruzione Simon Birmingham a Sky News. E, nonostante l’accordo tra liberali e nazionali dovrà essere rinegoziato dopo l’elezione del nuovo leader, McKenzie è convinta che i termini rimarranno gli stessi. “Ritengo sia importante che domani la transizione avvenga in modo armonioso e che l’accordo con la Coalizione rimanga in vigore” ha affermato ieri.