BRUXELLES - Federica Mogherini ha scelto di farsi da parte. Dopo cinque anni alla guida del Collegio d’Europa, l’ex Alta rappresentante dell’Ue per la politica estera ha rassegnato le sue dimissioni: poche righe misurate, ma sufficienti a segnare la fine di una stagione travolta in appena 72 ore dall’esplodere dell’inchiesta che la vede indagata insieme all’ex ambasciatore Stefano Sannino - dimessosi anche lui -  e al dirigente dell’istituto Cesare Zegretti.

“In linea con il massimo rigore e senso di correttezza con cui ho sempre svolto il mio incarico, oggi ho deciso di dimettermi”, sono state le parole della rettrice affidate al messaggio comparso poi sul sito dell’istituto.

Nonostante il rilascio senza alcuna condizione dopo un interrogatorio fiume, la bufera che l’ha investita ha reso di fatto impossibile per l’ex ministra degli Esteri italiana restare al timone del Collegio che forma la futura élite diplomatica europea.

Anche davanti agli inquirenti, l’ex responsabile della politica estera Ue ha rivendicato una gestione “in piena trasparenza”: tutti i requisiti del bando per l’assegnazione dell’Accademia dei giovani diplomatici, ha assicurato, erano pubblici e il Collegio non avrebbe mai goduto di alcun trattamento di favore. 

Ma la procura europea e il giudice istruttore responsabile vogliono fare chiarezza sull’ipotesi che l’istituto - uno dei sei candidati - abbia ricevuto in anticipo indicazioni sui criteri di selezione, in particolare la necessità di disporre di una struttura di accoglienza che il Collegio aveva predisposto con l’acquisto dell’edificio di Spanjaardstraat per 3,2 milioni di euro, ora finito al centro del setaccio giudiziario.

L’analisi dei verbali e dei materiali acquisiti - telefoni, documenti, corrispondenze -, nelle spiegazioni degli inquirenti, richiederà tempo e “non sono attesi sviluppi imminenti”.

Ma dietro al rigore del segreto istruttorio trapela un sottotesto più dinamico: il fascicolo potrebbe estendersi oltre il perimetro iniziale aprendo “nuovi filoni” e ramificazioni.

La soffiata della presunta talpa, che ha portato a verificare le relazioni tra Bruxelles e Bruges, continua a far discutere e a sollevare interrogativi su chi potesse avere interesse ad affossare Mogherini o Sannino, dentro il Seae come al Collegio, dove la nomina dell’ex Alto rappresentante non era mai stata del tutto digerita. Già allora, il quotidiano francese Libération aveva evocato favoritismi, citando l’intervento dell’allora presidente del board Herman Van Rompuy con l’appoggio di Ursula von der Leyen, oltre a requisiti mancanti e possibili conflitti d’interesse.

“Di ricorsi sulle gare di appalto ce ne sono spesso, ma difficilmente sfociano in un’indagine di questa portata”, ha osservato a condizione di anonimato un ex addetto del Collegio: il tender al centro dell’indagine non aveva suscitato contestazioni pubbliche, tanto da far sospettare che il caso sia stato innescato “non da un contenzioso tecnico, ma da una segnalazione politica interna al Servizio d’azione esterna (Seae), su impulso di un governo nazionale”. 

E la dimensione politica - oltre a quella reputazionale - si continua a misurare nelle reazioni: ai consueti affondi di Budapest si è aggiunta una voce dagli Stati Uniti, quella del vicesegretario di Stato Christopher Landau, che ha puntato il dito contro Mogherini. Riesumandone le posizioni su Cuba, rea, a suo dire, di aver sostenuto un “regime repressivo e antiamericano”.