Non c’è più alcun dubbio: le elezioni federali si terranno l’anno prossimo. La débâcle del partito liberale alle suppletive di sabato ha allontanato ogni tentazione per il primo ministro Malcolm Turnbull di indire elezioni anticipate. Facile allora (come fatto intendere ieri dal ministro dell’Industria della Difesa Christopher Pyne) che si andrà a votare a maggio, il più tardi possibile, per permettere al governo di tentare di recuperare il terreno perduto.

L’altroieri i laburisti hanno ottenuto 4 vittorie su 5, confermandosi nei seggi di Braddon (Tasmania), Longman (Queensland), Perth e Fremantle (Western Australia), mentre Rebekha Sharkie di Centre Alliance (ex Nick Xenophon Team) si è imposta contro la candidata liberale nel seggio di Mayo, in South Australia (vedi pagina 3 per tutti i risultati). Un risultato nettamente al di sotto delle aspettative della Coalizione, nonostante l’insistenza a volerlo dipingere come la tradizione, che si ripete ormai dal 1920, del governo che viene penalizzato alle suppletive.

Per Bill Shorten, invece, le vittorie di sabato sono cruciali perché dissipano ogni dubbio sulla sua leadership che, nelle settimane prima del voto, sembrava essere stata più o meno velatamente minacciata anche all’interno dello stesso partito laburista.

I seggi del Western Australia, dove i liberali avevano rinunciato addirittura a presentare candidati, erano dati saldamente nelle mani dei laburisti Patrick Gorman e Josh Wilson, anche la riconferma di Sharkie a Mayo era data per scontata, ma a Braddon e Longman i sondaggi pre-voto mostravano una partita tutt’altro che facile per l’opposizione. Superate queste aspettative abbastanza contenute, non sorprende che Shorten abbia festeggiato appassionatamente, leggendo i risultati come un passo verso la vittoria laburista alle prossime elezioni federali.

Un’analisi completamente respinta da Turnbull: “Vedo Bill Shorten con i pugni in aria come se avesse vinto i Mondiali, ma il partito laburista non ha molto da festeggiare, certamente niente di cui vantarsi” ha detto il primo ministro che ha escluso che il voto di sabato fosse un test sulla leadership sua e di Shorten.

Non la pensava così qualche settimana fa. “L’elezione suppletiva di Longman è ovviamente un test per i candidati, un test per i partiti, ma soprattutto gli elettori decideranno se vogliono votare per Bill Shorten, con tasse più alte, meno posti di lavoro, stipendi più bassi e meno crescita economica” aveva detto parlando negli studi di Brisbane dell’Abc lo scorso 12 luglio. “Certo che la partita è tra me e Bill Shorten in quanto primo ministro e leader dell’opposizione” aveva aggiunto in quell’occasione.

La posta in gioco messa sul tavolo da Turnbull era quindi alta ed è il suo stesso metro di giudizio che ora fornisce a Shorten il diritto di arrogarsi ancora più la vittoria.

Il risultato più sorprendente per i laburisti è arrivato proprio da Longman. Un seggio dove i liberali hanno vinto tutte le tornate elettorali, tranne una, dal 1996. Mentre a Braddon i laburisti hanno guadagnato solo lo 0,3% rispetto alle scorse elezioni (con la candidata Justine Keay che ha vinto grazie alle preferenze indipendenti), in Queensland, Susan Lamb ha ottenuto oltre il 54% delle preferenze (+3,7% e +4,6% delle preferenze primarie), con il liberale Trevor Ruthenberg che ha visto le sue preferenze primarie scendere di quasi 10 punti. C’è stata la faccenda delle medaglie fasulle a pochi giorni dal voto, ma a pesare è stata soprattutto la capillare campagna laburista sul territorio che ha dipinto la Coalizione come lo schieramento dei tagli fiscali alle grandi banche e corporation, dalla parte dei ricchi insomma, e non delle persone comuni alle prese con disoccupazione e costo della vita crescente.

È stato un approccio che ha funzionato a Longman come altrove e Turnbull che, nonostante continui a ripetere che è normale che il governo venga penalizzato alle suppletive, sarà costretto a rifletterci su e a ricalibrare alcune sue politiche, in particolare gli sgravi fiscali per le aziende con oltre $50 milioni di dollari di fatturato che sono fermi al Senato.

Il risultato in Queensland è ancora più importante perché sarà proprio in questo Stato, dove tantissimi seggi sono in bilico tra i due principali schieramenti politici, che si deciderà l’esito delle prossime elezioni federali.

Commentando la sconfitta in tutti e tre i seggi contestati sabato, ieri, Turnbull ha promesso un’analisi “seria, approfondita e umile” dei risultati, lasciando la porta aperta anche a possibili cambiamenti nelle politiche della Coalizione e limitandosi a dichiarare che il governo continuerà ad assicurare che l’Australia abbia “tasse competitive per le imprese”.

Intervistato ieri a Insiders, sulla Abc, il ministro dell’Industria della Difesa Christopher Pyne è stato meno possibilista. Ha detto che nei prossimi mesi il governo proverà nuovamente a convincere il Senato della bontà dei tagli fiscali alle grandi aziende. “Cercheremo di farli approvare nella sessione primaverile e lavoreremo con i senatori indipendenti a questo fine” ha detto il ministro. “Vendere tagli fiscali per le piccole e medie imprese è molto più semplice che vendere sgravi per le grandi imprese” ha ammesso, aggiungendo però che “la decisione giusta per il Paese”. “Guardando ai Paesi Ocse e nel resto del mondo, non possiamo essere il Paese con le tasse sulle imprese più alte o perderemo investimenti” ha aggiunto Pyne.

Diversi analisti hanno definito le vittorie di Longman e Braddon delle ‘vittorie tattiche’, frutto della scelta di candidati inadatti da parte dei liberali, della più oliata macchina elettorale laburista che ha saputo reggere meglio le lunghe 10 settimane di campagna, e anche della decisione di non correre nei seggi del WA che alla fine ha permesso all’opposizione di concentrarsi su due elettorati di colletti blu invece di dover cercare di attrarre una platea più vasta. Tutti fattori validi dal punto di vista della strategia politica ma il dato più importante si nota analizzando i temi centrali che hanno fatto presa in campagna (la sanità pubblica, il lavoro, le tasse...). Dall’atteggiamento nei confronti di questi, vediamo emergere due Australie, quella dei ‘battler’ e quella della ‘top end of town’, sempre più contrapposte e lontane, non solo nella retorica dei partiti ma nella realtà di tutti i giorni, segno di disuguaglianze crescenti nel Paese. Il che, a prescindere da chi vincerà le prossime elezioni, non fa ben sperare.